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Confisca per equivalente: il ruolo del prestanome

La Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso contro un sequestro finalizzato alla confisca per equivalente di un immobile, ritenendo che fosse fittiziamente intestato a un terzo. Il ricorrente, formale proprietario, non è riuscito a superare i gravi indizi che lo qualificavano come mero prestanome di due indagati per traffico di droga.

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Pubblicato il 21 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Confisca per Equivalente: Quando l’Intestazione a un Terzo Non Basta a Salvare l’Immobile

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 18180 del 2025, affronta un caso complesso relativo alla confisca per equivalente di un immobile formalmente intestato a un terzo, ma ritenuto nella reale disponibilità di soggetti indagati per gravi reati. Questa pronuncia offre spunti cruciali per comprendere i meccanismi di aggressione ai patrimoni illeciti e il ruolo del cosiddetto ‘prestanome’.

La vicenda analizzata dalla Suprema Corte chiarisce i limiti del ricorso contro un sequestro preventivo e sottolinea come una ricostruzione logica e coerente da parte del giudice di merito possa superare le difese basate sulla mera titolarità formale di un bene.

I Fatti del Caso: L’Intestazione Fittizia di un Immobile

Il Tribunale di Bologna aveva disposto il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente, di un immobile. Il bene, sebbene formalmente di proprietà di un soggetto terzo, era ritenuto nella piena disponibilità di due cugini, indagati per associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti. Il proprietario formale, risultato essere a sua volta cugino di uno degli indagati, ha impugnato il provvedimento, sostenendo la legittimità dell’acquisto e la propria estraneità ai fatti.

Tuttavia, le indagini avevano fatto emergere un quadro indiziario solido: l’immobile era stato venduto al ricorrente dai genitori degli indagati e, solo due mesi e mezzo dopo, era stato locato a uno degli indagati stessi e a sua moglie. Inoltre, il mutuo ottenuto dal ricorrente copriva solo una parte del prezzo di acquisto, e il ricorrente risiedeva in un’altra città, elementi che, letti congiuntamente, facevano propendere per una fittizia intestazione finalizzata a schermare la proprietà reale del bene.

La Decisione della Corte e la confisca per equivalente

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. Il punto centrale della decisione risiede nella natura del controllo di legittimità. I giudici hanno ribadito un principio consolidato: il ricorso in Cassazione contro provvedimenti di sequestro è consentito solo per violazione di legge. In questa nozione rientrano non solo gli errori di diritto, ma anche i vizi di motivazione talmente gravi da renderla inesistente, illogica o meramente apparente.

Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che la motivazione del Tribunale del riesame fosse tutt’altro che carente. Anzi, era ‘diffusamente argomentata’, logica e completa, basata su una concatenazione di indizi che, nel loro insieme, rendevano la tesi della difesa (un acquisto legittimo in vista di un futuro trasferimento) poco verosimile e generica.

Le Motivazioni della Sentenza

La Suprema Corte ha spiegato che il Tribunale del riesame non è tenuto a confutare punto per punto ogni singolo argomento difensivo, specialmente quando l’impianto motivazionale complessivo è logicamente incompatibile con la tesi della difesa. In altre parole, se la ricostruzione dei giudici è coerente e ben fondata, le argomentazioni contrarie sono implicitamente smentite.

Un aspetto di grande interesse riguarda la distanza temporale (circa tre-quattro anni) tra l’acquisto dell’immobile e la commissione dei reati contestati. La difesa aveva sollevato questo punto, ma la Cassazione ha chiarito che il criterio della ‘ragionevolezza temporale’ non si applica alla confisca per equivalente. Questo criterio, infatti, è rilevante per altre forme di ablazione, come la confisca di prevenzione, ma non per quella per equivalente, che è una sanzione commisurata al profitto illecito di uno specifico reato e che consegue all’accertamento della colpevolezza.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche

La sentenza in esame offre due importanti conclusioni pratiche. In primo luogo, rafforza l’idea che la titolarità formale di un bene non è uno scudo invalicabile contro le misure di sequestro e confisca. Le autorità giudiziarie possono e devono guardare alla sostanza dei rapporti economici, valorizzando un complesso di indizi (legami di parentela, incongruenze finanziarie, modalità di utilizzo del bene) per smascherare intestazioni fittizie.

In secondo luogo, definisce con chiarezza i limiti del sindacato della Corte di Cassazione in materia di misure cautelari reali. Il ricorso non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul merito dei fatti, ma deve concentrarsi su specifiche violazioni di legge o su vizi motivazionali radicali, che rendano la decisione del tutto incomprensibile. Per chi si trova a difendere la legittimità del proprio patrimonio, è fondamentale fornire fin dalle prime fasi del procedimento prove concrete e una narrazione alternativa credibile, poiché una motivazione ben costruita dal giudice del riesame sarà difficilmente scalfibile in sede di legittimità.

Quando è ammesso il ricorso in Cassazione contro un sequestro preventivo?
Il ricorso per cassazione contro un’ordinanza in materia di sequestro preventivo è ammesso solo per violazione di legge. Tale violazione include sia gli errori nell’applicazione delle norme (errores in iudicando o in procedendo) sia i vizi della motivazione così radicali da renderla mancante, incoerente o manifestamente illogica, e quindi inidonea a spiegare il ragionamento del giudice.

La distanza temporale tra l’acquisto di un bene e il reato impedisce la confisca per equivalente?
No. Secondo la Corte, il criterio della ‘ragionevolezza temporale’ tra l’acquisizione patrimoniale e l’attività illecita non si applica alla confisca per equivalente. Questa misura è una sanzione legata al profitto di uno specifico reato accertato e non richiede una correlazione temporale stretta, a differenza di altre forme di confisca come quella di prevenzione.

Cosa succede se il giudice del riesame non risponde a tutte le argomentazioni della difesa?
Non si configura un vizio di motivazione se il provvedimento impugnato, pur non confutando esplicitamente ogni argomento difensivo, si basa su un impianto argomentativo complessivo che è logicamente incompatibile con la tesi difensiva. In sostanza, una ricostruzione dei fatti coerente e ben motivata smentisce implicitamente le argomentazioni contrarie.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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