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Confisca per equivalente: onere della prova del terzo

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3795/2024, ha rigettato il ricorso della moglie di un condannato avverso un provvedimento di confisca per equivalente su somme depositate sul suo conto corrente. La Corte ha stabilito che, in casi di sequestro funzionale alla confisca, il terzo che rivendica la proprietà dei beni deve fornire una prova rigorosa della titolarità effettiva e della provenienza lecita dei fondi, non essendo sufficienti affermazioni generiche. La difesa del terzo non può vertere sull’entità del profitto illecito, ma deve concentrarsi esclusivamente sulla dimostrazione della propria estraneità patrimoniale.

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Pubblicato il 27 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Confisca per Equivalente: La Prova a Carico del Terzo Intestatario

L’istituto della confisca per equivalente rappresenta uno strumento cruciale nella lotta alla criminalità economica, consentendo allo Stato di aggredire i patrimoni illeciti anche quando il profitto diretto del reato non è più rintracciabile. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 3795 del 2024) chiarisce in modo netto quale sia l’onere della prova a carico del terzo, in questo caso il coniuge dell’imputato, che si veda colpire i propri beni da tale misura.

Il Caso: Sequestro sul Conto Corrente del Coniuge

La vicenda trae origine da un procedimento penale per reati di corruzione a carico di un soggetto. Nel corso delle indagini, veniva disposto un sequestro finalizzato alla confisca per equivalente per un importo di 76.500 euro. La misura cautelare colpiva, tra gli altri, un conto corrente intestato alla moglie dell’imputato, considerata terza interessata rispetto al giudizio penale.

La donna proponeva istanza di dissequestro, sostenendo che le somme depositate sul suo conto fossero di sua esclusiva proprietà e di provenienza lecita. A sostegno della sua tesi, evidenziava di essere in regime di separazione dei beni con il marito sin dal 2001 e che i fondi derivavano, tra l’altro, da una donazione paterna. La Corte d’Appello di Napoli, tuttavia, rigettava la sua richiesta, ritenendo che non fossero stati offerti nuovi elementi capaci di superare la presunzione di riferibilità delle somme all’imputato.

La Difesa della Ricorrente e l’Onere della Prova

Avverso la decisione della Corte territoriale, la donna proponeva ricorso per Cassazione, lamentando un vizio di motivazione. Secondo la difesa, i giudici di merito si erano limitati a un rigetto apodittico, senza un reale sforzo motivazionale e operando un semplice rinvio a precedenti decisioni, anch’esse prive di un valido contenuto argomentativo.

La ricorrente insisteva sul fatto che, secondo la giurisprudenza, l’onere di dimostrare la riferibilità dei beni all’indagato spetta al pubblico ministero. Sosteneva di aver comprovato puntualmente che il conto era intestato e utilizzato esclusivamente da lei e che le somme avevano una provenienza legittima, elementi che la Corte non avrebbe adeguatamente considerato.

La Decisione della Cassazione sulla confisca per equivalente

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso infondato, confermando la decisione impugnata. Il punto centrale della sentenza risiede nella netta distinzione tra la posizione processuale dell’imputato e quella del terzo intestatario dei beni.

Secondo gli Ermellini, la difesa del terzo, la cui sfera patrimoniale è intaccata perché ritenuto un intestatario fittizio, deve necessariamente concentrarsi sulla rivendicazione della ‘proprietà effettiva’ dei beni. Non sono ammesse, in questa sede, contestazioni relative all’entità del profitto del reato o alla sua riferibilità all’imputato, in quanto tali questioni sono estranee alla posizione del terzo e pertengono esclusivamente al giudizio di merito nei confronti del condannato.

Le Motivazioni: La Prova della Titolarità Effettiva

La Corte ha chiarito che l’unico aspetto su cui la ricorrente manteneva la legittimazione a difendersi era la dimostrazione della sua effettiva titolarità dei beni sequestrati. Su questo punto, le allegazioni difensive sono state giudicate ‘estremamente generiche’. La prospettazione di una donazione di denaro dal padre, ad esempio, è stata ritenuta priva di un ‘adeguato supporto dimostrativo’.

Questa carenza probatoria ha reso, secondo la Cassazione, adeguata la motivazione del diniego espressa dai giudici di merito. In sostanza, di fronte a una misura di confisca per equivalente, non è sufficiente per il terzo affermare la propria titolarità: è necessario fornirne una prova concreta, specifica e documentata, capace di vincere la presunzione che i beni siano in realtà nella disponibilità dell’imputato.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche per i Terzi Coinvolti

La sentenza n. 3795/2024 ribadisce un principio fondamentale: chiunque, pur essendo estraneo a un reato, si trovi coinvolto in un procedimento di sequestro finalizzato alla confisca per equivalente perché intestatario di beni ritenuti ‘riferibili’ all’imputato, ha un onere probatorio molto stringente. La difesa deve essere focalizzata unicamente sulla dimostrazione della proprietà effettiva e autonoma dei beni, con prove concrete e non con mere allegazioni generiche. In mancanza di tale prova, la misura ablativa è destinata a rimanere in piedi, con la conseguente condanna del ricorrente anche al pagamento delle spese processuali.

Quando la confisca per equivalente può colpire i beni di un terzo, come il coniuge dell’imputato?
La confisca per equivalente può colpire i beni di un terzo quando questi sono ritenuti ‘riferibili’ all’imputato, ovvero si presume che, nonostante l’intestazione formale a un’altra persona, l’imputato ne abbia l’effettiva disponibilità. Il terzo viene considerato un intestatario fittizio.

Cosa deve dimostrare il terzo per ottenere la restituzione dei beni sequestrati?
Il terzo deve dimostrare in modo rigoroso e con adeguato supporto probatorio la propria ‘proprietà effettiva’ dei beni. Non sono sufficienti affermazioni generiche, ma è necessaria una prova concreta della titolarità e della provenienza lecita dei beni, tale da escludere che essi siano nella disponibilità del condannato.

Il terzo può contestare l’entità del profitto del reato o la colpevolezza dell’imputato per difendere i propri beni?
No. Secondo la sentenza, la difesa del terzo deve concentrarsi esclusivamente sulla rivendicazione della proprietà effettiva dei beni. I temi relativi all’entità del profitto del reato e alla sua riferibilità alla persona del condannato sono estranei alla posizione del terzo e appartengono al giudizio di merito nei confronti dell’imputato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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