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Confisca per equivalente: obbligo di motivazione

La Corte di Cassazione ha parzialmente annullato una sentenza di patteggiamento. Pur confermando la condanna per truffa aggravata, ha stabilito che la confisca per equivalente deve essere specificamente motivata. Il giudice di merito aveva omesso di giustificare l’importo della confisca, non considerando né le somme già restituite dall’imputato né il suo effettivo profitto personale rispetto a quello totale del gruppo criminale. La causa è stata rinviata per una nuova valutazione sulla sola misura patrimoniale.

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Pubblicato il 20 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Confisca per Equivalente nel Patteggiamento: la Cassazione Esige una Motivazione Rigorosa

La confisca per equivalente applicata in una sentenza di patteggiamento non può essere automatica o priva di giustificazione. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20995 del 2024, ha ribadito un principio fondamentale: il giudice ha l’obbligo di motivare in modo adeguato l’importo della confisca, tenendo conto delle somme eventualmente restituite dall’imputato e del profitto da lui concretamente percepito. L’assenza di tale motivazione rende illegittima la misura ablatoria. Analizziamo insieme questo importante caso.

I Fatti del Processo

Il caso riguarda un imputato che, attraverso un accordo di patteggiamento, aveva ottenuto una pena per vari reati, tra cui associazione per delinquere finalizzata alla truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche. Il Giudice per le Indagini Preliminari, oltre a ratificare l’accordo sulla pena, aveva disposto d’ufficio la confisca per equivalente di beni per un valore di oltre 3,4 milioni di euro, corrispondente all’intero profitto conseguito da tutti i membri dell’associazione criminale.

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione per due motivi principali:
1. Errata qualificazione giuridica del fatto: Sosteneva che i reati avrebbero dovuto essere qualificati come malversazione (art. 316 bis c.p.) anziché come truffa aggravata (art. 640 bis c.p.).
2. Illegalità della confisca: Lamentava che il giudice non avesse considerato le somme da lui già offerte in restituzione (circa 300.000 euro) e gli avesse addossato la confisca dell’intero profitto dell’associazione, senza distinguere la sua quota personale.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha adottato una decisione divisa: ha dichiarato inammissibile il primo motivo di ricorso ma ha accolto il secondo, annullando la sentenza limitatamente alla statuizione sulla confisca.

Le Motivazioni dietro la Sentenza sulla Confisca per Equivalente

Il cuore della pronuncia risiede nelle motivazioni con cui la Corte ha distinto i due motivi di ricorso. Per quanto riguarda la qualificazione giuridica, i giudici hanno chiarito che nel contesto di un patteggiamento, un’errata qualificazione può essere contestata solo se l’errore è ‘manifesto’, cioè palesemente evidente dalla sola lettura del capo d’imputazione. In questo caso, la contestazione di condotte fraudolente (artifizi e raggiri) per ingannare l’ente erogatore rendeva la qualificazione di truffa non palesemente errata.

Ben diversa è stata la valutazione sul secondo motivo. La Corte ha affermato con forza che la sinteticità della motivazione, tipica del rito del patteggiamento, non si estende all’applicazione di misure di sicurezza come la confisca. Il giudice che dispone una confisca per equivalente obbligatoria, come quella prevista dall’art. 640 quater c.p., ha un preciso obbligo di motivare su due punti cruciali:

1. Le ragioni per cui non ritiene attendibili le giustificazioni addotte sull’ammontare del valore, incluse le eventuali restituzioni effettuate.
2. L’imputabilità soggettiva della confisca, specialmente quando il profitto di tutti i concorrenti viene concentrato su un solo agente.

Nel caso di specie, il provvedimento impugnato era del tutto privo di motivazione su questi aspetti, essendosi limitato ad affermare apoditticamente che l’importo corrispondeva al profitto del reato. Questa mancanza rende la decisione illegittima e ne impone l’annullamento.

Le Conclusioni

Questa sentenza rafforza un principio di garanzia fondamentale: anche nei procedimenti speciali come il patteggiamento, le misure che incidono sul patrimonio dell’imputato devono essere supportate da una motivazione reale ed effettiva. La confisca per equivalente non può essere una sanzione indiscriminata. Il giudice deve sempre calcolare l’importo detraendo le somme già restituite e deve spiegare perché il profitto di un’intera organizzazione viene addebitato a un singolo individuo. La decisione di annullare la sentenza limitatamente a questo punto, con rinvio per un nuovo giudizio, assicura che il principio di proporzionalità e la necessità di una motivazione adeguata siano rispettati.

È possibile contestare la qualificazione giuridica di un reato in un patteggiamento?
Sì, ma la possibilità è limitata ai soli casi di ‘errore manifesto’, ovvero quando la qualificazione giuridica data al fatto risulta palesemente eccentrica ed errata rispetto al contenuto del capo di imputazione, con un’evidenza immediata e senza margini di opinabilità.

Il giudice deve motivare la confisca per equivalente in una sentenza di patteggiamento?
Assolutamente sì. La Corte di Cassazione ha chiarito che la sinteticità della motivazione tipica del patteggiamento non si estende all’applicazione della confisca. Il giudice ha l’obbligo di motivare specificamente sia l’ammontare del valore confiscato, sia l’imputabilità soggettiva dello stesso al singolo concorrente.

Cosa succede se il giudice non tiene conto delle somme già restituite dall’imputato nel calcolare la confisca?
Se il giudice non considera le restituzioni effettuate e non motiva le ragioni di tale scelta, la statuizione sulla confisca è illegittima per difetto di motivazione. In tal caso, la sentenza può essere annullata su quel punto, con rinvio a un altro giudice per una nuova e corretta determinazione dell’importo da confiscare.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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