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Confisca per equivalente: quando è illegittima?

La Corte di Cassazione ha annullato una sentenza limitatamente alla confisca per equivalente di 11.000 euro, a causa di una motivazione insufficiente da parte dei giudici di merito. La Corte ha stabilito che non basta un generico richiamo alla cospicua somma o alle modalità di occultamento del denaro per giustificare tale misura. È necessario, invece, dimostrare in modo esplicito il nesso tra la somma confiscata e il profitto derivante dal reato. Gli altri motivi di ricorso, relativi alla qualificazione del reato di spaccio e alla condanna per estorsione, sono stati rigettati.

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Pubblicato il 7 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Confisca per equivalente: La Cassazione Annulla per Motivazione Carente

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 30336 del 2024, è intervenuta su un caso complesso che tocca temi cruciali del diritto penale, tra cui lo spaccio di stupefacenti, l’estorsione e, in particolare, i presupposti per l’applicazione della confisca per equivalente. Questa pronuncia sottolinea un principio fondamentale: ogni provvedimento che incide sul patrimonio deve essere supportato da una motivazione rigorosa e puntuale, non potendosi basare su mere presunzioni.

I Fatti del Processo

Il caso trae origine da una condanna emessa in primo grado e confermata in appello nei confronti di due persone per una serie di reati. Al primo imputato venivano contestati numerosi episodi di spaccio di stupefacenti, un’ipotesi di estorsione e una di ricettazione, con una condanna a cinque anni di reclusione. Alla seconda imputata, invece, venivano ascritti due episodi di spaccio in concorso, con una pena di tre anni. La sentenza di appello aveva inoltre confermato la confisca di una somma di denaro pari a 11.000 euro trovata nell’abitazione del primo imputato.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

Entrambi gli imputati hanno proposto ricorso per cassazione. Le doglianze principali vertevano su:

1. Errata qualificazione giuridica del reato di spaccio: Entrambi chiedevano che i fatti venissero ricondotti all’ipotesi di lieve entità (art. 73, comma 5, D.P.R. 309/1990), evidenziando una presunta disparità di trattamento rispetto ad altri coimputati giudicati separatamente.
2. Insussistenza del reato di estorsione: Il primo ricorrente contestava la ricostruzione dei fatti, negando l’illiceità del rapporto patrimoniale con la presunta vittima.
3. Mancato riconoscimento delle attenuanti generiche: Si lamentava la mancata concessione del beneficio previsto dall’art. 62-bis c.p.
4. Illegittimità della confisca: Il punto cruciale del ricorso del primo imputato riguardava l’illegittimità della confisca per equivalente della somma di 11.000 euro, sostenendo che la Corte d’Appello non avesse fornito alcuna motivazione valida per giustificare tale misura.

La Decisione della Corte: Focus sulla Confisca per Equivalente

La Corte di Cassazione ha rigettato quasi tutti i motivi di ricorso, ritenendo le argomentazioni della Corte d’Appello logiche e ben fondate per quanto riguarda la qualificazione dei reati di spaccio e di estorsione. Tuttavia, ha accolto l’ultimo motivo, relativo alla confisca per equivalente.

I giudici di legittimità hanno annullato la sentenza impugnata su questo specifico punto, con rinvio ad un’altra sezione della Corte d’Appello di Roma per un nuovo giudizio. Il ricorso della seconda imputata è stato invece dichiarato inammissibile.

Le Motivazioni

La motivazione della Cassazione è di estremo interesse. La Corte ha chiarito che, per disporre la confisca per equivalente prevista dall’art. 73, comma 7-bis, D.P.R. 309/1990, il giudice deve fornire una spiegazione chiara e specifica del perché una determinata somma di denaro sia considerata di valore corrispondente al prodotto o al profitto del reato. Nel caso di specie, i giudici di merito si erano limitati a generici richiami alle modalità di occultamento del denaro e al suo ‘consistente ammontare’.

Secondo la Suprema Corte, tale motivazione è palesemente insufficiente. Non è stato esplicitato il nesso logico-giuridico che collega la somma sequestrata (11.000 euro) ai proventi dell’attività illecita contestata. L’assenza di una rappresentazione dei presupposti giuridici che legittimano questa forma di confisca obbligatoria ha reso la decisione illegittima. In sostanza, il giudice non può presumere che il denaro trovato in possesso dell’imputato sia profitto del reato, ma deve dimostrarlo con argomentazioni concrete e verificabili.

Conclusioni

Questa sentenza ribadisce un principio di garanzia fondamentale: le misure ablative, come la confisca, che colpiscono il patrimonio individuale, richiedono un onere motivazionale rafforzato. Non basta affermare genericamente l’esistenza di un profitto illecito, ma è indispensabile che il giudice spieghi l’iter logico seguito per quantificarlo e per collegarlo alla somma materialmente sequestrata. La decisione offre un importante monito ai giudici di merito sulla necessità di motivare in modo analitico e non apparente, soprattutto quando si applicano istituti di particolare afflittività come la confisca per equivalente.

Perché la Corte di Cassazione ha annullato la confisca di 11.000 euro?
La confisca è stata annullata perché i giudici di merito non hanno fornito alcuna motivazione specifica per giustificarla. Non hanno spiegato perché quella somma dovesse essere considerata di valore corrispondente al profitto o al prodotto del reato di spaccio, limitandosi a generici richiami alle modalità di occultamento e all’importo, il che è stato ritenuto insufficiente dalla Corte.

È possibile che due persone accusate dello stesso reato ricevano un trattamento diverso?
Sì, è possibile. Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto logica la diversa qualificazione del reato di spaccio (grave per i ricorrenti, lieve per altri coimputati) perché il quadro probatorio a carico dei ricorrenti era ‘ben più pregnante e complessivo’, giustificando così un trattamento sanzionatorio più severo.

Per quale motivo è stato respinto il ricorso relativo all’accusa di estorsione?
Il ricorso è stato respinto perché le censure sollevate miravano a una rivalutazione dei fatti e delle prove, un’attività che non è consentita alla Corte di Cassazione. Quest’ultima può solo verificare la correttezza giuridica e la logicità della motivazione della sentenza impugnata, che nel caso specifico è stata ritenuta adeguata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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