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Confisca per corruzione: limiti e ripartizione

In un caso di corruzione per facilitare l’ottenimento di cittadinanze, la Cassazione conferma le condanne ma introduce un principio fondamentale sulla confisca per corruzione. Citando una recente decisione delle Sezioni Unite, la Corte stabilisce che la confisca del profitto del reato non è solidale tra i concorrenti, ma deve essere limitata alla quota di profitto effettivamente conseguita da ciascuno. La sentenza di appello è stata annullata su questo punto con rinvio per un nuovo calcolo.

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Pubblicato il 12 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Confisca per corruzione: la Cassazione esclude la solidarietà tra concorrenti

Una recente sentenza della Corte di Cassazione interviene su un caso di corruzione legato alla concessione di cittadinanze italiane, stabilendo un principio di fondamentale importanza in materia di confisca per corruzione. La Suprema Corte ha chiarito che, in caso di concorso di persone nel reato, la confisca del profitto illecito non si applica in solido, ma deve essere frazionata in base alla quota effettivamente percepita da ciascun correo. Approfondiamo i dettagli di questa importante decisione.

I fatti del processo: un sistema illecito per la cittadinanza

Il caso ha origine da un’indagine che ha smascherato un sistema corruttivo finalizzato a facilitare l’ottenimento della cittadinanza italiana iure sanguinis da parte di cittadini di origine brasiliana. Al centro del meccanismo vi era un messo comunale che, in cambio di denaro, attestava falsamente la residenza dei richiedenti sul territorio comunale. Questa verifica è un presupposto indispensabile per avviare la pratica di riconoscimento della cittadinanza. Altri soggetti agivano come intermediari, gestendo le pratiche e i contatti con il pubblico ufficiale infedele.

La questione della residenza è un dovere d’ufficio

La difesa degli imputati aveva sostenuto che la verifica della dimora abituale non fosse un atto strettamente necessario per i cittadini brasiliani, per i quali sarebbe stata sufficiente una semplice dichiarazione di presenza. Di conseguenza, l’omissione del pubblico ufficiale non costituirebbe un atto contrario ai doveri d’ufficio, facendo venir meno il reato di corruzione.
La Cassazione ha respinto categoricamente questa tesi, ribadendo che la normativa sulla cittadinanza (in particolare il d.P.R. 223/1989) impone all’ufficiale di anagrafe di verificare l’effettiva sussistenza della dimora abituale. L’aver omesso o falsificato tali controlli in cambio di denaro integra pienamente il delitto di corruzione propria (art. 319 c.p.), in quanto costituisce una palese violazione dei doveri legati alla funzione pubblica.

La rivoluzione della confisca per corruzione in concorso

Il punto più innovativo della sentenza riguarda la quantificazione della confisca. La Corte d’appello aveva disposto la confisca dell’intera somma corruttiva nei confronti di uno degli intermediari, applicando un principio di solidarietà passiva. La Cassazione ha annullato questa parte della sentenza, richiamando una recentissima decisione delle Sezioni Unite (proc. Massini, ud. 26/09/2024).
Il nuovo principio stabilisce che in caso di concorso di persone, la confisca per corruzione non è solidale. Essa deve essere disposta nei confronti del singolo concorrente limitatamente a quanto da lui concretamente conseguito. L’accertamento di tale quota è oggetto di prova nel contraddittorio tra le parti. Solo qualora sia impossibile individuare la quota di arricchimento di ciascuno, si applica un criterio residuale di ripartizione in parti uguali.

Le altre decisioni della Corte

Per gli altri imputati, la Corte ha preso decisioni diverse:
– Il ricorso del pubblico ufficiale è stato dichiarato inammissibile, poiché aveva rinunciato ai motivi di appello aderendo a un accordo sulla pena.
– Per un’altra imputata, è stato corretto un mero errore materiale nel dispositivo della sentenza d’appello.
– Il ricorso di un’ulteriore intermediaria è stato rigettato in toto, confermando la sua piena responsabilità nel meccanismo corruttivo.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su una rigorosa interpretazione delle norme che regolano sia il procedimento di cittadinanza sia i doveri dei pubblici ufficiali. La verifica della residenza è un atto dovuto e non una mera formalità. Sul piano della confisca per corruzione, la Corte ha recepito l’orientamento delle Sezioni Unite, volto a personalizzare la sanzione patrimoniale e a renderla proporzionata all’effettivo arricchimento di ciascun concorrente. Questo approccio abbandona il principio solidaristico, tipico del diritto civile, ritenendolo incompatibile con la natura personale della responsabilità penale, anche nelle sue conseguenze patrimoniali.

Le conclusioni

Questa sentenza ha implicazioni significative. In primo luogo, riafferma la gravità delle condotte che minano la correttezza dei procedimenti amministrativi, come quelli per la concessione della cittadinanza. In secondo luogo, e con portata ancora maggiore, ridefinisce le regole della confisca per corruzione in concorso, imponendo a giudici e pubblici ministeri un accertamento più puntuale dei profitti individuali. Ciò potrebbe portare a una maggiore equità nell’applicazione delle sanzioni patrimoniali, ma richiederà anche un onere probatorio più stringente per l’accusa.

La falsa attestazione di residenza da parte di un messo comunale per una pratica di cittadinanza è corruzione?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che la verifica della dimora abituale è un preciso dovere d’ufficio. Ometterla o attestarla falsamente in cambio di denaro costituisce il reato di corruzione ai sensi dell’art. 319 del codice penale.

In un reato di corruzione commesso da più persone, come viene applicata la confisca del denaro?
La confisca non è più solidale. Secondo un nuovo principio delle Sezioni Unite, essa viene applicata a ciascun concorrente solo per la parte di profitto che ha effettivamente percepito. Se non è possibile determinare le singole quote, l’importo totale viene diviso in parti uguali tra i correi.

Avere un ruolo secondario in un reato garantisce l’attenuante della minima partecipazione?
Non automaticamente. La Corte ha negato l’attenuante a un imputato che, pur avendo partecipato a un numero limitato di episodi, ha agito come ‘alter ego’ di un altro correo principale e ha avuto contatti diretti con il pubblico ufficiale corrotto. Tale contributo è stato ritenuto non marginale o trascurabile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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