Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 3895 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 3895 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/11/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
COGNOME NOME nata a Milano 1’11/8/1954
COGNOME Patrick nato in Brasile il 14/5/1994
COGNOME COGNOME nata in Brasile il 25/1/1965
COGNOME NOME nata in Brasile il 19/1/1975
avverso la sentenza emessa il 12 aprile 2024 dalla Corte d’appello di Milano
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo: la dichiarazione di inammissibilità del ricorso di COGNOME; l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla quantificazione della confisca nei confronti di COGNOME con rigetto nel resto del ricorso proposto nell’interesse del medesimo imputato; l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla valutazione della richiesta di applicazione della pena ex art. 444 cod. proc. pen. per COGNOME il rigetto del ricorso proposto da COGNOME.
udito il difensore di COGNOME, Avv. NOME COGNOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza di primo grado il Tribunale di Milano, per quanto rileva in questa Sede, ha condannato COGNOME NOME per il reato ascritto al capo D (artt. 81, 319 e 476 cod. pen.), nonché COGNOME NOME, COGNOME e COGNOME COGNOME NOME in ordine al reato di cui al capo E (110, 319, 321 cod. pen.).
La sentenza ha anche applicato agli imputati pene accessorie; disposto la confisca ai sensi dell’art. 322-ter cod. pen. a carico di tutti gli imputati, anche pe equivalente, della somma di euro 22.200; condannato COGNOME al pagamento della somma di euro 22.200 a titolo di riparazione pecuniaria e condannato gli imputati COGNOME, COGNOME e COGNOME al risarcimento dei danni subiti dalla parte civile e al pagamento della somma di euro 20.000 a titolo di provvisionale.
Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Milano, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha accolto le richieste di concordato con rinuncia ai motivi di appello, ad eccezione di quelli relativi al trattamento sanzionatorio, avanzate, per quel che rileva in questa Sede, da COGNOME e COGNOME, rideterminando il trattamento sanzionatorio loro inflitto in anni quattro e mesi tre di reclusione per la prima e in anni uno e mesi dieci di reclusione, con il beneficio della sospensione condizionale, per la seconda, confermando nel resto l’impugnata sentenza.
Gli imputati propongono separati ricorsi per cassazione deducendo i motivi di seguito riassunti nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
3.COGNOME NOME, con un unico motivo di ricorso, deduce vizi cumulativi di motivazione e di violazione di norme processuali in relazione all’omesso esame delle eccezioni di nullità dedotte da altri imputati che avrebbero potuto determinare la dichiarazione di nullità della richiesta di rinvio a giudizio dichiarazione estensibile anche alla ricorrente. Si lamenta la genericità delle accuse e la conseguente violazione del diritto di difesa, nonché il difetto di competenza del messo comunale ad accettare o respingere le richieste di residenza la cui falsità può essere «assunta» solo dall’Ufficiale di Anagrafe. Infine, si lamenta la mancata restituzione nel termine per proporre richiesta di patteggiamento o di giudizio abbreviato in conseguenza dell’assoluzione della ricorrente dal reato di cui al capo C.
COGNOME ha dedotto cinque motivi di ricorso.
4.1. Violazione di legge e vizio della motivazione in relazione alla qualificazione della condotta contestata ai sensi dell’art. 319 cod. pen. Il motivo si fonda, da un lato, sull’analisi della procedura prevista per la residenza anagrafica, e, dall’altro, sulla disciplina speciale prevista per i cittadini brasili sia ai fini dell’ingresso in Italia (e nello spazio Schengen), senza necessità di visto per un periodo non superiore a 90 giorni (si richiama l’accordo tra l’UE e la Repubblica Federativa del Brasile in materia), che per l’iscrizione nei registri anagrafici dei cittadini brasiliani, discendenti da cittadini italiani e in possesso un valido permesso di soggiorno. Si richiamano le circolari del Ministero dell’Interno n. 28 del 2022, in merito alla iscrizione nei registri anagrafici de discendenti di cittadini italiani in possesso di un permesso di soggiorno, e la n. 32 del 2007 che ha fornito una interpretazione dell’art. 1, legge n. 68 del 1978 e chiarito che anche la semplice dichiarazione di presenza può costituire titolo utile, in alternativa alla dimora abituale, ai fini dell’iscrizione anagrafica per coloro che intendono avviare il procedimento per il riconoscimento della cittadinanza iure san guinis.
Sulla base di tale inquadramento normativo delle condotte rilevanti nel caso di specie, si deduce che la sentenza impugnata ha erroneamente interpretato l’art. 1 legge n. 68 del 2017 e ravvisato il reato di cui all’art. 319 cod. pen. in assenza di un atto contrario ai doveri di ufficio, stante l’irrilevanza dell’attività di ve della dimora abituale ai fini della prosecuzione del procedimento amministrativo.
Si afferma, infatti, che tale attività era stata eseguita solo per una prassi amministrativa contrastante con il regime di semplificazione previsto per i cittadini brasiliani, cosicché, la violazione di tale prassi amministrativa non può considerarsi come atto contrario ai doveri di ufficio.
Si segnala, inoltre, che lo stesso Comune di Trezzano sul Naviglio non ha contestato la legittimità delle iscrizioni anagrafiche né con il procedimento di cancellazione di cui all’art. 11 d.P.R. n. 223 del 1989 né in autotutela.
Sulla base di ali considerazioni, ad avviso del ricorrente, la condotta contestata potrebbe, al più, essere qualificata ai sensi dell’art. 318 cod. pen.
4.2 Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’elemento soggettivo del reato atteso che il ricorrente ha avuto un ruolo marginale, limitato a due sole pratiche di residenza, e non vi sono elementi che dimostrano che fosse a conoscenza dell’accordo corruttivo.
4.3. Violazione di legge e vizio della motivazione in merito al mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 114 cod. pen. in ragione del ruolo marginale del ricorrente, coinvolto nel procedimento solo per avere aiutato la madre in alcuni adempimenti relativi all’attività di assistenza e intermediazione in solo due pratiche di cittadinanza nell’ambito delle quali non risulta avere avuto alcuna interlocuzione con il messo comunale Mandelli.
4.4. Violazione di legge e vizio della motivazione in relazione alla quantificazione delle somme confiscabili che, sulla base degli elementi fattuali desumibili dall’imputazione di cui al capo E (200 euro per ogni pratica e un ammontare massimo pari a euro 11.000) e della partecipazione del ricorrente a due sole pratiche, non doveva essere di importo superiore a ero 400,00.
4.5. Violazione di legge e vizio della motivazione in merito alla omessa revoca o sospensione della condanna al pagamento della provvisionale ed alla eccessività della somma liquidata in misura sproporzionata rispetto alla stessa domanda della parte civile la quale aveva limitato a 2400 euro la propria pretesa economica nei confronti del ricorrente.
COGNOME COGNOME ha dedotto, con due motivi di ricorso tra loro logicamente connessi, vizi di violazione di legge e di motivazione in relazione alla interpretazione della sua richiesta come concordato, anziché come patteggiamento. Si rappresenta che con l’istanza del 28/12/23 la ricorrente aveva depositato nella cancelleria della Corte territoriale «istanza di concordato ex art. 599-bis cod. proc. pen. con la quale rinunciava ai motivi di gravame ad esclusione di quello previsto al numero V, inerente il “recupero del patteggiannento», richiesta già formulata dinanzi al Giudice dell’udienza preliminare e poi reiterata prima dell’apertura del dibattimento. Ed infatti, nel concordato sottoscritto dalla COGNOME si chiedeva espressamente l’applicazione della pena ex art. 444 cod. proc. pen.
COGNOME COGNOME COGNOME ha dedotto sei motivi di ricorso.
6.1 Violazione ed erronea interpretazione dell’art. 1, legge n. 68 del 2017, nonché degli artt. 318, 319 e 321 cod. pen., e vizio della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del reato di cui all’art. 319 anziché di quello di cui all’ar 318 cod. pen. Il motivo si fonda su argomentazioni sovrapponibili a quelli esposti da COGNOME nel primo motivo di ricorso.
Si rileva, in particolare, che:
-in virtù dell’accordo tra l’Unione europea e la Repubblica Federativa del Brasile, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea del 21/09/2012, ai cittadini brasiliani è consentito l’ingresso in Italia e nello spazio Schengen senza necessità di visto per un periodo che non superi i 90 giorni dal primo ingresso;
la circolare del Ministero dell’Interno n. 28 del 23/12/2002 ha chiarito che si deve procedere all’iscrizione nei registri anagrafici dei discendenti di cittadini italiani p nascita, in possesso di un valido permesso di soggiorno, indipendentemente dalla durata dello stesso e dal titolo per il quale è stato concesso;
la circolare del Ministero dell’Interno n. 32 del 13/06/2007, fornendo la corretta interpretazione dell’art. 1 legge n. 68 del 2007, ha chiarito che, a seguito della novella, la semplice dichiarazione di presenza può costituire titolo utile ai fini
dell’iscrizione anagrafica di coloro che intendono avviare in Italia la procedura per il riconoscimento della cittadinanza.
Sostiene la ricorrente che, sulla base di tale chiaro dato normativo, il requisito della dimora abituale non costituisce presupposto indefettibile né per l’iscrizione anagrafica né per il riconoscimento della cittadinanza italiana iure sanguinis in quanto, per i cittadini brasiliani, discendenti di cittadini italiani, il requisito “residenza” è integrato anche da una presenza sul territorio di carattere meno stabile rispetto alla dimora abituale.
Sulla base di tale premessa, si afferma, dunque, che la sentenza impugnata, a causa dell’erronea interpretazione dell’art. 1 legge 68 del 2007, non ha individuato alcun atto contrario ai doveri d’ufficio, posto che l’attività di verif della dimora abituale era del tutto ininfluente ai fini della prosecuzione della procedimento amministrativo.
6.2. Con il secondo e quarto motivo di ricorso, tra loro logicamente connessi, si deducono vizi di violazione di legge e di motivazione in relazione al giudizio di responsabilità della ricorrente. In primo luogo si eccepisce la mancanza di motivazione in ordine all’elemento psicologico, erroneamente desunto dalla oggettiva esistenza di un «accordo corruttivo a tariffa fissa», da rapporti telefonici tra la ricorrente e altri indagati e dalla sua partecipazione alla falsificazione di u contratto di locazione (secondo motivo).
Si rilevano, inoltre, molteplici argomenti contraddittori nella sentenza impugnata con riferimento ai seguenti punti: i) tra il ritenuto concorso della ricorrente e la parte in cui si afferma che COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME lavoravano in modo indipendente; ii) tra l’affermazione relativa alla rilevanza delle intercettazioni quale prova dell’accordo corruttivo tra COGNOME e gli imputati e l’assenza in dette conversazioni di alcun riferimento alla ricorrente; iii) tr l’affermazione secondo cui COGNOME era spinta a predisporre finti contratti di locazione e quella che attribuisce siffatta condotta anche alla ricorrente; iv) tra la ritenuta rilevanza delle dichiarazioni rese dall’imputata COGNOME a carico della ricorrente e le considerazioni della Corte territoriale che, richiamando la sentenza di primo grado, afferma che «le dichiarazioni rese dagli imputati in dibattimento non sono state ritenute attendibili».
6.3. Con il terzo motivo si deduce la violazione dell’art. 522, comma 1, cod. proc. pen., in relazione all’art. 521, commi 1 e 3 cod. proc. pen. con riferimento alla valorizzazione quale prova dell’accordo corruttivo di una condotta di falsificazione del contratto di locazione non contestata alla ricorrente.
6.4 Con il quinto motivo deduce il vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 114 cod. pen. avendo la Corte territoriale omesso di motivare sull’efficacia causale della condotta della ricorrente, riconosciuta come minimale dalla sentenza di primo grado.
6.5 Con il sesto motivo deduce vizio della motivazione in merito al trattamento sanzionatorio determinato in misura superiore al minimo edittale in considerazione della condotta di falso non contestata alla ricorrente
CONSIDERATO IN DIRITTO
Occorre, innanzitutto, premettere alcune osservazioni sul metodo di analisi della sentenza impugnata. Tale sentenza va, infatti, considerata come una “doppia conforme” della decisione di primo grado, cosicché ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo argomentativo.
Secondo un principio ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità, ricorre la cd. “doppia conforme” quando – come nel caso in esame – i giudici dell’appello, esaminando le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (Sez. 2, n. 37295 del 12/6/2019, E., Rv. 277218; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595).
Passando all’esame dei singoli ricorsi, il motivo dedotto da NOME COGNOME è inammissibile in quanto attiene a motivi oggetto di rinuncia, avendo l’imputata scelto di concordare la pena in appello. Inoltre, la doglianza relativa alla omessa concessione della restituzione nel termine appare aspecifica e, comunque, logicamente incompatibile con la scelta processuale effettuata dalla ricorrente in appello.
Quanto al ricorso proposto da COGNOME, il primo motivo è infondato.
3.1 Innanzitutto, ad avviso del Collegio, non vi è stata alcuna erronea applicazione della legge 28 maggio 2007, n. 68 (Disciplina dei soggiorni di breve durata degli stranieri per visite, affari, turismo e studio) che all’art. 1, comma prevede che per l’ingresso in Italia per missione, gara sportiva, visita, affari, turismo, ricerca scientifica e studio non è richiesto il permesso di soggiorno qualora la durata del soggiorno stesso sia non superiore a tre mesi. In tali casi si applicano le disposizioni di cui all’articolo 4, comma 2, del d. Igs. n. 298 del 1998 e i termine di durata per cui è consentito il soggiorno è quello indicato nel visto di ingresso, se richiesto.
Il secondo comma di tale norma prevede, inoltre, che al momento dell’ingresso o, in caso di provenienza da Paesi dell’area Schengen, entro otto giorni dall’ingresso, lo straniero dichiara la sua presenza, rispettivamente
all’autorità di frontiera o al questore della provincia in cui si trova, secondo l modalità stabilite con decreto del Ministro dell’interno.
Come chiarito dalla circolare n. 32 del 13/6/2007 la ricevuta di tale dichiarazione di presenza, resa dagli interessati nei termini sopra esposti, può costituire titolo utile ai fini dell’iscrizione anagrafica di coloro che intendono avvia in Italia la procedura per il riconoscimento della cittadinanza “jure sanguinis”, in relazione a quanto disposto con la circolare n. 29 del 2002.
Si chiarisce, inoltre, che tale dichiarazione di presenza consente agli stranieri di soggiornare regolarmente in Italia per un periodo di tre mesi o per il minor periodo eventualmente stabilito nel visto d’ingresso.
In alternativa a tale dichiarazione di presenza, come chiarito dalla circolare del Ministero dell’Interno n. 28 del 23/12/2002, costituisce titolo valido, ai fin dell’iscrizione nei registri anagrafici del discendenti di cittadini italiani per nasc anche un valido permesso di soggiorno, indipendentemente dalla durata dello stesso e dal titolo per il quale viene concesso.
Va, tuttavia, considerato che secondo la disciplina prevista dalla legge 5 febbraio 1992, n. 91 (nuove norme sulla cittadinanza), ai fini dell’acquisto della cittadinanza iure sanguinis da parte dello straniero e dell’apolide, del quale il padre, la madre o uno degli ascendenti in linea retta di secondo grado sono stati cittadini per nascita, è necessaria la sussistenza di una delle condizioni previste dagli artt. 4 e 9 legge cit. tra le quali, con riferimento al caso di specie, assume rilevanza quello della residenza legale nel territorio della Repubblica, per il differente periodo indicato dalle due norme (a seconda dei casi, almeno due, tre o dieci anni).
Va, infine, aggiunto che il requisito della residenza aveva rilievo ai fini dell’acquisto della cittadinanza iure sanguinis anche in base alla previgente normativa (legge 13/6/1912, n. 555) ed infatti, come chiarito dalla circolare del Ministero dell’Interno K.28 dell’8/4/1991, tra i documenti da produrre ai fini del riconoscimento della cittadinanza italiana, vi era anche il certificato di residenza.
3.1.1. Nel caso di specie, secondo quanto può desumersi dalla ricostruzione fattuale eseguita dai Giudici di merito, l’illecita condotta ascritta agli imputati riguardato, non il titolo di iscrizione nei registri anagrafici, come sostiene ricorrente, bensì le successive verifiche relative alla residenza legale del richiedente nel territorio italidno.
L’accordo corruttivo con la COGNOME ha, infatti, riguardato proprio gli accertamenti “per iscrizione anagrafica”, a questa demandati nella qualità di messo comunale, preliminari all’ottenimento della residenza da parte dei cittadini brasiliani richiedenti la cittadinanza italiana iure sanguinis.
Come ben chiarito dalla sentenza di primo grado, tale adempimento risponde a un preciso dovere di ufficio prescritto dall’art. 19, comma 2, d.P.R. 30 maggio
1989, n. 223 (Approvazione del nuovo regolamento anagrafico della popolazione residente) a mente del quale “l’ufficiale di anagrafe è tenuto a verificare la sussistenza del requisito della dimora abituale di chi richiede l’iscrizione o la mutazione anagrafica. Gli accertamenti devono essere svolti a mezzo degli appartenenti ai corpi di polizia municipale o di altro personale comunale che sia stato formalmente autorizzato, utilizzando un modello conforme all’apposito esemplare predisposto dall’Istituto nazionale di statistica”.
Secondo la ricostruzione emergente dalle sentenze di merito, l’illecita negoziazione ha avuto ad oggetto proprio le positive risultanze di tali accertamenti, in realtà omessi o svolti non correttamente dalla COGNOME. In particolare, risulta dalla sentenza impugnata che, nonostante COGNOME eseguisse fittiziamente l’attività di controllo relativa alle pratiche curate dagli imputati (dall’attivi pedinannento è, infatti, emerso che, in taluni casi, COGNOME si recava nei luoghi indicati senza scendere dall’auto, altre volte si recava ad un piano o ad una scala differente rispetto a quella dove doveva eseguire il controllo e, in altri casi ancora, non si recava proprio agli indirizzi indicati), la stessa compilava, comunque, la relativa documentazione di accertamento, che veniva consegnata al Comune.
Sulla base di tale ricostruzione, ritiene, dunque, il Collegio che i Giudici di merito hanno correttamente qualificato siffatto accordo corruttivo ai sensi dell’art. 319 cod. pen. proprio in ragione dell’oggetto del mercimonio consistente nel compimento da parte di COGNOME di un atto contrario ai doveri d’ufficio, consistente nella fittizietà delle verifiche a questa demandate e nella successiva attestazione positiva dell’accertamento di residenza, secondo una logica di totale asservimento della funzione certificativa demandata al pubblico ufficiale agli interessi dei privati corruttori
3.2 n secondo motivo di ricorso è inammissibile in quanto generico e di contenuto meramente confutativo. La sentenza impugnata, con motivazione immune da vizi logici o giuridici, completamente trascurata dal ricorrente, ha ricostruito, sulla base delle conversazioni intercettate il ruolo comprimario del ricorrente, il quale, in assenza della madre, si relazionava direttamente con COGNOME (ad esempio, la sentenza di primo grado riporta la trascrizione di una conversazione tra l’imputato e COGNOME in cui il primo descriveva l’abitazione dove avrebbe dovuto eseguire l’accertamento).
3.3. Il terzo motivo di ricorso è infondato.
Va, innanzitutto, ribadito che, in tema di concorso di persone nel reato, ai fini dell’integrazione della circostanza attenuante della minima partecipazione di cui all’art. 114 cod. pen., non è sufficiente una minore efficacia causale dell’attività prestata da un correo rispetto a quella realizzata dagli altri, in quanto è necessario che il contributo dato si sia concretizzato nell’assunzione di un ruolo di rilevanza del tutto marginale in quanto di efficacia causale così lieve rispetto all’evento da
risultare trascurabile nell’economia generale dell – iter” criminoso, ruolo che, nel caso di specie, appare logicamente incompatibile con la ricostruzione della posizione del ricorrente e ciò a prescindere dal numero di pratiche trattate (Sez. 6 , Sentenza n. 34539 del 23/06/2021, Rv. 281857). Ad avviso del Collegio, la sentenza impugnata, con motivazione immune da vizi logici o giuridici, muovendosi nel solco delle coordinate ermeneutiche sopra esposte, ha legittimamente negato l’invocata circostanza attenuante, in considerazione del preminente rilievo ostativo attribuito al ruolo svolto dal ricorrente, quale alter ego della madre, ed alle sue interazioni con COGNOME.
3.4. Il quarto motivo di ricorso è fondato.
La sentenza impugnata ha, infatti, determinato l’importo da sottoporre a confisca facendo riferimento all’importo complessivamente percepito da COGNOME quale prezzo della corruzione, senza considerare il numero di pratiche riferibili al ricorrente secondo l’elenco indicato nel capo di imputazione.
A fronte, infatti, della ritenuta configurazione di un “accordo corruttivo collettivo” fondato sulla corresponsione al pubblico ufficiale di una “tariffa fissa” d 200 euro per ogni pratica di accertamento della residenza, la conclusione cui è pervenuta la Corte territoriale appare giuridicamente erronea alla luce della recente decisione adottata dalle Sezioni Unite nel proc. COGNOME (ud. 26/09/2024) con la quale è stato risolto il contrasto ermeneutico insorto proprio sulla questione dell’applicabilità del principio solidaristico in tema di confisca (cfr. in tema sequestro preventivo funzionale alla confisca ai sensi dell’art. 322-ter cod. pen., Sez. 2, n. 22073 del 17/03/2023, COGNOME, Rv. 284740; Sez. 6, n. 4727 del 20/01/2021, Russo, Rv. 280596). Secondo quanto risulta dall’informazione provvisoria, il Supremo Consesso ha affermato che “in caso di concorso di persone nel reato, esclusa ogni forma di solidarietà passiva, la confisca è disposta nei confronti del singolo concorrente limitatamente a quanto dal medesimo concretamente conseguito. Il relativo accertamento è oggetto di prova nel contraddittorio fra le parti. Solo in caso di mancata individuazione della quota di arricchimento del singolo concorrente, soccorre il criterio della ripartizione in parti uguali.”
La sentenza impugnata va, dunque, annullata nei confronti di COGNOME limitatamente al punto concernente la confisca, con rinvio per nuovo giudizio, alla luce di quanto affermato dalle Sezioni Unite, ad altra Sezione della Corte di appello di Milano.
3.5. Il quinto motivo è inammissibile in quanto non consentito.
Non è impugnabile con ricorso per cassazione la statuizione pronunciata in sede penale e relativa alla concessione e quantificazione di una provvisionale, trattandosi di decisione di natura discrezionale, meramente delibativa e non necessariamente motivata, per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e
destinata ad essere travolta dall’effettiva liquidazione dell’integrale risarcimento. (Sez. 2, 44859 del 17/10/2019, COGNOME, Rv. 277773 – 02).
I due motivi di ricorso dedotti da COGNOME Aparecida, da esaminare congiuntamente in quanto tra loro logicamente connessi, sono fondati, ma il loro accoglimento comporta esclusivamente la rettificazione della sentenza impugnata, risultando dalla complessiva motivazione relativa all’esame dell’istanza presentata dalla ricorrente che la Corte territoriale ha accolto l’istanza di patteggiamento, ritenendo congrua la pena indicata sin dall’istanza formulata in primo grado, pena nel cui calcolo è compresa anche la riduzione per il rito.
Deve, dunque, ritenersi che il dispositivo sia affetto da un mero errore materiale là dove omette di richiamare, unitamente all’art. 599-bis cod. proc. pen., anche l’art. 444 cod. proc. pen.
In tal caso, dunque, poiché la motivazione contiene elementi certi e logici per far ritenere errato il dispositivo, questa Corte può procedere alla rettifica ex art. 619 cod. proc. pen. (cfr. Sez. 6, n. 48846 del 17/11/2022, Rv. 284331) attraverso l’inserimento nel dispositivo della seguente locuzione: “e di cui all’art. 444 cod. proc. pen.”.
Venendo, infine, al ricorso proposto da COGNOME Bethiol Quezia, il primo motivo è infondato per le stesse ragioni già esposte nei parr. 3, 3.1. e 3.1.1.
5.1. Il secondo e quarto motivo di ricorso, da esaminare congiuntamente in quanto tra loro logicamente connessi, sono infondati.
La sentenza impugnata, con una motivazione immune da vizi logici o giuridici, ha desunto il concorso della ricorrente nella corruzione sia dalla conversazione tra COGNOME e COGNOME in merito alla falsificazione di un contratto di locazione da parte di COGNOME, che dall’analisi della rubrica del telefono cellulare sequestrato alla ricorrente.
In particolare, quanto alla conversazione, risulta dalla sentenza impugnata che COGNOME riferiva a COGNOME di “avere fatto casino” in relazione ad un falso contratto di locazione, necessario alla ricorrente per poter dimostrare la fittizia disponibilità di un’abitazione da parte di un cliente; ciò in quanto COGNOME aveva erroneamente riempito tale contratto con l’indicazione di una via diversa, cosicché era stata effettuata un’indagine presso l’effettiva proprietaria dell’immobile, tal NOMECOGNOME che aveva negato tutto.
Tale elemento probatorio è stato logicamente collegato alle risultanze dell’analisi della rubrica del telefono in uso al ricorrente nella quale sono stati rinvenuti i numeri sia di COGNOME che di altri due coimputati, la cui posizione è stata definita separatamente.
La sentenza di primo grado, inoltre, ha riportato le dichiarazioni del teste di polizia giudiziaria, NOME COGNOME il quale ha descritto il meccanismo operativo ricostruito dal contenuto delle conversazioni tra COGNOME e COGNOME e tra quest’ultima e COGNOME, meccanismo fondato su una sorta di spartizione GLYPH dei richiedenti di nazionalità brasiliana, GLYPH che venivano “portati”, oltre che dalle medesime COGNOME e COGNOME, anche da COGNOME per poi “passare” attraverso l’attività svolta da Mandelli (cfr. pagina 11).
A tali considerazioni, va infine, aggiunto, che gli elementi di contraddittorietà evidenziati dal ricorrente sono meramente apparenti in quanto frutto di una lettura parcellizzata della motivazione che, come già detto, complessivamente analizzata, anche alla luce delle argomentazioni contenute nella sentenza di primo grado, appare immune dal dedotto vizio logico.
Va, a tale riguardo, ribadito che è configurabile il vizio di contraddittorietà della motivazione quando non siano conciliabili tra loro le considerazioni logicogiuridiche in ordine ad uno stesso fatto o ad un complesso di fatti o vi sia disarmonia tra la parte motiva e la parte dispositiva della sentenza, ovvero nella stessa si manifestino dubbi che non consentano di determinare quale delle due o più ipotesi formulate dal giudice – conducenti ad esiti diversi – siano state poste a base del suo convincimento (cfr., tra le tante, Sez. 5, n. 19318 del 20/01/2021, Cappella, Rv. 281105), condizioni, queste, non ricorrenti nel caso di specie.
5.2. Il terzo motivo è infondato in quanto, oltre a non essere stato dedotto in appello, dall’esame delle sentenze di merito risulta che la falsificazione del contratto di locazione è stata valutata solo quale indice della piena partecipazione della ricorrente al meccanismo corruttivo, ma non ai fini della sua condanna per un reato di falso non contestato.
5.3. Il quinto motivo è infondato.
La Corte territoriale, infatti, con motivazione adeguata e coerente con la giurisprudenza richiamata nel par. 3.3., ha negato l’invocata attenuante considerando il pieno coinvolgimento di Bozom nel sistema corruttivo oltre che la là già citata condotta di falsificazione del contratto di locazione.
6.5 Anche il sesto motivo è infondato in quanto la sentenza impugnata, con motivazione non manifestamente illogica né arbitraria, ha argomentato in merito al lieve discostamente del trattamento sanzionatorio dal minimo edittale, ponendo l’accento sulla valenza negativa della condotta decettiva posta in essere dalla ricorrente. Tale argomento si salda con gli elementi valorizzati dalla sentenza di primo grado, che ha attribuito preminente rilievo al numero di pratiche riconducibili alla ricorrente e alla protrazione ne! tempo delle condotte
Alla luce di quanto sopra esposto, va disposto l’annullamento della sentenza impugnata con riferimento alla posizione di COGNOME Patrick limitatamente alla
confisca del denaro disposta a suo carico, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte di appello di Milano; il ricorso di COGNOME va, invece, rigettato nel resto.
Va, inoltre, rigettato il ricorso proposto da RAGIONE_SOCIALE con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Quanto alla posizione di COGNOME va disposta la rettifica del dispositivo della sentenza nei termini indicati in dispositivo.
Va, infine, dichiarata l’inammissibilità del ricorso proposto da COGNOME con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila da versare in favore della Cassa delle ammende, non potendosi ritenere che la stessa abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. n. 186 del 2000).
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con riferimento alla posizione di COGNOME limitatamente alla confisca del denaro disposta a suo carico e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte di appello di Milano; rigetta il ricorso nel resto.
Rigetta, altresì, il ricorso di Bozom Penteado Bethiol Quezia e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Rettifica il dispositivo della sentenza relativamente alla posizione di COGNOME nel senso che dopo le parole all’art. 599-bis cod. proc. pen. vanno aggiunte quelle ‘e di cui all’art. 444 cod. proc. pen: con riferimento a detta ricorrente.
Dichiara inammissibile il ricorso di COGNOME NOME che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso, il 12 novembre 2024.