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Confisca per equivalente: quando è legittima?

La Corte di Cassazione conferma la legittimità di un sequestro finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti di un soggetto accusato di frode informatica. La sentenza chiarisce che, per questo tipo di misura, non è necessario dimostrare un collegamento diretto (nesso pertinenziale) tra il bene sequestrato e il reato, essendo sufficiente che il valore corrisponda al profitto illecito. Il ricorso dell’indagato, che lamentava il sequestro di somme su conti correnti diversi da quello usato per la frode, è stato dichiarato inammissibile.

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Pubblicato il 20 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Confisca per Equivalente nella Frode Informatica: La Cassazione Fa Chiarezza

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale in materia di misure cautelari reali: la confisca per equivalente non richiede un legame diretto tra i beni sequestrati e il reato commesso. Questa decisione, emessa nel contesto di un caso di frode informatica, offre spunti cruciali per comprendere come la giustizia agisce per recuperare i proventi di attività illecite, anche quando questi sono stati abilmente occultati o trasferiti.

I Fatti del Caso

La vicenda processuale ha origine da un’indagine per frode informatica ai sensi dell’art. 640-ter del codice penale. Un individuo era accusato di aver indotto due imprenditori a effettuare bonifici per un importo complessivo di oltre 21.000 euro su un conto corrente a lui intestato. Subito dopo aver ricevuto le somme, l’indagato le aveva trasferite su altri conti correnti o prelevate tramite sportelli ATM, cercando di farne perdere le tracce.

Il Giudice per le Indagini Preliminari aveva disposto un sequestro preventivo, finalizzato alla confisca, per un valore di circa 8.600 euro, su due diversi conti (uno bancario e uno postale) intestati all’indagato. Il Tribunale del Riesame aveva confermato il provvedimento, spingendo la difesa a presentare ricorso in Cassazione.

Il Motivo del Ricorso e la Confisca per Equivalente

La difesa dell’indagato sosteneva l’illegittimità del sequestro basandosi su un’argomentazione precisa: la mancanza del cosiddetto nesso pertinenziale. Secondo il ricorrente, le somme sequestrate si trovavano su conti correnti diversi da quello su cui erano stati accreditati i bonifici fraudolenti. Pertanto, non vi era un legame diretto tra il denaro sottoposto a vincolo e il profitto del reato contestato.

Inoltre, la difesa eccepiva un’errata applicazione della normativa sulla confisca per equivalente (artt. 640-quater e 322-ter c.p.), sostenendo che fosse stata estesa indebitamente a una vicenda che vedeva come persone offese dei soggetti privati e non la pubblica amministrazione.

L’Importanza della Confisca per Equivalente

Questo strumento giuridico è stato introdotto proprio per superare le difficoltà investigative nel rintracciare il profitto diretto di un reato, specialmente quando si tratta di denaro, bene fungibile per eccellenza. Esso permette allo Stato di aggredire altri beni di cui il reo ha la disponibilità, fino a raggiungere un valore corrispondente a quello del profitto illecito.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo manifestamente infondato e confermando pienamente la decisione del Tribunale del riesame. I giudici hanno chiarito in modo inequivocabile la logica alla base del sequestro finalizzato alla confisca per equivalente.

Il punto centrale della motivazione è che, per questa specifica misura, il rapporto di pertinenzialità tra bene e reato è interamente assorbito dalla verifica della “confiscabilità” del bene. In altre parole, ciò che rileva non è l’origine del denaro sequestrato, ma la sua presenza nella disponibilità dell’indagato e il suo valore, che deve corrispondere a quello del profitto illecito. La legge, introducendo la confisca per equivalente, ha volutamente escluso la necessità di provare un nesso diretto, che altrimenti renderebbe la misura inefficace in molti casi, come le frodi informatiche dove il denaro viene rapidamente spostato.

La Corte ha affermato che è sufficiente l’esistenza del fumus commissi delicti (ovvero un fondato sospetto sulla commissione del reato) e che il profitto del reato sia costituito da denaro. Di conseguenza, l’adozione del sequestro preventivo non può essere subordinata alla verifica che quel preciso denaro sia confluito nella disponibilità dell’indagato. Basta che l’indagato disponga di beni o valori per un ammontare equivalente.

Conclusioni

La sentenza consolida un orientamento giurisprudenziale cruciale per il contrasto ai reati economici e informatici. Stabilisce che l’obiettivo della confisca per equivalente è quello di ripristinare l’equilibrio patrimoniale alterato dal reato, privando il reo di un valore corrispondente a quello illecitamente acquisito. Per le vittime di frode e per l’ordinamento giuridico nel suo complesso, questa interpretazione garantisce che gli strumenti di recupero dei profitti illeciti siano efficaci e non facilmente eludibili attraverso semplici operazioni di trasferimento di denaro. La decisione sottolinea che la lotta alla criminalità economica si combatte anche colpendo i patrimoni illecitamente accumulati, indipendentemente dai percorsi che il denaro ha seguito dopo la commissione del reato.

È necessario che i beni sequestrati per equivalente provengano direttamente dal reato commesso?
No. La sentenza chiarisce che per il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente non è richiesta la dimostrazione di un nesso pertinenziale tra il bene sequestrato e il reato. È sufficiente che il bene sia nella disponibilità dell’indagato e abbia un valore corrispondente al profitto del reato.

La confisca per equivalente si applica anche ai reati di frode informatica che danneggiano privati?
Sì. La Corte ha confermato la legittimità del sequestro in un caso di frode informatica ai danni di due imprenditori privati, applicando il combinato disposto degli articoli 640-quater e 322-ter del codice penale, che prevede espressamente questa misura.

Cosa si intende per ‘fumus commissi delicti’ nel contesto di un sequestro?
Il ‘fumus commissi delicti’ è un’espressione latina che indica la presenza di elementi sufficienti a far ritenere probabile la commissione di un reato. Nel caso di specie, è uno dei presupposti, insieme alla quantificazione del profitto, per poter disporre il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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