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Confisca per equivalente: come si calcola il profitto

La Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato per riciclaggio, confermando la condanna. I motivi principali erano procedurali (genericità, tardività) ma la Corte ha chiarito un punto fondamentale sulla confisca per equivalente: essa va calcolata solo sul profitto realmente percepito dal “riciclatore” e non sull’intera somma illecita movimentata.

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Pubblicato il 21 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Confisca per equivalente nel Riciclaggio: Solo il Profitto, non l’Intero Capitale

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 17840 del 2025, torna a pronunciarsi su un tema cruciale in materia di reati economici: la corretta determinazione della confisca per equivalente. Analizzando il ricorso di un imputato per riciclaggio, la Suprema Corte ha colto l’occasione per ribadire un principio fondamentale: la misura ablativa deve colpire l’effettivo arricchimento dell’autore del reato, non l’intera massa di denaro movimentata. Questo pronunciamento, pur dichiarando inammissibile il ricorso per motivi procedurali, offre chiarimenti preziosi per operatori e cittadini.

I Fatti e il Percorso Giudiziario

Il caso nasce da una condanna per il reato di riciclaggio (art. 648-bis c.p.) emessa dal Tribunale e parzialmente riformata in appello. La Corte di Appello, in particolare, aveva confermato la responsabilità penale dell’imputato ma aveva ricalcolato l’importo della confisca disposta in primo grado. L’imputato, non soddisfatto della decisione, decideva di presentare ricorso per cassazione, affidandosi a diversi motivi di impugnazione.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa dell’imputato ha sollevato diverse censure contro la sentenza di secondo grado, tra cui:
1. Carenza di motivazione: si lamentava che la Corte di Appello non avesse ricostruito autonomamente i fatti, limitandosi a richiamare un altro procedimento e le prove raccolte (intercettazioni e interrogatori) in modo generico.
2. Violazione del ne bis in idem: si sosteneva che l’imputato fosse già stato giudicato per gli stessi fatti in un procedimento separato, violando così il divieto di essere processato due volte per la medesima condotta.
3. Errata quantificazione della confisca: questo è il punto più rilevante. La difesa contestava che la confisca fosse stata parametrata sull’intera somma oggetto delle operazioni finanziarie, anziché sul solo profitto effettivamente conseguito dall’imputato.
In un secondo momento, venivano depositati ulteriori motivi, ritenuti però tardivi dalla Corte.

La Decisione della Suprema Corte e la corretta confisca per equivalente

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso interamente inammissibile, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria. Sebbene la decisione sia basata principalmente su aspetti procedurali, i giudici hanno fornito motivazioni dettagliate su ogni punto, chiarendo in particolare la questione della confisca per equivalente.

Le motivazioni: perché il ricorso è stato respinto

La Corte ha smontato punto per punto le argomentazioni difensive.

Il primo motivo è stato giudicato generico, poiché la Corte di Appello aveva, in realtà, compiutamente ricostruito i fatti, specificando che, pur con lo stesso modus operandi, le somme riciclate provenivano da clienti diversi rispetto a quelli del precedente giudizio. Il ricorso, quindi, mancava di una critica specifica e argomentata.

Il secondo motivo, relativo al principio del ne bis in idem, è stato dichiarato inammissibile per preclusione procedurale. La Cassazione ha ricordato che tale eccezione, richiedendo un’analisi fattuale sulla coincidenza dei procedimenti, deve essere sollevata nei gradi di merito e non può essere proposta per la prima volta in sede di legittimità.

Sul terzo e più importante motivo, quello relativo alla confisca per equivalente, la Corte lo ha ritenuto manifestamente infondato. I giudici hanno sottolineato come la Corte di Appello avesse agito in modo corretto. Contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, i giudici di secondo grado avevano proprio rideterminato l’importo da confiscare, calcolandolo non sull’intera somma movimentata, ma esclusivamente sul profitto che l’imputato aveva confessato di percepire: una percentuale del 3% sul denaro complessivamente “ripulito”. Questa decisione è perfettamente allineata con l’insegnamento costante della stessa Cassazione, secondo cui la confisca in tema di riciclaggio si applica solo al valore del vantaggio patrimoniale conseguito dal “riciclatore”.

Infine, i motivi aggiunti sono stati dichiarati inammissibili per tardività, essendo stati depositati oltre il termine di quindici giorni prima dell’udienza, come impone il codice di procedura penale.

Le conclusioni: implicazioni pratiche della sentenza

La sentenza in esame, pur essendo di inammissibilità, offre due importanti lezioni pratiche.

La prima, di natura sostanziale, è la conferma che la confisca per equivalente nel reato di riciclaggio non ha una finalità punitiva sull’intero capitale illecito, ma mira a neutralizzare l’arricchimento personale di chi ha commesso il reato. Lo Stato può aggredire solo il valore corrispondente al profitto, ovvero al vantaggio economico concreto ottenuto dall’operazione.

La seconda, di natura processuale, è un monito sull’importanza del rispetto delle regole procedurali. La genericità dei motivi, la mancata proposizione di eccezioni nei tempi e nei modi corretti e la tardività nel deposito di atti possono precludere l’esame nel merito delle proprie ragioni, anche se potenzialmente fondate.

Nel reato di riciclaggio, la confisca per equivalente si applica su tutta la somma “ripulita”?
No, la sentenza chiarisce che la confisca per equivalente si applica solo sul valore del vantaggio patrimoniale effettivamente conseguito dal “riciclatore” (il profitto), non sull’intera somma che è stata oggetto delle operazioni illecite.

È possibile presentare per la prima volta in Cassazione un’eccezione di “ne bis in idem” (divieto di doppio processo)?
No, la Corte ha ribadito che la violazione del divieto di ne bis in idem non può essere dedotta per la prima volta in Cassazione, in quanto richiede un apprezzamento dei fatti che deve essere svolto nei gradi di merito.

Cosa succede se i motivi aggiunti di un ricorso vengono depositati in ritardo?
Se i motivi aggiunti vengono depositati oltre il termine di quindici giorni prima dell’udienza, come previsto dal codice di procedura penale, vengono considerati inammissibili e il Collegio non ne valuta il contenuto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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