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Confisca per equivalente: i limiti sul conto della Srl

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di una società contro la confisca per equivalente eseguita sul proprio conto corrente per un reato tributario commesso da un suo socio. La Corte ha stabilito che i fondi sono considerati nella ‘disponibilità’ del socio se questi, in virtù di una delega illimitata, ha esercitato un controllo autonomo e incondizionato sulle somme, utilizzandole anche per scopi personali estranei all’attività sociale.

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Pubblicato il 28 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Confisca per equivalente: i limiti sul conto della Srl

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4230 del 2024, torna su un tema di grande attualità e interesse per le imprese: i limiti e le condizioni per l’applicazione della confisca per equivalente sui beni di una società, a fronte di un reato tributario commesso da un suo socio o amministratore. La pronuncia chiarisce il concetto di “disponibilità” dei fondi, stabilendo che non conta la proprietà formale, ma il controllo effettivo e incondizionato esercitato dall’indagato.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine dal ricorso presentato da una società a responsabilità limitata semplificata avverso un’ordinanza del Tribunale. Quest’ultimo aveva respinto l’opposizione della società contro un provvedimento che confermava il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca, di somme di denaro presenti sul suo conto corrente.

La misura era stata disposta nell’ambito di un procedimento penale a carico di un socio della stessa società, condannato in via definitiva per un reato tributario (previsto dall’art. 5 del D.Lgs. n. 74 del 2000). La società sosteneva la propria totale estraneità all’illecito e affermava che il socio condannato, pur avendo avuto in passato una delega ad operare sul conto, era ormai uscito dalla compagine sociale e aveva perso tale delega. Di conseguenza, secondo la ricorrente, le somme non potevano essere considerate nella “disponibilità” del reo.

Le ragioni del ricorso e la nozione di disponibilità

La società ricorrente ha basato la sua difesa su due motivi principali:
1. Violazione di legge: sosteneva un’errata interpretazione della nozione di “disponibilità” del denaro. Secondo la difesa, i fondi appartenevano alla società e non potevano essere attribuiti al socio.
2. Vizio di motivazione: lamentava che il denaro sequestrato era utilizzato per la gestione ordinaria dell’attività aziendale e, pertanto, non poteva essere considerato nella disponibilità personale del socio condannato.

Il fulcro della questione ruotava, quindi, attorno a cosa la legge intenda per “disponibilità” di un bene ai fini della confisca.

La Decisione della Cassazione sulla confisca per equivalente

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. I giudici hanno confermato la correttezza della decisione del Tribunale, basando la propria argomentazione su un consolidato orientamento giurisprudenziale e sull’analisi puntuale dei fatti emersi nel corso del giudizio di merito.

Le Motivazioni

La Corte ha ribadito un principio fondamentale in materia di confisca per equivalente. Il sequestro finalizzato a tale misura, eseguito sul conto corrente di una società estranea al reato, è legittimo solo a una precisa condizione: devono esistere elementi concreti dai quali desumere, con un giudizio di ragionevole probabilità, che l’indagato abbia esercitato sulle somme un controllo autonomo e incondizionato, come se ne fosse il vero proprietario, disponendone anche per finalità non attinenti all’attività d’impresa.

Nel caso specifico, il giudice di merito aveva accertato diversi elementi cruciali:
* L’imputato non era un semplice delegato, ma un socio della società.
* Possedeva una delega illimitata a operare sul conto corrente.
* Aveva effettuato pagamenti e prelievi per scopi personali, riconducibili a un’altra sua attività imprenditoriale.
* La sua uscita dalla società e la revoca della delega erano avvenute molto tempo dopo che la sua condanna era diventata definitiva e persino dopo l’esecuzione della confisca.

Questi fatti dimostravano, secondo la Corte, che il socio aveva la piena e incondizionata “disponibilità” dei fondi, a prescindere dalla formale intestazione del conto alla società. Il primo motivo di ricorso è stato quindi respinto perché proponeva una nozione di “disponibilità” non conforme a quella consolidata in giurisprudenza.

Anche il secondo motivo è stato giudicato inammissibile. La Corte ha ricordato che il suo sindacato, in questa sede, è limitato alla sola violazione di legge e non può estendersi a una nuova valutazione dei fatti, come la natura dei pagamenti effettuati dal socio, già accertata dal giudice dell’esecuzione.

Le Conclusioni

Questa sentenza rafforza un principio cruciale: lo schermo societario non offre una protezione assoluta contro le misure ablatorie come la confisca. Quando un socio o un amministratore, grazie a deleghe illimitate, gestisce il patrimonio sociale come se fosse il proprio, utilizzandolo per fini personali, i beni della società possono essere aggrediti per soddisfare le pretese dello Stato derivanti dai reati da lui commessi. La “disponibilità” è una situazione di fatto, che prevale sulla titolarità formale del bene. Le imprese devono quindi prestare massima attenzione alla governance interna e ai poteri conferiti ai propri soci e amministratori, poiché un loro uso distorto può avere conseguenze patrimoniali dirette e gravi per la società stessa.

Quando i fondi su un conto corrente di una società possono essere confiscati per un reato commesso da un socio o amministratore?
I fondi possono essere confiscati quando si dimostra che l’individuo, in virtù di una delega ad operare, ha esercitato un controllo autonomo e incondizionato sulle somme, come se ne fosse il proprietario, utilizzandole anche per finalità estranee all’attività della società.

Cosa si intende per ‘disponibilità’ di un bene ai fini della confisca per equivalente?
Per ‘disponibilità’ si intende il potere di fatto, autonomo e incondizionato, di disporre del bene, a prescindere dalla titolarità giuridica formale. È la capacità di gestire il bene come se fosse proprio.

L’uscita del socio condannato dalla società protegge il patrimonio sociale dalla confisca?
No, non necessariamente. Nel caso esaminato, il fatto che il socio fosse uscito dalla compagine sociale e avesse perso la delega molto tempo dopo la condanna definitiva e l’esecuzione della confisca non è stato considerato sufficiente a escludere la sua precedente disponibilità dei fondi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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