Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 30107 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 30107 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME COGNOME nato a Oppido Mamertina il 7/10/1959
avverso l’ordinanza del 14/7/2023 della Corte d’appello di Brescia visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 14 luglio 2023, depositata il 30 settembre 2024, la Corte d’appello di Brescia, provvedendo quale giudice dell’esecuzione, ha rigettato l’opposizione proposta da NOME COGNOME nei confronti dell’ordinanza del 25 ottobre 2021 della medesima Corte d’appello, con la quale era stata rigettata l’istanza presentata dallo stesso NOME COGNOME volta a ottenere la revoca della confisca per equivalente disposta, per reati tributari, con la sentenza del 10 maggio 2017, irrevocabile il 6 aprile 2018, della Corte d’appello di Brescia, di parziale riforma della sentenza del Tribunale di Brescia del 14 maggio 2015.
Avverso tale ordinanza il condannato ha proposto ricorso per cassazione, mediante l’Avvocato NOME COGNOME che lo ha affidato a quattro motivi, premettendo che con sentenza del 10 maggio 2017, divenuta irrevocabile il 6 aprile 2018, della Corte d’appello di Brescia, parzialmente confermativa di quella del 14 maggio 2015 del Tribunale di Brescia, era stato ridotto l’ammontare della confisca per equivalente del profitto dei reati tributari ascritti al ricorren stabilendolo nella somma complessiva di euro 1.220.456,70, benché nel patrimonio delle società contribuenti vi fossero somme corrispondenti a tale importo sequestrabili in via diretta, cosicché la statuizione di confisca avrebbe dovuto limitarsi alla sola differenza tra il profitto dei reati e il valore dei beni d società contribuenti e già sottoposti a sequestro.
2.1. Tanto premesso, col primo motivo si lamenta che la confisca sia stata disposta in relazione all’intero profitto dei reati, in ragione della ritenuta solidarie passiva tra gli imputati, che, però, è stata esclusa dalla decisione adottata dalle Sezioni Unite all’udienza del 26 settembre 2024 nel ricorso n. 31775 del 2023, di cui al momento della presentazione del ricorso era nota solo l’informazione provvisoria.
2.2. Con il secondo motivo ha lamentato l’omessa considerazione del rinvenimento del profitto dei reati presso il contribuente che ne aveva beneficiato, con la conseguente insussistenza dei presupposti per poterne disporre anche la confisca per equivalente.
Ha esposto che all’atto dell’esecuzione del sequestro preventivo, nel 2013, il valore dei beni della RAGIONE_SOCIALE assoggettati a sequestro era stato determinato in euro 14.531,57 (per disponibilità finanziarie) e in euro 1.148.800,00 (per immobili), dunque di ammontare superiore al profitto conseguito da tale società grazie alla consumazione dei reati, pari a euro 999.770,85, con la conseguenza che nulla avrebbe dovuto essere sequestrato e poi confiscato per equivalente nei confronti degli autori dei reati, essendo stati rinvenuti beni nel patrimonio della contribuente debitrice di valore superiore al profitto confiscabile, essendo
irrilevante, sul punto, il valore realizzato dalla vendita all’asta di tali beni, in qua il profitto va correlato al valore stimato ex ante e prudenzialmente – al tempo del sequestro e non al valore di realizzo, mentre il giudice dell’esecuzione aveva erroneamente confuso il profitto con il ricavato dalla sua liquidazione.
Situazione analoga si era verificata con riferimento alle confische relative ai profitti ricavati dai reati tributari dalle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE con la differenza, rispetto alla RAGIONE_SOCIALE, che nel caso di tali società il valore de beni confiscati in via diretta non corrispondeva all’intero profitto dei reati, cosicché residuava un margine di operatività per la confisca per equivalente a carico degli autori dei reati, ma solo in misura pari alla differenza tra il profitto dei reati valore dei beni sequestrati in via diretta, come accertato al tempo del sequestro e della confisca, da suddividere tra tutti i condannati in modo paritario.
2.3. Con il terzo motivo ha lamentato il mancato accoglimento della propria istanza di sostituzione dei beni confiscati con una somma di denaro che si era dichiarato disponibile a mettere a disposizione, richiesta che era stata disattesa sulla base del rilievo che tale istanza era stata formulata con riferimento a valori inferiori a quelli effettivi dei beni confiscati, benché la richiesta fosse sta formulata solo con riferimento alla quota di profitto gravante su ogni correo al netto del valore dei beni sequestrati in via diretta.
2.4. Con il quarto motivo ha lamentato la mancata considerazione della propria consulenza tecnica di parte, relativa al valore effettivo degli immobili confiscati, pari, ad avviso del consulente tecnico del ricorrente, a complessivi euro 720.000,00, a fronte di una quota di profitto gravante come obbligo di restituzione sul ricorrente di euro 383.584,55, di cui, però, la Corte d’appello non aveva tenuto conto.
Il Procuratore Generale ha concluso nelle sue richieste scritte sollecitando il rigetto del ricorso, sottolineando la definitività e la conseguente intangibili dell’ordine di confisca dell’intero profitto del reato nei confronti del ricorrent nonché quanto esposto nell’ordinanza impugnata a proposito del fatto che quanto confiscato alle società contribuenti sia risultato sensibilmente inferiore rispetto all’ammontare del profitto confiscato dal giudice del merito, pari a complessivi euro 1.220.456,70; la definitività della condanna del ricorrente al pagamento dell’intero profitto del reato, pari a euro 1.220.456,70 (con eventuale recupero, in sede esecutiva, dell’ eccedenza realizzata dalla vendita dei beni rispetto alla somma confiscata); l’irrilevanza del valore di stima dei beni confiscati, sensibilmente superiore rispetto a quella effettuata dalla polizia giudiziaria e comunque inferiore rispetto alla somma confiscata di cui è stato onerato il ricorrente con sentenza definitiva.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Va premesso, per poter adeguatamente esaminare le censure sollevate dal condannato, che con sentenza del 14 maggio 2015 del Tribunale di Brescia il ricorrente era stato dichiarato responsabile del reato di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di reati tributari oltre che di plurimi reati fine, con l’applicazione della confisca per equivalente del profitto di tali reati; co sentenza del 10 maggio 2017 la Corte d’appello di Brescia ha dichiarato non doversi procedere nei confronti del ricorrente in relazione ad alcuni di detti reati fine, in quanto estinti per prescrizione, rideterminando di conseguenza il trattamento sanzionatorio e l’ammontare della confisca, in via diretta e per equivalente; il ricorso per cassazione nei confronti di tale sentenza proposto, tra gli altri, anche dall’attuale ricorrente è poi stato dichiarato inammissibile con la sentenza n. 50623 del 6 aprile 2018 di questa stessa Terza Sezione.
Il sesto motivo di tale ricorso, in particolare, era relativo proprio alla confisca per equivalente disposta nei confronti del ricorrente; con tale censura era stato evidenziato che non era stato adeguatamente considerato quanto confiscato in via diretta nei confronti delle società contribuenti che avevano beneficiato delle condotte illecite, in quanto i beni sequestrati e poi confiscati nei confronti della RAGIONE_SOCIALE erano di valore superiore al profitto dei reati commessi nel suo interesse, e il valore di quelli sequestrati nei confronti della RAGIONE_SOCIALE e del RAGIONE_SOCIALE era prossimo all’ammontare del profitto dei reati commessi nell’interesse di tali società, che avrebbe quindi dovuto essere considerato nel determinare l’ammontare della confisca per equivalente disposta a carico del ricorrente, che avrebbe dovuto essere pari alla differenza tra tale profitto e quanto confiscato a dette società; con il medesimo motivo di ricorso era anche stata lamentata la violazione del principio di proporzionalità e la mancata considerazione delle condotte dei concorrenti nelle condotte illecite.
Tali censure sono state ritenute manifestamente infondate, sulla base del rilievo che “la Corte territoriale ha motivatamente rigettato la relativa istanza stante l’impossibilità di verificare l’apporto di ciascun partecipe al sodalizi criminoso e, correlativamente, il profitto conseguito. Tale considerazione non è manifestamente illogica o irragionevole ed è in linea con le emergenze istruttorie, siccome il NATALE NOME non ha evidenziato un maggior profitto dei MORETTI rispetto a lui stesso. Del tutto irrilevante la rinuncia al compenso verso la società che certo non può eccepire in compensazione rispetto al credito vantato nei suoi confronti dall’Erario, mentre eventuali eccedenze della confisca disposta per equivalente rispetto all’insoddisfazione della confisca disposta nei confronti delle
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società (doglianza, peraltro, che dal ricorso per cassazione non risulta essere stata devoluta in appello) potranno essere apprezzate solo in fase esecutiva” (pag. 20 della citata sentenza n. 50623 del 2018).
Tanto premesso, a proposito della affermazione di responsabilità e delle statuizioni in ordine alla confisca, in particolare riguardo a quanto già devoluto dal ricorrente con le impugnazioni proposte nella fase di cognizione, osserva il Collegio che le censure sollevate con il primo motivo di ricorso, in ordine all’applicazione della confisca per equivalente nei confronti del ricorrente in relazione all’intero profitto dei reati ascrittigli e commessi in concorso con i coimputati, anziché con il limite di quanto da ciascun concorrente effettivamente conseguito, sono inammissibili, in quanto relative ad aspetti sui quali questa Corte si è già pronunciata e che, quindi, non possono essere oggetto di rivisitazione o riconsiderazione nella fase di esecuzione.
Pur prescindendo, infatti, dal rilievo, invero assorbente, che la sentenza COGNOME delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 13783 del 26/09/2024, dep. 2015, COGNOME, Rv. 287756 – 01), menzionata nel ricorso, peraltro solo con riferimento alla informazione provvisoria, si riferisce alla confisca diretta e non a quella per equivalente che è stata applicata al ricorrente, la deduzione della erronea determinazione della misura della confisca in corrispondenza dell’intero profitto del reato, senza considerare l’apporto concorsuale di ciascun correo e il vantaggio tratto da ciascuno di essi dai reati, è preclusa dall’essere stata tale identica censura, come evidenziato, già sottoposta a questa Corte con il ricorso per cassazione avverso la sentenza del 10 maggio 2017 della Corte d’appello di Brescia, e dichiarata manifestamente infondata, come peraltro evidenziato anche dalla Corte d’appello nell’ordinanza impugnata.
Ne consegue che tale censura, che comunque attiene, anche nella prospettazione del ricorrente, alla suddivisione delle responsabilità tra i concorrenti, dunque ad un aspetto proprio della fase di cognizione, risulta preclusa dalla definitività della affermazione di responsabilità e della applicazione della confisca per equivalente nei confronti del ricorrente in misura corrispondente all’intero profitto dei reati, trattandosi di statuizione che non può essere rivisita i sede esecutiva.
Il secondo motivo, mediante il quale è stata lamentata l’omessa considerazione di quanto sequestrato in via diretta nei confronti delle società contribuenti beneficiarie dei reati, il cui controvalore avrebbe dovuto essere dedotto dall’ammontare della confisca per equivalente applicata nei confronti del ricorrente, è inammissibile a causa della sua insufficiente specificità, in quanto i valori dei beni oggetto della confisca ai quali il ricorrente fa riferimento nel ricorso
sono, espressamente, secondo la stessa prospettazione del ricorrente, quelli del momento del loro sequestro, come sottolineato anche nell’ordinanza impugnata, mentre la verifica della sussistenza di un profitto residuo da sottoporre ad ablazione per equivalente va compiuta con riferimento al momento della definitività della confisca, perché è a tale momento, nel quale si determina l’effetto ablatorio, che occorre avere riguardo.
La confisca per equivalente può essere disposta nei confronti del legale rappresentate di una società solo nel caso, e nella misura, in cui sia impossibile la confisca diretta del profitto del reato nel patrimonio dell’ente che ha tratto vantaggio dalla commissione del reato.
Tale valutazione, quanto alla confisca, va, però, compiuta con riferimento al momento in cui il provvedimento di confisca divenga inoppugnabile, perché è in tal momento che si verifica l’effetto ablatorio e che quindi deve essere verificato se i beni confiscati in via diretta corrispondano o meno al profitto del reato, giacché solo in caso negativo, ossia qualora non sia possibile procedere alla confisca diretta di tutto il profitto del reato, sarà possibile disporre la confisca per equivalente ne confronti dell’autore del reato del profitto non confiscato, in tutto o in parte, in v diretta.
Può, quindi, sul punto relativo al momento in cui compiere la valutazione circa la necessità della confisca per equivalente e nel quale verificare il valore dei beni oggetto di confisca diretta, formularsi il seguente principio di diritto:
“Nel caso di adozione del sequestro finalizzato alla confisca in via diretta e contestualmente alla confisca per equivalente, la valutazione della sopravvenuta non necessità di tale seconda confisca in relazione alla sufficienza dell’importo dei beni oggetto della prima a “coprire” integralmente il profitto del reato va effettuata con riferimento ai valori di detti beni non al momento di adozione del sequestro ma al momento della definitività della confisca, essendo detto momento quello che determina l’effetto ablatorio”.
5. Nel caso in esame il ricorrente, a sostegno della propria allegazione circa la sufficienza, o comunque l’incidenza sull’ammontare del profitto confiscabile per equivalente, del valore dei beni sequestrati e poi confiscati nei confronti delle società contribuenti, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE ha affermato la sufficienza dei beni sequestrati e confiscati alla RAGIONE_SOCIALE rispetto al profitto del reato da questa conseguito e la rilevanza di quelli sequestrati alle altre due società, nella medesima prospettiva, ossia dell’incidenza sull’ammontare del residuo profitto del reato e sulla conseguente misura della confisca per equivalente dello stesso.
Nel sollevare tale eccezione, però, il ricorrente ha fatto espressamente riferimento al valore di tali beni al momento del loro sequestro, eseguito nel 2013,
eccependo l’irrilevanza, rispetto all’ammontare della confisca per equivalente, del valore di realizzo dei beni confiscati cui ha fatto riferimento la Corte d’appello, omettendo il necessario raffronto tra il valore dei beni confiscati in via diretta e i profitto dei reati al momento della adozione della confisca, come, invece, sarebbe stato necessario, trattandosi, come osservato, del momento in cui si produce l’effetto ablatorio e nel quale, quindi, deve essere compiuta detta verifica, rimanendo irrilevanti sia i valori del momento del sequestro, che ha solo una funzione cautelare, sia quelli di realizzo, in quanto la liquidazione avviene successivamente alla ablazione, con l’unico limite dell’ingiustificato arricchimento da parte dello Stato.
Ne consegue la genericità della doglianza, in quanto l’eccezione circa la sufficienza, o comunque la rilevanza, del valore dei beni confiscati in via diretta rispetto all’ammontare del profitto dei medesimi reati da confiscare per equivalente avrebbe dovuto essere sorretta dall’analisi del loro valore al momento della adozione del provvedimento di confisca, che è quello che determina l’effetto ablatorio e nel quale deve, come evidenziato, essere compiuta la valutazione in ordine alla necessità o meno della confisca per equivalente (e anche del suo ammontare).
Considerazioni analoghe a quelle formulate a proposito del primo motivo al punto 3 possono essere svolte a proposito del terzo e del quarto motivo, mediante i quali è stato lamentato il rigetto della richiesta subordinata avanzata dal medesimo ricorrente, volta a ottenere la sostituzione dei beni confiscati con una somma di denaro dallo stesso offerta (terzo motivo), ed è stata lamentata l’omessa considerazione della relazione di stima dei beni da confiscare redatta dal consulente tecnico di parte del ricorrente e da questi prodotta (quarto motivo), in quanto sia l’istanza di sostituzione sia la valutazione dei beni che sarebbe stata tralasciata si fondano sulla suddivisione per quote paritarie tra i correi del profitto da confiscare per equivalente, suddivisione che è stata esclusa inoppugnabilmente dalla citata sentenza n. 50623 del 2018.
Il ricorso deve, dunque, essere dichiarato inammissibile, a cagione della genericità del secondo motivo e della manifesta infondatezza del primo, del terzo e del quarto motivo.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 3.000,00.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 15/4/2025