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Confisca per equivalente: non è retroattiva

La Corte di Cassazione conferma le condanne per un’associazione a delinquere finalizzata al traffico internazionale di stupefacenti. Tuttavia, annulla parzialmente la sentenza per un’imputata, stabilendo un principio fondamentale: la confisca per equivalente, avendo natura di sanzione penale, non può essere retroattiva e si applica solo ai reati commessi dopo l’entrata in vigore della norma nel dicembre 2007.

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Pubblicato il 9 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Confisca per equivalente: la Cassazione ne sancisce la non retroattività

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio cruciale in materia di misure patrimoniali: la confisca per equivalente non può essere applicata retroattivamente. Questa decisione, emersa nell’ambito di un processo per traffico internazionale di stupefacenti e riciclaggio, chiarisce i limiti temporali di uno degli strumenti più incisivi a disposizione dello Stato per colpire i patrimoni di origine illecita.

Il caso analizzato riguarda una complessa organizzazione criminale che importava cocaina dall’Olanda per smerciarla in Sardegna, reinvestendo poi i profitti in attività economiche apparentemente lecite, come imprese edili e agricole.

I fatti di causa

Le indagini hanno portato alla luce un’associazione a delinquere ben strutturata, con ruoli definiti: un promotore e direttore, un fornitore stabile in Olanda, corrieri per il trasporto del denaro e della droga, e intermediari che fornivano copertura e strumenti per il riciclaggio. La Corte d’Appello aveva confermato le condanne per la maggior parte degli imputati, riconoscendo la sussistenza di una stabile organizzazione operativa sin dal 2011.

Tra le varie accuse, vi era anche quella di autoriciclaggio a carico di alcuni membri, tra cui la moglie del presunto capo, che aveva impiegato capitali illeciti in un’impresa agricola individuale. Per questi reati, i giudici di merito avevano disposto una vasta confisca di beni.

La decisione della Corte sulla confisca per equivalente

Il punto centrale del ricorso in Cassazione, per una delle imputate, ha riguardato proprio la legittimità della confisca per equivalente. I suoi difensori hanno sostenuto che la misura era stata applicata anche a proventi di reati commessi in un periodo in cui la norma (art. 648-quater c.p.) non era ancora in vigore.

La Suprema Corte ha accolto questa tesi, annullando parzialmente la sentenza. I giudici hanno chiarito che la confisca per equivalente non è una misura di sicurezza, ma una vera e propria sanzione penale. Come tale, è soggetta al principio di irretroattività sancito dall’art. 25 della Costituzione e dall’art. 7 della CEDU. Questo significa che non può essere applicata a fatti commessi prima della sua introduzione, avvenuta con il D.Lgs. 231/2007, in vigore dal 29 dicembre 2007.

Altre decisioni: la prova del delitto associativo

La Corte ha rigettato gli altri ricorsi, confermando l’impianto accusatorio. In particolare, ha ritenuto corretta la valutazione dei giudici di merito sull’esistenza di un’associazione a delinquere stabile e operante da anni. Per i giudici, anche in assenza della prova di singoli episodi di traffico nei primi anni di attività (2011-2012), la frequenza dei contatti, i viaggi e il modus operandi identico a quello accertato successivamente erano elementi sufficienti a dimostrare l’operatività del sodalizio.

Le motivazioni

La motivazione della Cassazione sulla confisca per equivalente è di fondamentale importanza. La Corte ha spiegato che, a differenza della confisca diretta (che colpisce il profitto specifico del reato), quella per equivalente aggredisce il patrimonio del reo per un valore corrispondente. Questo le conferisce un carattere afflittivo e sanzionatorio, non preventivo. Di conseguenza, deve rispettare le garanzie previste per le pene, prima fra tutte l’irretroattività. La Corte d’Appello aveva errato nel disporre una confisca indiscriminata su beni e proventi accumulati dal 2001, senza distinguere tra i profitti generati prima e dopo il 29 dicembre 2007. Per questo motivo, ha rinviato il caso a una nuova sezione della Corte d’Appello, che dovrà ricalcolare l’importo da confiscare limitandolo ai soli reati commessi dopo tale data.

Per quanto riguarda le altre posizioni, le condanne sono state confermate perché le motivazioni delle sentenze di merito sono state ritenute logiche e ben argomentate. Ad esempio, la richiesta di un’attenuante speciale da parte del capo dell’organizzazione, che aveva fatto ritrovare una somma di 120.000 euro, è stata respinta. La Corte ha ritenuto che tale contributo non fosse stato “decisivo” per interrompere l’attività del sodalizio, ma fosse avvenuto quando l’associazione era già stata smantellata dalle indagini.

Le conclusioni

La sentenza consolida un orientamento giurisprudenziale fondamentale: la confisca per equivalente è uno strumento potente ma non può violare i principi di garanzia costituzionale. La sua natura sanzionatoria impone un’applicazione rigorosa del principio tempus commissi delicti. La decisione ha un’implicazione pratica diretta: l’autorità giudiziaria, nel disporre tale misura, deve sempre verificare che i reati presupposto siano stati commessi in un’epoca in cui la confisca era già prevista dalla legge. Per gli imputati, la sentenza conferma la solidità delle accuse di associazione a delinquere basate su un modus operandi consolidato, anche senza la prova di ogni singola transazione illecita.

Cos’è la confisca per equivalente e perché non può essere retroattiva?
È una sanzione che permette di sequestrare beni di valore pari al profitto di un reato quando non si può sequestrare il profitto diretto. La Corte di Cassazione ha stabilito che, avendo natura di ‘pena’, non può essere applicata a reati commessi prima che la legge che la prevede entrasse in vigore (29 dicembre 2007), in rispetto del principio di irretroattività della legge penale.

È necessario provare ogni singolo episodio di traffico per dimostrare l’esistenza di un’associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico?
No. Secondo la sentenza, l’esistenza di una stabile organizzazione può essere provata anche attraverso elementi logici e un ‘modus operandi’ consolidato nel tempo, come contatti telefonici frequenti, viaggi e schemi operativi ripetuti, anche se non si riescono a provare specifici episodi di cessione di droga per l’intero periodo contestato.

Fare ritrovare una parte del denaro illecito garantisce automaticamente l’applicazione di un’attenuante?
No. La Corte ha chiarito che, per ottenere l’attenuante speciale prevista dall’art. 74, comma 7, d.P.R. 309/90, il contributo dell’imputato deve essere ‘decisivo’ per interrompere l’attività del gruppo criminale o per assicurare le prove del reato. Nel caso di specie, far ritrovare una somma di denaro quando l’associazione era già stata smantellata dalle forze dell’ordine non è stato ritenuto un contributo decisivo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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