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Confisca per equivalente: la prova del profitto è d’obbligo

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 32/2024, ha stabilito un importante principio sulla confisca per equivalente. In un caso di reati fiscali e sfruttamento del lavoro, la Corte ha confermato la confisca per le evasioni fiscali, il cui profitto coincide con l’imposta non versata. Tuttavia, ha annullato la confisca relativa allo sfruttamento del lavoro, poiché il giudice non aveva motivato il calcolo del profitto, rendendo la misura illegittima. La decisione sottolinea che, a differenza dei reati tributari, per altri illeciti la prova e la quantificazione del profitto sono necessarie.

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Pubblicato il 15 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Confisca per Equivalente: La Cassazione Traccia la Linea tra Reati Fiscali e Sfruttamento del Lavoro

La confisca per equivalente è uno strumento potente nel contrasto alla criminalità economica, ma la sua applicazione non è sempre automatica. Con la recente sentenza n. 32/2024, la Corte di Cassazione ha offerto un importante chiarimento, distinguendo nettamente i presupposti per la sua applicazione a seconda della natura del reato. Se per i reati tributari il profitto è facilmente identificabile, per altri illeciti come lo sfruttamento del lavoro è richiesto un accertamento rigoroso e motivato da parte del giudice.

Il Caso: Reati Tributari e Sfruttamento del Lavoro

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un imputato che, tramite patteggiamento, aveva concordato una pena per una serie di reati gravi, tra cui:

* Omesso versamento di ritenute d’imposta per oltre 220.000 euro (art. 10-bis D.Lgs. 74/2000).
* Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro (art. 603-bis c.p.).
* Omesso versamento di ritenute IRPEF per circa 136.000 euro (art. 10-quater D.Lgs. 74/2000).

Il Giudice per le Indagini Preliminari (GUP), oltre ad applicare la pena concordata, aveva disposto la confisca obbligatoria, sia diretta che per equivalente, sui beni dell’imputato per un valore corrispondente al profitto dei diversi reati. In particolare, la confisca per il reato di sfruttamento del lavoro era stata quantificata in circa 52.000 euro.

La questione della confisca per equivalente davanti alla Cassazione

La difesa dell’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, contestando esclusivamente la parte della sentenza relativa alla confisca. Il motivo del ricorso era chiaro: il giudice aveva ordinato la misura ablativa senza fornire alcuna motivazione sulla sussistenza e sulla quantificazione del profitto del reato, specialmente per quanto riguarda il delitto di sfruttamento del lavoro. Secondo la difesa, non era sufficiente basarsi su calcoli di natura giuslavoristica per determinare automaticamente un profitto penalmente rilevante, mancando inoltre la prova di una sproporzione tra i beni dell’imputato e i suoi redditi.

Il Principio per i Reati Tributari

La Corte di Cassazione ha innanzitutto rigettato il ricorso per quanto concerne i reati fiscali. Gli Ermellini hanno ribadito un principio ormai consolidato: nei reati di omesso versamento di tributi, il profitto del reato coincide esattamente con l’ammontare dell’imposta evasa. Di conseguenza, la confisca, anche per equivalente, è legittima per l’intero importo del tributo non versato, e non solo per la parte che eccede la soglia di punibilità. In questo contesto, il profitto si ricava direttamente dall’imputazione e non necessita di un complesso accertamento ulteriore.

Il Diverso Approccio per lo Sfruttamento del Lavoro

La Corte ha invece accolto il ricorso riguardo alla confisca disposta per il reato di sfruttamento del lavoro. La sentenza evidenzia una lacuna fondamentale nella decisione del GUP: la totale assenza di motivazione sul calcolo del profitto. A differenza dei reati tributari, dove il profitto è l’imposta stessa, nel reato di sfruttamento del lavoro la quantificazione del vantaggio economico non è automatica. Deriva da un accertamento specifico che il giudice deve compiere e, soprattutto, esplicitare nella motivazione della sentenza. Nel caso di specie, il giudice aveva disposto la confisca per quasi 52.000 euro senza spiegare come fosse arrivato a tale cifra, rendendo la statuizione censurabile.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La decisione della Suprema Corte si fonda sulla distinzione tra la natura dei reati. Per i reati tributari omissivi, il risparmio di spesa (l’imposta non pagata) costituisce il profitto diretto e quantificabile. In questi casi, la confisca è un atto quasi dovuto e la sua determinazione numerica è implicita nel capo d’imputazione. Per il reato di cui all’art. 603-bis c.p., invece, il profitto può consistere in vari vantaggi economici (risparmio sul costo del lavoro, mancato versamento di contributi, ecc.) che devono essere analiticamente individuati e provati. Il giudice non può limitarsi a recepire una cifra senza spiegare il percorso logico-giuridico che l’ha generata. L’assenza di tale spiegazione costituisce un vizio di motivazione che rende illegittima la misura di sicurezza patrimoniale, anche in una sentenza di patteggiamento.

Conclusioni

La sentenza n. 32/2024 della Corte di Cassazione riafferma un principio di garanzia fondamentale: ogni provvedimento che incide sul patrimonio di una persona deve essere sorretto da una motivazione adeguata. Se per alcuni reati la prova del profitto è in re ipsa, per altri è necessario un accertamento fattuale che non può essere dato per scontato. La Corte ha quindi annullato la sentenza limitatamente alla confisca per il reato di sfruttamento del lavoro, rinviando la questione a un nuovo giudice che dovrà procedere a un corretto accertamento e a una congrua motivazione sulla quantificazione del profitto illecito.

È sempre necessaria la prova del profitto per ordinare la confisca per equivalente?
No, dipende dal tipo di reato. Per i reati di omesso versamento di imposte, il profitto corrisponde all’imposta non versata e non richiede un’ulteriore prova. Per altri reati, come lo sfruttamento del lavoro, la quantificazione del profitto non è automatica e deve essere specificamente accertata e motivata dal giudice.

Nei reati di omesso versamento di imposte, come si calcola il profitto da confiscare?
Il profitto del reato si identifica con l’intero ammontare del tributo non versato. La confisca è legittima per la totalità dell’imposta evasa, non solo per la parte che supera l’eventuale soglia di punibilità prevista dalla legge.

Si può impugnare una sentenza di patteggiamento per un difetto di motivazione sulla confisca?
Sì. Anche dopo le recenti riforme, è ammissibile il ricorso per cassazione contro una sentenza di patteggiamento per vizi della motivazione relativi all’applicazione di una misura di sicurezza come la confisca. Una motivazione mancante o meramente apparente su questo punto è considerata un’ipotesi di ‘illegalità della misura di sicurezza’, assimilabile a una violazione di legge.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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