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Confisca per equivalente: nuovo orientamento Cassazione

La Corte di Cassazione ha esaminato due ricorsi per reati fiscali. Ha annullato con rinvio la sentenza per un imputato, limitatamente alla confisca per equivalente, applicando un nuovo e più rigoroso principio delle Sezioni Unite che distingue tra confisca diretta e per equivalente del denaro. Per il secondo imputato, il ricorso è stato dichiarato inammissibile, confermando la condanna e la legittimità della norma che nega la pena sospesa in casi di grave evasione fiscale.

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Pubblicato il 7 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Confisca per equivalente: le Sezioni Unite cambiano le regole

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 29535/2025, interviene su temi cruciali del diritto penale tributario, offrendo spunti di riflessione sulla confisca per equivalente e sui limiti alla concessione della pena sospesa. La pronuncia, che nasce dall’esame di due distinti ricorsi, segna un punto di svolta nell’interpretazione delle misure ablative applicate al denaro, recependo un fondamentale intervento delle Sezioni Unite. L’analisi della Corte distingue nettamente le posizioni dei due ricorrenti, accogliendo parzialmente le ragioni di uno e dichiarando inammissibile il ricorso dell’altro.

I Fatti del Processo

Il caso trae origine da una sentenza della Corte di Appello di Napoli. Il primo imputato, il cui reato di indebita compensazione era stato dichiarato prescritto, si era visto comunque confermare una misura di confisca su alcuni suoi beni. Egli ha impugnato la decisione lamentando l’inutilizzabilità di prove (intercettazioni e dichiarazioni) provenienti da un altro procedimento e, soprattutto, l’illegittimità della confisca, basata su un orientamento giurisprudenziale successivo e a lui sfavorevole.

Il secondo imputato, condannato per emissione di fatture per operazioni inesistenti, lamentava invece l’incostituzionalità della norma che, in presenza di determinate soglie di evasione, nega automaticamente il beneficio della pena sospesa. Contestava, inoltre, la sussistenza dell’elemento psicologico del reato, ovvero il dolo specifico.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha adottato due decisioni differenti per i due ricorrenti, evidenziando la specificità di ogni singola posizione processuale.

L’Annullamento della Confisca per Equivalente

Per il primo ricorrente, la Cassazione ha annullato la sentenza limitatamente alla confisca, rinviando il caso alla Corte d’Appello per una nuova valutazione. La Corte ha ritenuto irrilevanti le eccezioni sull’inutilizzabilità delle prove, applicando il principio della “prova di resistenza”: la condanna si basava su un compendio probatorio così solido (sentenze passate in giudicato, documentazione, altre dichiarazioni) che, anche espungendo le prove contestate, la decisione sarebbe rimasta invariata.

Il punto cruciale, però, è stato l’accoglimento del motivo sulla confisca. La Corte ha applicato il recentissimo principio stabilito dalle Sezioni Unite (sentenza n. 13783/2025, Massini), secondo cui la confisca di somme di denaro è “diretta” solo se vi è la prova certa della derivazione causale di quel denaro dal reato. In assenza di tale prova, la confisca va qualificata come confisca per equivalente. La Corte d’Appello aveva omesso questa valutazione, rendendo necessaria una nuova e più specifica motivazione sul punto.

Il Rigetto del Ricorso dell’Amministratore

Il ricorso del secondo imputato è stato dichiarato interamente inammissibile. La Corte ha respinto la questione di legittimità costituzionale sulla norma che preclude la sospensione condizionale della pena. Ha affermato che rientra nella discrezionalità del legislatore, nell’ambito della propria politica criminale, stabilire trattamenti sanzionatori più rigorosi per reati ritenuti di particolare gravità, come le frodi fiscali di ingente valore, specialmente in contesti economici difficili.

Anche il motivo relativo alla mancanza di dolo specifico è stato ritenuto infondato. La Corte territoriale aveva adeguatamente motivato come l’imputato, pur agendo come amministratore “di diritto” ma di fatto un prestanome, fosse pienamente consapevole delle gravi pendenze fiscali della società e del suo ruolo nel meccanismo fraudolento, accettando un compenso proprio per assumersi tale carica fittizia.

Le Motivazioni

La sentenza si fonda su due pilastri argomentativi distinti. Per quanto riguarda la confisca per equivalente, la motivazione risiede nell’adesione al nuovo orientamento delle Sezioni Unite, che impone un onere probatorio più stringente per qualificare come “diretta” la confisca di denaro. Non è più sufficiente la natura fungibile del bene, ma occorre un nesso di derivazione provato tra il denaro sequestrato e il reato commesso. Questa interpretazione garantisce una maggiore tutela del patrimonio dell’imputato, distinguendo chiaramente ciò che è profitto diretto del reato da ciò che ne rappresenta solo un equivalente patrimoniale.

Per il secondo ricorso, la motivazione della Corte si basa sul rispetto delle scelte di politica criminale del legislatore. La negazione della pena sospesa per gravi reati fiscali è considerata una scelta ragionevole e non sproporzionata, giustificata dalla necessità di un trattamento sanzionatorio più efficace e deterrente. Sul fronte del dolo, la Corte ribadisce il consolidato principio secondo cui l’amministratore di diritto risponde in concorso con l’amministratore di fatto quando è consapevole del ruolo di “testa di legno” e accetta di ricoprirlo, a maggior ragione se dietro compenso, dimostrando così la piena adesione al progetto criminoso.

Conclusioni

La sentenza n. 29535/2025 ha importanti implicazioni pratiche. In primo luogo, consolida un cambiamento significativo in materia di confisca per equivalente del denaro, richiedendo ai giudici di merito una motivazione rafforzata sulla provenienza delle somme da sequestrare. Questo principio aumenta le garanzie per l’imputato. In secondo luogo, conferma la legittimità delle norme che prevedono un regime sanzionatorio più severo per i reati fiscali di maggiore allarme sociale, riaffermando che la discrezionalità del legislatore in materia penale può essere sindacata solo in caso di palese irragionevolezza, qui non ravvisata. Infine, ribadisce la responsabilità penale degli amministratori fittizi, che non possono invocare la mera apparenza del loro ruolo per sfuggire alle conseguenze penali delle loro azioni.

Quando la confisca di denaro è ‘diretta’ e quando ‘per equivalente’ secondo il nuovo orientamento?
Secondo la nuova interpretazione delle Sezioni Unite, recepita in questa sentenza, la confisca di somme di denaro è ‘diretta’ solo quando esiste la prova di un nesso di derivazione causale tra il denaro sequestrato e il reato. Se tale prova manca, la confisca deve essere considerata ‘per equivalente’.

Perché la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso dell’amministratore che contestava la mancanza di dolo?
La Corte ha ritenuto che la sentenza di appello avesse motivato in modo adeguato la sussistenza del dolo specifico. Era stato dimostrato che l’amministratore, pur essendo un prestanome, aveva assunto la carica dietro compenso, con piena consapevolezza delle gravi pendenze fiscali della società e del suo ruolo strumentale al disegno illecito dell’amministratore di fatto.

È legittimo che la legge neghi la sospensione condizionale della pena per reati fiscali molto gravi?
Sì, secondo la Corte di Cassazione, questa scelta rientra nelle prerogative di politica criminale del legislatore. La previsione di un trattamento sanzionatorio più rigoroso, come l’esclusione della pena sospesa per reati fiscali che superano determinate soglie di evasione, è considerata una scelta sorretta da una giustificazione idonea e ragionevole, legata alla gravità del fatto e alla necessità di una sanzione efficace.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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