Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 11066 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 11066 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/12/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
COGNOME NOME, nato a Bari il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, nato a Bari il DATA_NASCITA
avverso il decreto del 21/04/2023 della Corte di appello di Bari lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
visti gli atti, il provvedimento impugnato e í ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; generale NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto dei ricorsi;
RITENUTO IN FATTO
Con decreto 17 febbraio 2022 la Corte di appello di Bari, ritenendo sussistenti i presupposti di cui agli artt. 1, comma 1, lett. b), e 4, comma 1, lett. c), d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, ordinava:
il sequestro di prevenzione, ai danni del proposto NOME COGNOME, della somma complessiva di 442.000,00 euro, quale profitto diretto di attività criminose, temporalmente correlato al loro dispiegarsi e assoggettabile a futura confisca;
il sequestro per equivalente, ai sensi dell’art. 25 d.lgs. n. 159, cit. subordinato all’incapienza del patrimonio liquido del proposto, di quote societarie e beni immobili intestati al proposto stesso e al titolare interposto NOME COGNOME.
Con sentenza n. 28962 del 2022, la Quinta sezione penale della Corte di cassazione, in parziale accoglimento del ricorso degli interessati, annullava con rinvio il menzionato decreto, limitatamente al disposto sequestro per equivalente, funzionale a misura ablativa avente natura sanzionatoria e come tale sottratta al generale principio di retroattività delle misure di sicurezza sancito dall’art. 200 cod. pen.
Si poneva dunque il problema, rimasto inesplorato, e rimesso al giudice di rinvio, dell’applicabilità, ratione temporis, delle previsioni succedutesi nel tempo sul tema.
La Corte di appello di Bari, in sede di rinvio, ribadiva la misura cautelare, escludendo tuttavia dal novero dei beni sequestrati in via equivalente quelli acquistati in data antecedente all’entrata in vigore del d.l. 23 maggio 2008, n. 92, conv. dalla legge 24 luglio 2008, n. 125.
Secondo il giudice di rinvio, gli istituti del sequestro e della confisca per equivalente erano stati introdotti, nel sistema della prevenzione, da detta fonte normativa (esattamente dal suo art. 10, comma 1, lett. d), n. 4), che aveva sul punto integrato l’allora vigente art. 2-ter della legge 31 maggio 1965, n. 575).
Nel rispetto del canone di legalità penale, erano dunque assoggettabili a misura di rigore i soli beni, di valore equivalente, posteriormente entrati a far parte del patrimonio degli interessati.
NOME COGNOME e NOME COGNOME ricorrono per cassazione contro la decisione adottata in sede di rinvio, mediante unico atto sottoscritto dal comune difensore di fiducia.
Il ricorso è articolato in due motivi.
Con il primo motivo, i ricorrenti deducono la violazione degli artt. 27 e 111 Cost., 7 CEDU e 25 d.lgs. n. 159 del 2011. Essi ribadiscono che la confisca per equivalente costituisce una sanzione penale, la cui applicazione non potrebbe giammai essere retroattiva, per imperativo costituzionale e convenzionale, come non potrebbe esserla quella del sequestro antìcipatorio. Risalendo l’attuale conformazione delle due misure all’art. 5, cornma 9, della legge 17 ottobre 2017, n. 161 (che ha novellato l’art. 25 d.lgs. n. 159 del 2011), le stesse non potrebbero applicarsi ai «fatti antecedenti» alla data di entrata in vigore di tale legge; e, quindi, non avrebbero potuto essere disposte nella specie, essendo i reati, elevati a presupposto della misura di prevenzione patrimoniale a carico di NOME COGNOME, stati commessi, secondo contestazione, non oltre il 27 settembre 2016.
Con il secondo motivo, i ricorrenti deducono la violazione della legge processuale. Il loro difensore, AVV_NOTAIO NOME COGNOME, nominato in prossimità della data di trattazione del procedimento in sede di rinvio, non avrebbe avuto il tempo di preparare un’adeguata difesa, non essendo stata accolta la sua istanza di aggiornamento della trattazione medesima. Quest’ultima sarebbe avvenuta, peraltro, in concomitanza con l’astensione dalle udienze deliberata dall’RAGIONE_SOCIALE.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il secondo motivo, da esaminare in via logicamente pregiudiziale, è manifestamente infondato.
Il decreto impugnato attesta che l’AVV_NOTAIO depositò memoria nel giudizio di rinvio in data 18 aprile 2023 e in tale memoria espressamente dichiarò di avere ricevuto il mandato defensionale dai suoi assistiti nella precedente data del 7 marzo. Tali circostanze di fatto non risultano contestate. In rapporto alla data del 21 aprile 2023, di trattazione effettiva del procedimento, vi era dunque un tempo perfettamente adeguato, a partire dal 7 marzo, per allestire la difesa.
La trattazione si è svolta, inoltre, nelle forme della camera di consiglio non partecipata, ai sensi dell’art. 23-bis d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, conv. dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176; sicché, in presenza di contraddittorio solo cartolare, la protesta di RAGIONE_SOCIALE non poteva avere alcuna incidenza sull’ulteriore corso del procedimento.
Il primo motivo, che si passa per l’effetto a scrutinare, è infondato.
La sentenza rescindente di legittimità, pronunciata a definizione del primo giudizio di cassazione, ha già nitidamente chiarito:
da un lato, che il presupposto giustificativo della confisca diretta di prevenzione (e dello stesso sequestro, che ne anticipa provvisoriamente gli effetti) è «la ragionevole presunzione che il bene sia stato acquistato con í proventi di attività illecita», con la conseguenza che, nell’ottica del sistema, l’ablazione del medesimo bene costituisce non già una sanzione, ma la naturale conseguenza della sua illecita acquisizione, la quale determina un vizio genetico nella costituzione dello stesso diritto di proprietà in capo a chi ne abbia conseguito la materiale disponibilità, risultando ovvio che «la funzione sociale della proprietà privata possa essere assolta solo all’indeclinabile condizione che il suo acquisto sia conforme alle regole dell’ordinamento giuridico»;
dall’altro, che, laddove la misura reale investa viceversa beni diversi, non correlati all’attività illecita – come l’ordinamento giuridico consente, secondo le modalità che saranno di seguito illustrate, in presenza di ostacoli oggettivi o giuridici al diretto recupero del bene che sarebbe stato confiscabile in via ordinaria – appare prevalente il profilo afflittivo, tale da ricondurre tale special forma di sequestro e tale speciale forma di confisca, dette per equivalente, nell’area sanzionatoria, con il generale corollario del divieto di retroattività dell previsioni che le governano (affermato già da Sez. 1, n. 11768 del 28/02/2012, Barilari, Rv. 252297-01).
La confisca per equivalente, nel procedimento di prevenzione, è strutturata in modo sensibilmente diverso rispetto alla confisc:a per equivalente di matrice strettamente penalistica. In quest’ultimo ambito risulta indispensabile l’accertamento di uno specifico fatto di reato, che abbia generato un illecito profitto e sia stato commesso sotto il vigore della previsione che autorizza l’intervento ablativo di natura sanzionatoria. Dopo l’individuazione del bene che rappresenta un tale profitto, e in caso di impossibilità di incameramento di esso, la misura di rigore rende possibile aggredire beni di valore corrispondente, comunque rinvenuti nella disponibilità del condannato.
Nell’ambito della prevenzione, per contro, il punto di riferimento non è direttamente l’avvenuta commissione di un reato, quanto l’esistenza di una condizione soggettiva di pericolosità (eventualmente, ma non indefettibilmente, correlata alla consumazione di illeciti penali, che possono essere rilevati anche solo incidentalmente e a livello indiziario), nonché, per la prevenzione patrimoniale, la titolarità di beni che risultino essere, per un verso, temporalmente correlati a quella condizione soggettiva, e, per altro verso,
sproporzionati rispetto al reddito lecito in concomitanza prodotto, ovvero direttamente frutto della condizione di pericolosità (Sez. U, Sentenza n. 4880 del 26/06/2014, dep. 2015, Spinelli, Rv. 262605-01).
Una volta individuato, secondo questo schema legale, non già il profitto dello specifico reato, quanto l’incremento patrimoniale confiscabile ricadente nel periodo di pericolosità, risulterà possibile prendere eventualmente atto della impossibilità oggettiva di aggredire direttamente i beni, in cui quell’incremento si fosse riflesso, e traslare il loro valore su altri beni, in sé di legittima provenienz comunque rinvenuti nel patrimonio del proposto, svincolati, a questo punto, dal presupposto della correlazione temporale (Sez. 1, n. 16324 del 16/12/2021, dep. 2022, La Mantia, Rv. 283308-01).
5. Così ricostruito l’archetipo, ben si comprende come il canone legale di irretroattività – che per le norme incriminatrici, e per le pene in esse comminate, si misura sul fatto di reato – nel sistema della prevenzione vada riferito, beninteso ove tale canone debba osservarsi (come nel sequestro e nella confisca per equivalente), non al reato in quanto tale, neppure necessariamente presente, ma all’arco di tempo in cui si è manifestata la pericolosità sociale e sono avvenuti i concomitanti acquisti, aventi ad oggetto i beni che sarebbero stati suscettibili di ablazione in via diretta.
E’ sul presupposto che questi ultimi siano, a vario titolo, indisponibili che l’ordinamento ha introdotto rimedi, sanzionatori e cautelari, di portata equivalente, che, incidendo su beni di pari valore, appartenenti al soggetto pericoloso, adempiano la funzione retributiva di sottrargli utilità corrispondenti a quelle illecitamente acquisite.
Tale funzione retributiva è legittima, se il suo esercizio è autorizzato da una norma già entrata in vigore al momento in cui l’interessato ne ha, scientemente e volontariamente, posto in essere le premesse; ossia già entrata in vigore al momento di manifestazione della pericolosità sociale, cui si correla l’acquisto dei beni andati dispersi o perduti. Operando tali acquisti a norma già in vigore, il soggetto conosceva, o era in grado di conoscere, la risposta sanzionatoria apprestata dall’ordinamento, in termini di confiscabilità di beni diversi e di valore equivalente, non direttamente correlati all’attività illecita. Il principio di lega penale è così rispettato.
Nessun rilievo assume invece, nell’ottica della verifica di tale rispetto, l’epoca di acquisto dei beni surrogati, giacché non è in tale acquisto che si esprime la condotta antigiuridica sanzionata (Sez. 5, n. 41016 del 11/07/2023, COGNOME Mantia, Rv. 285327-01; Sez. 5, n. 40415 del 27/09/2022, COGNOME, Rv. 283869-01). I beni surrogati sono soltanto l’oggetto materiale su cui cade una
risposta punitiva, che in tanto è ammessa in quanto essa fosse legalmente predefinita al tempo in cui la persona assoggettata a misura patrimoniale ha tenuto il comportamento antigiuridico, che di quella risposta rappresenta il presupposto. Data questa condizione, i beni surrogati possono essere incisi per equivalente indipendentemente dal tempo del loro acquisto. Sul punto deve essere rettificata la ratio decidendi del decreto impugnato, che tale snodo ha indebitamente assunto a discrimine.
Né rilievo decisivo assume, in chiave di rispetto del principio di irretroattività, diversamente da quanto affermato dal Procuratore generale requirente nelle sue conclusioni scritte, la mera data di inizio del procedimento di prevenzione.
Questa soluzione, secondo cui l’irretroattività della misura impedirebbe di farvi ricorso nei soli procedimenti di prevenzione anteriormente pendenti, implicitamente disattesa dalla sentenza rescindente di legittimità in questo processo già intervenuta (questo stesso giudizio di rinvio non avrebbe avuto altrimenti senso), appare invero avallata dagli arresti giurisprudenziali da ultimo citati (Sez. 5, n. 41016 del 2023, e Sez. 5, n. 40415 del 2022), anche sulla scia dell’art. 36, comma 3, della legge 17 ottobre 2017, n. 161 (di riforma della normativa antimafia e di prevenzione). Tale disposizione ha previsto, in chiave intertemporale, che dallo statuto del sequestro e della confisca per equivalente, dalla legge. n. 161 aggiornato, restino esclusi i «procedimenti nei quali, alla data di entrata in vigore della presente legge, sia già stata formulata proposta di applicazione della misura di prevenzione».
Tali arresti non possono essere condivisi. A questa norma transitoria, diretta solo a regolare, in materia, il subentro della nuova disciplina sanzionatoria alla preesistente, non può essere infatti assegnato un significato normativo eccedente lo scopo.
Vero è che il riferimento al tempo di presentazione della proposta non soddisfa realmente l’esigenza di garanzia, sottesa al divieto di retroattività delle disposizioni che hanno introdotto gli istituti in disamina, o ne hanno eventualmente ampliato l’operatività. Non lo soddisfa, in particolare, ogni qualvolta il procedimento di prevenzione si sia aperto, bensì, sotto il vigore di quelle disposizioni, ma abbia preso a riferimento indici di peric:olosità, e acquisti temporalmente correlati, anteriormente verificatisi, e venuti quindi in essere in un tempo in cui l’ordinamento non era conformato in modo da prevedere la reazione sanzionatoria, ovvero in un tempo in cui tale conformazione obbediva ad una disciplina meno rigorosa. In ipotesi siffatte, dare corso al sequestro o alla confisca per equivalente, secondo la legge vigente alla data di instaurazione del
procedimento, significherebbe applicare ai fatti della vita norme sanzionatorie posteriori, in violazione del canone di legalità penale.
Occorre, a questo punto, soffermarsi sinteticamente sulla genesi e sull’evoluzione normativa degli istituti del sequestro e della confisca per equivalente.
Essi sono stati introdotti nell’ordinamento giuridico, come correttamente ricorda il giudice a quo, ad opera dell’art. 10, comma 1, lett. d), n. 4), d.l. 23 maggio 2008, n. 92, conv. dalla legge 24 luglio 2008, n. 125 (entrata in vigore il 26 luglio 2008), mediante interpolazione dell’art. 2-ter della legge 31 maggio 1965, n. 575, il quale, così integrato, ammetteva le misure surrogatorie qualora «la persona nei cui confronti è proposta la misura di prevenzione disperde, distrae, occulta o svaluta i beni al fine di eludere l’esecuzione dei provvedimenti di sequestro o di confisca su di essi», oppure qualora «i beni non possono essere confiscati in quanto trasferiti legittimamente, prima dell’esecuzione del sequestro, a terzi in buona fede». Tali previsioni sono state letteralmente riprodotte nell’art. 25 d.lgs. n. 159 del 2011, recante il codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione.
Con la riforma attuata dalla legge 17 ottobre 2017, n. 161 (entrata in vigore il 19 novembre 2017, il cui art. 5, comma 9, ha novellato l’art. 25 d.lgs. n. 159 del 2011), i presupposti dell’intervento sanzionatorio per equivalente sono stati ricondotti all’unitaria previsione dell’impossibilità pratica di proceder all’apprensione dei beni direttamente confiscabili, per indisponibilità dei medesimi in capo al proposto, ancorché frutto di legittimo trasferimento a terzi in qualunque epoca. La prima ipotesi del testo previgente, che richiedeva l’accertamento di una specifica condotta fraudolenta del proposto, volta a sottrarre i beni alla confisca, non rappresenta più un requisito indefettibile, con relativa semplificazione probatoria.
Tra la fattispecie originaria e quella novelíata sussiste continuità normativa, stante l’identità di ratio e il rapporto strutturale di continenza ravvisabile tra le norme succedutesi nel tempo (avendo la previsione sopravvenuta ampliato e generalizzato il contenuto della precedente), limitatamente alla parte di regolamentazione coincidente e sovrapponibile, come nei casi di indisponibilità del bene direttamente confiscabile per effetto di legittimo atto di cessione, o per effetto delle fraudolente attività già contemplate nella disciplina originaria.
Nel caso di specie, il bene direttamente confiscato è il denaro e le ragioni della sua eventuale indisponibilità sono esclusivamente riconducibili – per la
natura fungibile sua propria, la natura nominale del suo valore e l’inesisten vincoli di destinazione – a lecita spendita o a fraudolento occull:amento.
La causa di indisponibilità, sulla cui base il sequestro per equivalente è disposto nell’odierno procedimento, è dunque perfettamente riconducibile all fattispecie originaria, introdotta nell’ordinamento giuridico sin dall’anno 2008
Sotto altro profilo, i profitti illeciti direttamente confiscati, rappr dall’importo monetario di 442.000 euro, risultano conseguiti in un ar temporale, compreso tra l’anno 2011 e (almeno) l’anno 2016, che è anche l’epoca di manifestata pericolosità.
Ineccepibile è dunque la conclusione del giudice di rinv i o, secondo cui la disposta confisca per equivalente rispetti il canone di irretroattività dell penale come declinabile nel procedimento odierno.
Seguono la reiezione dei ricorsi e, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pe condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processual
Così deciso il 19/12/2023