Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 33409 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 33409 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME nato a Leffe il 24/11/1956
avverso la sentenza del 6/5/2024 della Corte d’appello di Venezia lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo di annullare con o senza rinvio la decisione impugnata, limitatamente alla confisca per equivalente disposta per il capo 243, e rigettare gli altri motivi di ricorso, dichiarando irrevocabil
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME statuizioni in tema di pena e responsabilità.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 6 maggio 2024 la Corte d’appello di Venezia, provvedendo sulla impugnazione proposta da NOME COGNOME nei confronti della sentenza del 15 marzo 2019 del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Padova, con la quale, a seguito di giudizio abbreviato, lo stesso COGNOME era stato condannato alla pena di un anno e dieci mesi di reclusione, con l’applicazione delle pene accessorie di cui all’art. 12 del d.lgs. n. 74 del 2000 e la confisca per equivalente del profit dei reati ascrittigli, pari a complessivi euro 1.318.215,67, in relazione a due contestazioni del reato di cui all’art. 8 d.lgs. n. 74 del 2000 (capi 123 e 243) e a due contestazioni del reato di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000 (capi 229 e 244), ha dichiarato non doversi procedere in ordine al reato di cui al capo 123 perché estinto per prescrizione, eliminando la relativa confisca, rideterminando la pena in un anno, sei mesi e venti giorni di reclusione per i reati residui e confermando nel resto la sentenza impugnata.
Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, mediante l’Avvocato NOME COGNOME che lo ha affidato a cinque motivi.
2.1. Con il primo motivo ha lamentato, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 2 e 8 d.lgs. n. 74 del 2000 e u vizio della motivazione, con riferimento alla affermazione di responsabilità in relazione alla emissione e all’utilizzo di fatture relative a operazioni inesistenti, no essendo stato specificato nella contestazione quali fossero tali fatture, così pregiudicando anche il diritto di difesa dell’imputato, come esposto anche nell’atto d’appello che, però, non era stato adeguatamente considerato, essendo tra l’altro stati prodotti i documenti (fatture, bolle di consegna e prove dei pagamenti) dimostrativi della effettività delle operazioni economiche sottostanti le fatture giudicate relative a operazioni inesistenti, che, però, erano stati trascurati dall Corte d’appello, che aveva erroneamente applicato gli artt. 1 e 2 del d.lgs. n. 74 del 2000 nell’affermare l’inesistenza di dette operazioni, che, invece, erano, come risultava dalla documentazione prodotta dalla difesa, effettive.
Ha esposto che la Corte d’appello, pur riconoscendo l’oggettiva esistenza delle operazioni commerciali e l’effettiva movimentazione delle merci che ne costituivano l’oggetto, aveva affermato la natura fittizia di tali operazioni sulla bas di una lettura parziale e decontestualizzata delle conversazioni intercettate, nonché in considerazione dell’esistenza di rapporti commerciali con soggetti successivamente risultati coinvolti in attività illecite, così violando il princ secondo cui l’onere della prova dell’inesistenza delle operazioni economiche grava sull’accusa, sottolineando che il ricorrente compariva nelle conversazioni
intercettate solamente dal settembre 2015, ossia successivamente all’emissione delle fatture.
Ha eccepito l’insufficienza della motivazione anche nella parte relativa alla affermazione della sussistenza del dolo di evasione in capo al ricorrente, desunto, in modo chiaramente illogico, dalla esistenza di rapporti commerciali con soggetti successivamente risultati coinvolti in attività illecite, trattandosi di aspe insufficiente a consentire di ritenere sussistente il dolo specifico richiesto dall disposizione incriminatrice,
2.2. Con un secondo motivo ha denunciato, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., un ulteriore vizio della motivazione, in relazione al responsabilità del ricorrente quale amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE ch non aveva ricoperto alcuna carica in tale società, non essendo stata acquisita alcuna prova dell’effettivo e continuativo esercizio dei poteri tipici della funzion amministrativa da parte del ricorrente, essendo stata desunta la qualifica di amministratore di fatto dalla sola esistenza di rapporti commerciali e da conversazioni con soggetti legati alla società, peraltro intervenute dopo l’emissione delle fatture in contestazione, in assenza di prova dell’effettivo esercizio di poteri gestori e della capacità del ricorrente di incidere concretamente sulle scelte strategiche dell’impresa.
2.3. Con un terzo motivo ha lamentato, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 9 e 12-ter d.lgs. n. 74 del 2000 e un vizio della motivazione, con riferimento alla conferma della confisca per equivalente del profitto dei reati, per essere stato ravvisato il concorso di persone tra gli emittenti e gli utilizzatori delle fatture ritenute relative a opera inesistenti, in violazione di quanto disposto dall’art. 9 citato, che impedirebbe di disporre la confisca per equivalente sui beni dell’emittente per il valore corrispondente al profitto conseguito dall’utilizzatore delle medesime fatture.
Ha, inoltre, lamentato la violazione del principio di proporzionalità stabilito dall’art. 12-ter citato, in quanto non era stata adeguatamente giustificata la determinazione del profitto confiscabile.
2.4. Con il quarto motivo ha lamentato, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., un vizio della motivazione anche a proposito della conferma del diniego delle circostanze attenuanti generiche, che si porrebbe in contrasto logico con l’esclusione della recidiva, essendo stati considerati i precedenti penali pur riconosciuti non significativi ai fini della applicazione della recidiva e senz considerare adeguatamente il comportamento processuale del ricorrente, la sua personalità, l’età e le condizioni familiari, né il tempo trascorso dai fatti, né il r marginale svolto dal ricorrente e la sua estraneità al contesto associativo.
2.5. Con il quinto motivo ha lamentato, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 58 I. n. 689 del 1981, 20-bis e
545-bis cod. proc. pen. e un vizio della motivazione, con riferimento al rigetto della richiesta di sostituzione della pena detentiva con il lavoro di pubblica utilit fondato esclusivamente sulla esistenza di precedenti penali risalenti, relativi a fatti in gran parte depenalizzati, in assenza della prescritta valutazione complessiva e attuale della personalità del condannato, non limitata ai soli precedenti penali, ma estesa a tutti gli elementi utili per la formulare in giudizio prognostico attuale sul sua pericolosità sociale e sulle concrete prospettive di reinserimento.
Ha sottolineato che il reato di emissione di assegni a vuoto commesso dal ricorrente nel 1989 era stato depenalizzato, come pure gli omessi versamenti di ritenute previdenziali e assistenziali commessi nel 2004 e nel 2006, e che la sentenza relativa al reato di bancarotta fraudolenta risaliva al 2007 ed era stata pronunciata ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., con la conseguente scarsa significatività di tali precedenti ai fini della sostituzione della pena detenti indebitamente e illogicamente considerati dai giudici di merito, che pure avevano escluso l’applicazione della recidiva.
Ha lamentato, in particolare, la omessa considerazione di elementi favorevoli al riconoscimento del beneficio, quali la disponibilità concreta e immediata della Cooperativa RAGIONE_SOCIALE, operante nel settore socio – sanitario, con un programma strutturato di reinserimento (contemplante l’assistenza a persone disabili), la lontananza cronologica delle precedenti condanne, l’età e il comportamento processuale del ricorrente, il percorso di reinserimento sociale già intrapreso, con la conseguente insufficienza del richiamo, da parte della Corte d’appello, per giustificare il diniego del beneficio, ai precedenti penali, senza la prescritt richiesta di informazioni all’Ufficio esecuzione penale esterna.
Il Procuratore Generale ha concluso chiedendo di annullare con o senza rinvio la decisione impugnata limitatamente alla confisca per equivalente disposta per il capo 243) e di rigettare gli altri motivi di ricorso, dichiarando irrevocabil statuizioni in tema di pena e responsabilità, sottolineando la adeguatezza della motivazione nelle parti relative alla affermazione di responsabilità, al ruolo di amministratore di fatto, al diniego delle circostanze attenuanti generiche e del beneficio della sostituzione della pena detentiva, e l’insufficienza della giustificazione della confisca in relazione al reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti di cui al capo 243).
A tali conclusioni il ricorrente ha replicato con memoria del proprio difensore del 26 giugno 2025, con la quale è stata ribadita la fondatezza di tutti i motivi del proprio ricorso ed è stata evidenziata la prescrizione del reato di cui al capo 229) in data 30 settembre 2025 e di quello di cui al capo 243) in data 8 ottobre 2025.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
2. Il primo e il secondo motivo, esaminabili congiuntamente, in considerazione della sovrapponibilità delle censure con gli stessi formulate, mediante le quali sono state denunciate la violazione degli artt. 2 e 8 del d.lgs. n. 74 del 2000 e l’illogici della motivazione, con riferimento alla affermazione di responsabilità del ricorrente e alla sua veste di amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE, sono inammissibili a causa della loro genericità, intrinseca ed estrinseca, consistendo nella mera, reiterata, affermazione, della insufficienza degli elementi di prova acquisiti a consentire di ritenere inesistenti le operazioni economiche sottostanti le fatture oggetto delle contestazioni e dimostrata la veste di amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE, disgiunte dalla considerazione delle risultanze dell’istruttoria svolta degli elementi acquisiti e di confronto, tantomeno critico, con la motivazione della sentenza impugnata, con la conseguente inidoneità di tali motivi di ricorso a costituire idoneo mezzo di critica vincolata della decisione impugnata.
Al riguardo deve ribadirsi che, secondo la uniforme e costante interpretazione della giurisprudenza di legittimità, i motivi di ricorso per cassazione devono ritenersi generici non solo quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822 – 01, nonché, con specifico riferimento al ricorso per cassazione, Sez. 4, n. 19364 del 14/03/2024, COGNOME, Rv. 286468 – 01; Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Boutartour, Rv. 277710 – 01; Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425 – 01; Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, COGNOME, Rv. 255568 – 01), cosicché è inammissibile il ricorso per cassazione quando manchi l’indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto d’impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato. Ai fini della validità del ricorso per cassazione non è, perciò, sufficiente che il ricorso consenta di individuare le statuizioni concretamente impugnate e i limiti dell’impugnazione, ma è altresì necessario che le ragioni sulle quali esso si fonda siano esposte con sufficiente grado di specificità e che siano correlate con la motivazione della sentenza impugnata; con la conseguenza che se, da un lato, il grado di specificità dei motivi non può essere stabilito in via generale e assoluta, dall’altro, esso esige pur sempre – a pena di inammissibilità del ricorso – che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle del ricorrente, volte ad incrinare il fondamento logico- giuridico delle prime.
È quindi onere del ricorrente, nel chiedere l’annullamento del provvedimento impugnato, prendere in considerazione gli argomenti svolti dal giudice di merito e sottoporli a critica, nei limiti – s’intende – delle censure di legittimità.
Nel caso di specie la Corte territoriale ha chiarito, ripercorrendo gli esiti dell indagini e quanto esposto nella sentenza di primo grado, che la associazione criminosa capeggiata da NOME COGNOME e NOME COGNOME operava, come analiticamente illustrato nelle convergenti dichiarazioni confessorie rese dagli stessi COGNOME e COGNOME, secondo quattro distinte modalità illecite, proposte alle società che intendevano beneficiarne, tra cui la RAGIONE_SOCIALE, amministrata di fatto dal ricorrente, che si era avvalsa stabilmente della prima, della terza e della quarta modalità operativa mediante le quali operava il sodalizio, costituite dalla vendita sotto prezzo della merce (modalità 1, eseguita impiegando società “cartiere” o “filtro” o società estere); dal conseguimento di una provvista in denaro attraverso l’intervento di una prima società “cartiera” la quale vendeva le merci a una o più società “filtro” che successivamente fatturavano al cliente (modalità 3); dalla regolarizzazione cartolare del magazzino (modalità 4, che consisteva nell’emettere false fatture verso società del sodalizio per regolamentare il proprio magazzino, in quanto ancora contenente la merce pur dopo averla venduta “in nero” a terzi).
La prova del coinvolgimento della COGNOME e dei suoi amministratori di fatto, COGNOME e COGNOME, in tali attività illecite è stata tratta da numerose conversazion telefoniche e ambientali intercettate con COGNOME e COGNOME, ritenute chiaramente dimostrative del contenuto illecito delle transazioni, nelle quali il ricorrente COGNOME interloquiva, alternativamente a COGNOME, per conto della COGNOME (amministrata di diritto dalla figlia del ricorrente, NOME COGNOME), riscontrate dai document acquisiti dalla Guardia di Finanza, tra cui fatture, documenti di trasporti ed elenchi di fatture, e dalle dichiarazioni confessorie dei suddetti COGNOME e COGNOME
La Corte d’appello, nell’illustrare tale sistema illecito e il coinvolgimento nell stesso della COGNOME e del COGNOME, che assieme a COGNOME la amministrava di fatto, trattando per essa con i suddetti COGNOME e COGNOME, ha anche confutato quanto eccepito dal ricorrente a proposito della effettività delle operazioni commerciali sottostanti le fatture ritenute relative a operazioni inesistenti, spiegando che dette operazioni, rientranti per lo più nella prima modalità operativa del sodalizio, erano, in realtà, soggettivamente inesistenti, nelle quali si interponevano, a fini evasivi società “filtro” (RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE), con la conseguente irrilevanz dei documenti prodotti dal ricorrente e dimostrativi dei pagamenti delle merci.
Sono stati, poi, indicati gli elementi ritenuti dimostrativi del ruolo svolto d ricorrente, dai quali è stata desunta in modo logico la sua veste di amministratore di fatto, tra cui le conversazioni telefoniche con COGNOME e COGNOME, anche anteriori all’autunno 2015, nelle quali questi ha domandato pagamenti in contanti a COGNOME per conto della RAGIONE_SOCIALE e COGNOME si è dimostrato pienamente consapevole degli affari
della COGNOME, per conto della quale in piena autonomia ha interloquito con i suddetti COGNOME e COGNOME facendo riferimento anche a verifiche fiscali svolte sulla Filteo e ponendosi anche l’interrogativo, assieme a COGNOME, di come evitare il blocco dei beni della società e della strategia difensiva da adottare nel procedimento penale (facendo anche riferimento ai termini di prescrizione dei reati).
Sulla base di questi elementi, esaminati analiticamente dalla Corte d’appello, integrando le valutazioni del primo giudice con elementi da questi non considerati, in particolare con il contenuto di alcune conversazioni intercettate non riportate nella sentenza di primo grado, la Corte territoriale ha ribadito sia la veste del ricorrente di amministratore di fatto della COGNOME, sia la realizzazione dei reat residui contestati al ricorrente medesimo, anche con riferimento alla sussistenza del dolo di evasione, posto che la finalità evasiva era lo scopo di tutte le operazioni realizzate.
Tali considerazioni, certamente idonee a giustificare la conferma della affermazione di responsabilità del ricorrente, non sono state affatto considerate nel ricorso, con il quale l’imputato si è limitato a contestare, in modo generico e assertivo, la sufficienza e la concludenza degli elementi a carico e la propria veste di amministratore di fatto, che, però, è stata ricavata in modo logico sulla base di una pluralità di elementi dimostrativi della stabile ingerenza del ricorrente nella amministrazione della Filteo. I pagamenti eseguiti e gli altri documenti prodotti dal ricorrente, di cui nel ricorso non è stato illustrato il contenuto né spiegata l valenza probatoria, sono stati considerati dalla Corte d’appello, che ne ha escluso la rilevanza, in ragione delle caratteristiche delle operazioni illecite, consistenti in operazioni inesistenti soggettivamente.
Ne consegue l’inammissibilità del primo e del secondo motivo di ricorso, a causa della loro genericità, oltre che della loro evidente infondatezza, stante la piena adeguatezza degli argomenti mediante i quali è stata giustificata la conferma della dichiarazione di responsabilità per i fatti non prescritti.
3. Il terzo motivo, relativo alla confisca per equivalente, è anch’esso inammissibile per ragioni analoghe, in quanto è del tutto privo di considerazione con quanto esposto sul punto nella motivazione della sentenza impugnata, laddove la Corte d’appello, nel ribadire l’applicazione della confisca anche in relazione al delitto di emissione di fatture per operazioni inesistenti di cui al capo 243), ha chiaramente spiegato che tale confisca non corrisponde, come prospettato, peraltro genericamente, nel ricorso, al profitto tratto dall’utilizzatore delle t fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE (due nei confronti della RAGIONE_SOCIALE e una nei confronti della RAGIONE_SOCIALE), bensì all’utilità economica che la società emittente ha ricavato dalla emissione di tali fatture relative a operazioni inesistenti.
La Corte d’appello, dato atto della non riconducibilità del profitto del reato di cui all’art. 8 d.lgs. n. 74 del 2000 al risparmio d’imposta conseguito dall’utilizzatore, ha spiegato che nel caso in esame la Filteo non aveva emesso le fatture in questione al fine di consentire alle destinatarie di utilizzarle traendon un profitto pari all’indebito risparmio d’imposta, ma al diverso scopo, nel proprio esclusivo interesse, di consentire alla stessa Filteo di regolarizzare le proprie giacenze di merci, “ossia di far cessare la soltanto formale e apparente permanenza in magazzino di merci che in realtà la stessa RAGIONE_SOCIALE aveva già previamente venduto in nero a terzi, con ciò realizzando essa un autentico e pieno profitto in danno dell’erario” (pag. 42 della motivazione della sentenza impugnata). Il profitto del reato è stato, dunque, correttamente individuato nel vantaggio che la stessa emittente ha tratto dalla emissione delle fatture relative a operazioni inesistenti, di regolarizzazione di precedenti vendite “in nero”, e tale ricostruzione, corretta in diritto e conforme al disposto di cui all’art. 9 d.lgs. n. del 2000, di cui il ricorrente ha infondatamente eccepito la violazione, non è stata affatto considerata nel ricorso, con la conseguente inammissibilità della relativa censura, sia a causa della sua genericità, sia per la sua evidente infondatezza.
Quanto alla determinazione di tale profitto e al rapporto tra esso e il valore dei beni oggetto di confisca, che non sarebbero stati adeguatamente giustificati dalla Corte d’appello, va osservato, anzitutto, che tale aspetto, secondo quanto risulta dalla non contestata narrativa della sentenza impugnata (sull’obbligo di contestare a pena di inammissibilità tale riepilogo ove non conforme ai motivi di appello si vedano, ex multis, Sez. 3, n. 11830 del 13/03/2024, COGNOME, non massimata; Sez. 3, n. 8657 del 15/02/2024, Immobile, non massimata; Sez. 3, n. 33415 del 19/05/2023, COGNOME, non massimata; Sez. 2, n. 31650 del 03/04/2017, COGNOME, Rv. 270627 – 01; Sez. 2, n. 9028/2014 del 05/11/2013, COGNOME, Rv. 259066 01), non era stato devoluto al giudice dell’impugnazione con l’atto d’appello, con il quale per quanto riguarda la confisca ne era solamente stata contestata l’applicabilità, senza alcun riferimento alla proporzionalità della stessa (v. pag. 18 dell’atto d’appello e pag. 19 della sentenza impugnata), con la conseguenza che è ora preclusa la denuncia di un vizio di motivazione sul punto, alla stregua del consolidato principio secondo cui non può essere dedotto con ricorso per cassazione il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il giudice di secondo grado se il punto non gli era stata sottoposto e l’eventuale travisamento della prova non gli era stato rappresentato (Sez. 5, n. 48703 del 24/09/2014, COGNOME, Rv. 261438 – 01; Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499 – 01).
Tale profilo di censura è, peraltro, generico, in quanto consiste nella mera asserzione della inadeguatezza della motivazione su tale punto, disgiunta dal confronto, tantomeno critico, con la vicenda, le contestazioni, le risultanze istruttorie e il complesso della motivazione delle concordi sentenze di merito; esso,
inoltre, si pone in termini meramente contestativi rispetto a tale statuizione, senza alcuna illustrazione delle ragioni della censura, né indicazione dei beni confiscati e del loro valore, cosicché risulta inammissibile, stante la sua inidoneità a costituire utile strumento di critica vincolata della decisione impugnata, anche per tale ulteriore ragione.
4. Anche il quarto motivo, concernente le circostanze attenuanti generiche, è inammissibile a causa della sua genericità, ponendosi in termini meramente contestativi rispetto al diniego di tale beneficio, senza alcuna considerazione critica di quanto esposto sul punto nelle concordi sentenze di merito, nelle quali il diniego del beneficio è stato giustificato con la gravità delle condotte, in quanto caratterizzate da serialità e sistematicità e dal ricorso al sodalizio capeggiato da COGNOME e COGNOME, e con la personalità negativa del ricorrente, gravato da precedenti condanne per reati connessi ad attività d’impresa (tra cui per bancarotta fraudolenta): si tratta di motivazione idonea, essendo stati indicati gli elementi, tra quelli di cui all’art. 133 cod. pen., giudicati, in modo non illogic assorbenti nella valutazione di gravità delle condotte e nel giudizio negativo sulla personalità del ricorrente, che quest’ultimo ha censurato sul piano valutativo, contestando soprattutto il giudizio sulla propria personalità, dunque in modo non consentito nel giudizio di legittimità, nel quale la motivazione in ordine all circostanze attenuanti generiche, fondata sulle sole ragioni preponderanti della decisione non può, purché congrua e non contraddittoria, essere sindacata nel giudizio di cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549 – 01; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269 – 01; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, COGNOME, Rv. 265826 – 01; Sez. 4, n. 23679 del 23/04/2013, Viale, Rv. 256201 – 01; Sez. 6, n. 36382 del 04/07/2003, COGNOME, Rv. 227142 – 01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
5. Il quinto motivo, relativo al diniego della sostituzione della pena detentiva, non è fondato.
La Corte d’appello, nell’escludere la sostituibilità della pena detentiva con quella del lavoro di pubblica utilità (presso la Cooperativa RAGIONE_SOCIALE, operante nel settore delle comunità socio – sanitarie per disabili e dei trasporti sociali), no si è limitata a sottolineare la gravità dei fatti e la personalità negat dell’imputato, ma ha formulato anche un giudizio prognostico negativo (cfr., sulla necessità di tale giudizio, Sez. 5, n. 39162 del 04/10/2024, F., Rv. 287062 – 01), sulla idoneità rieducativa e risocializzante di tale pena sostitutiva, escludendola alla luce della personalità negativa dell’imputato e dei precedenti sullo stesso gravanti per reati anche gravi sempre connessi ad attività d’impresa (tra cui per
bancarotta fraudolenta): si tratta di motivazione idonea, in quanto è stato compiuto il prescritto giudizio prognostico sulla idoneità della pena sostitutiva proposta, correttamente condotto in relazione alla specifica pena oggetto della richiesta sulla base dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen., con valutazione che non è sindacabile sul piano del merito in sede di legittimità (cfr. Sez. 3, n. 9708 del 16/02/2024, Tornese, Rv. 286031 – 01), con la conseguente infondatezza dei rilievi sollevati sul punto dal ricorrente.
Il ricorso deve, in conclusione, essere rigettato, a cagione della inammissibilità dei primi quattro motivi e della infondatezza del quinto.
Al rigetto del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 3/7/2025