Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 3419 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 3419 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CESENA il 30/05/1969
avverso l’ordinanza del 12/06/2024 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME l’inammissibilità del ricorso…
lette le conclusioni del PG, dott. NOME COGNOME il quale ha chiesto dichiararsi
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 12 giugno 2024, la Corte di appello di Bologna ha rigettato l’opposizione proposta da NOME COGNOME avverso la decisione assunta il 12 dicembre 2023 dal medesimo ufficio giudiziario, quale giudice dell’esecuzione, con la quale è stata respinta la richiesta di dichiarare l’ineseguibilità della confis equivalente ordinata nei suoi confronti con sentenza, resa il 13 giugno 2018, d riconoscimento del provvedimento emesso dal Tribunale commissariale della Repubblica di San Marino.
La Corte emiliana ha, in proposito, ritenuto che la questione posta da COGNOME – vedente sulla possibilità di riconoscere ed eseguire una sanzione, quale l confisca per equivalente, disposta in relazione a condotta commessa in un frangente temporale in cui tale istituto non era previsto nell’ordinamento itali – è stata già compiutamente esaminata e risolta, in senso difforme da quello indicato dall’istante, nel procedimento scaturito dalla richiesta di esecuzi avanzata dall’autorità giudiziaria sammarinese 1’11 agosto 2011, definito con la già citata sentenza della Corte di appello di Bologna del 13 giugno 2018, divenuta irrevocabile per avere la Corte di cassazione dichiarato, 1’11 dicembre 2018, l’inammissibilità del ricorso dell’interessato.
Ha, ulteriormente, considerato che, a prescindere dalla condivisibilit dell’indirizzo ermeneutico sposato dalla Corte di cassazione all’atto d riconoscimento della decisione del Tribunale commissariale di San Marino, non vi è spazio per l’intervento del giudice dell’esecuzione, circoscritto alla sola ipot sopravvenuta illegittimità costituzionale di una disposizione di legge incidente sul fattispecie, sicché l’istanza difensiva «si esaurisce nella richiesta di rivaluta decisione, sulla quale si è ormai formato il giudicato, adottata dalla Corte cassazione, che era già investita all’epoca delle medesime questioni argomentazioni che oggi vengono riproposte».
Ha, quindi, aggiunto, che – stando alla vigente disciplina processuale, esente da tangibili profili di incostituzionalità – il giudicato formatosi all’esito del gi di cognizione resiste anche nell’ipotesi di applicazione di pena illegale, sa l’ipotesi, eccezionale, di errore macroscopico e di assoluta abnormità del sanzione che non ricorre nel caso di specie, relativo all’applicazione della confi per equivalente, misura prevista dall’ordinamento e non avulsa dal sistema.
NOME COGNOME propone, con l’assistenza dell’avv. NOME COGNOME ricorso pe cassazione affidato a quattro motivi – dei quali si darà atto, ai sensi dell’ad. comma 1, disp. att. cod. proc. pen., nei limiti strettamente necessari per
motivazione – con i quali deduce, costantemente, violazione di legge nonché, con l’ultimo, vizio di motivazione.
2.1. Con il primo motivo, eccepisce che la sentenza del giudice di San Marino è stata riconosciuta in violazione del principio di irretroattività della legge penale incriminatrice, essendo stata, in quella sede, disposta una sanzione avente natura penale, quale la confisca per equivalente, che al 4 ottobre 2007, data di commissione del reato da lui commesso, non era ancora contemplata dall’ordinamento italiano, ove è stata introdotta con norma, l’art. 648-quater cod. pen., entrata in vigore a distanza di oltre due mesi, ovvero il 29 dicembre 2007.
Ascrive al giudice dell’esecuzione di avere disatteso tale principio in applicazione delle regole dettate dalla Convenzione di Strasburgo del 1990 sul riciclaggio che, nondimeno, prevede, all’art. 18, la possibilità, per gli -Stati firmatari, di frapporre il diniego alla richiesta di riconoscimento qualora concernente misura non prevista dall’ordinamento interno.
Deduce che, al cospetto di pena illegale ab origine, la Corte di appello avrebbe dovuto dichiarare la non eseguibilità della confisca.
2.2. Con il secondo motivo, segnala che l’intervento in sede esecutiva sul giudicato formatosi all’esito del giudizio di cognizione è consentito, per unanime indirizzo ermeneutico, nel caso in cui la decisione sia inficiata da errori macroscopici di calcolo o dall’applicazione di una pena avulsa dal sistema, condizione che sussiste nella fattispecie in esame, connotata dall’irrogazione di una sanzione tout court illegale (anziché meramente illegittima o ingiusta) e, quindi, dall’abnormità della relativa statuizione.
2.3. Con il terzo motivo, evidenzia che l’interpretazione dell’art. 670 cod. proc. pen. avallata dalla Corte di appello finisce per qualificare la norma come contraria all’art. 7 CEDU e, per tal via, costituzionalmente illegittima per violazione dell’art. 117 Cost..
2.4. Con il quarto motivo, ribadisce, in replica agli argomenti sviluppati dalla Corte di appello con l’ordinanza resa all’esito dell’opposizione, che la decisione impugnata ha assegnato rilevanza all’art. 735-bis cod. proc. pen., disposizione che, avendo natura processuale, non vale a legittimare l’inflizione di una sanzione che, al tempo di commissione del reato, non era prevista dalla normativa sostanziale.
Rileva, ulteriormente, che l’obbligo, previsto dall’art. 13 della Convenzione di Strasburgo e gravante sulla parte ricevente recepita, di eseguire l’ordine di confisca emesso dall’autorità giudiziaria della parte richiedente, non può che recedere, in quanto privo di rango costituzionale, rispetto al principio, consacrato all’art. 25, secondo comma, Cost., di irretroattività della norma penale incriminatrice.
Il Procuratore generale ha chiesto, con requisitoria scritta, dichiara l’inammissibilità del ricorso.
Il 22 ottobre 2024 il ricorrente ha depositato memoria di replica, con l quale ha riproposto le censure già svolte con il libello introduttivo del pres giudizio in ordine, precipuamente, all’originaria illegalità della disposta conf per equivalente, misura che, come di recente confermato dalla giurisprudenza di legittimità, ha natura sanzionatoria ed è, pertanto, inderogabilmente soggetta principio di legalità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso – imperniato su doglianze che, per la loro sostanziale unitarietà possono essere esaminate congiuntamente – è infondato e, pertanto, passibile di rigetto.
La questione sottoposta all’attenzione del giudice dell’esecuzione e, oggi di quello di legittimità è stata già affrontata nel procedimento introdotto d richiesta, avanzata dall’autorità giudiziaria di San Marino, di riconoscimento de decisione in forza della quale è stata disposta, nei confronti di NOME COGNOME, confisca, per equivalente, della somma di euro 4.361.364,10.
La Corte di cassazione, nel dichiarare, con sentenza dell’il. dicembre 2018 l’inammissibilità dell’impugnazione proposta da COGNOME avverso quella con cui, il 1 giugno 2018, la Corte di appello di Bologna aveva dato corso alla richiesta de giudici della Repubblica del Titano, osservò, tra l’altro, che correttamente è st fatta applicazione nel caso in esame dell’art. 735-bis cod. proc. pen., norma ch come già spiegato dalla Corte di appello, è stata introdotta in sede di ratifica Convenzione di Strasburgo sul riciclaggio dell’8 novembre 1990, al fine di consentire di dare esecuzione in Italia ad una tipologia di confisca, quella di val all’epoca non prevista dall’ordinamento italiano.
Nell’occasione, i giudici di legittimità rilevarono, altresì:
che «L’art. 7 della citata Convenzione impone a ciascuna Parte a essa aderente di adottare le misure legislative e di altra natu eventualmente necessarie per consentirle di eseguire le richieste di cooperazione aventi ad oggetto la confisca consistente nell’imposizione dell’obbligo di pagare una somma di denaro pari al valore dei proventi»;
che «Come chiarisce il Rapporto esplicativo al §48 (Explanatory Report – ETS 141 – Laundering of the Proceeds from Crime), tale obbligo implica
che se uno Stato prevede solo il sistema di confisca di “proprietà” per i casi nazionali deve comunque introdurre una legislazione che consenta la confisca di valore al fine di poter soddisfare le richieste a tal fine di Paesi che prevedano tale sistema»;
che «Proprio per garantire il suddetto obbligo, il legislatore ha introdotto all’art. 733, comma 1-bis cod. proc. pen. la clausola di salvezza per la confisca di valore, non estendendo ad essa il requisito della doppia “confiscabilità” invece richiesto per la confisca di proprietà («Salvo quanto previsto nell’articolo 735-bis, la sentenza straniera non può essere riconosciuta ai fini dell’esecuzione di una confisca se questa ha per oggetto beni la cui confisca non sarebbe possibile secondo la legge italiana qualora per lo stesso fatto si procedesse nello Stato»).
A fronte di tale decisione, il ricorrente ha sollecitato il giudice dell’esecuzione a compiere un intervento che gli è – secondo quanto debitamente chiarito nel provvedimento qui impugnato – inibito.
Il giudice della cognizione e la Corte di cassazione hanno, invero, offerto un’interpretazione del combinato disposto degli artt. 733 e 735-bis cod. proc. pen. – che è stata, peraltro, ribadita con successiva decisione (Sez. 6, n. 34277 del 26/10/2020, COGNOME, n.m.), resa a fronte di caso analogo, ovvero di richiesta di riconoscimento di provvedimento che ha disposto confisca per equivalente, proveniente dalla repubblica di San Marino ed afferente a condotta anteriore al 29 dicembre 2007 – tale da ammettere il riconoscimento e l’esecuzione del provvedimento straniero di confisca per equivalente anche in assenza del requisito della c.d. «doppia confiscabilità».
La predetta statuizione, lungi dal connotarsi per abnormità o, tantomeno, dall’essere frutto di un errore macroscopico o dall’attenere ad una misura avulsa dal sistema, costituisce il portato di una plausibile interpretazione del dettato normativo, stando alla quale il legislatore italiano, con la legge 9 agosto 1993, n. 328, modificò l’ordinamento interno, introducendo l’art. 735-bis cod. proc. pen. che, già dall’incipit («Nel caso di esecuzione di un provvedimento straniero di confisca consistente nella imposizione del pagamento di una somma di denaro corrispondente al valore del prezzo, del prodotto o del profitto di un reato…»), dà per presupposta l’eseguibilità della decisione straniera contemplante la confisca per equivalente – al precipuo scopo di consentire l’esecuzione, in Italia, di una misura, quale la confisca per equivalente, al tempo non prevista dalla legislazione del nostro paese.
Tanto, in espressa e doverosa attuazione dell’art. 7 della Convenzione di Strasburgo del 1990, che, al comma 2, lett a), impone a ciascuna Parte di adottare
«le misure legislative e di altra natura eventualmente necessarie per consentirle di eseguire le richieste di confisca di proventi consistente nell’imposizion dell’obbligo di pagare una somma di denaro pari al valore dei proventi».
Ne discende, come precisamente stabilito dal giudice dell’esecuzione, che, nel caso di specie, non sussiste la dedotta violazione del principio di irretroattività della legge penale incriminatrice o meno favorevole, essendo consentiti, a partire dal 1993, il riconoscimento e l’esecuzione di provvedimenti stranieri che dispongono la confisca per equivalente a prescindere dall’autonoma e diretta previsione nell’ordinamento sostanziale interno.
A dispetto di quanto obiettato dal ricorrente, non si ravvisa, dunque, il segnalato profilo di illegalità, né appare lecito dubitare della conformità a Costituzione della disciplina, così come ricostruita in sede di cognizione e, quindi, esecutiva.
Dal rigetto del ricorso discende la condanna di COGNOME al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616, comma 1, primo periodo, cod. proc. pen..
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 05/11/2024.