Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 13164 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 13164 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME nata a Sommatino il 27/07/1965, avverso la sentenza in data 23/12/2024 del Tribunale di Genova; letti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni scritte con cui il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME ha chiesto che, in accoglimento del ricorso, l’impugnata sentenza sia annullata limitatamente alla disposta confisca della somma di danaro, con trasmissione degli atti al Tribunale di Genova.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 23/12/2024, il Tribunale di Genova, accogliendo la richiesta di patteggiamento avanzata nell’interesse di NOME COGNOME sulla quale il pubblico ministero aveva prestato il proprio assenso, ha applicato alla predetta, in ordine al delitto di illecita detenzione di stupefacenti di cui all’ar 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, concessele le attenuanti generiche, valutate in termini di equivalenza alla contestata aggravante e alla riconosciuta recidiva, la pena concordata, disponendo altresì la confisca e la distruzione della
sostanza caduta in sequestro e la confisca della somma di euro 3.400,00 egualmente vincolata.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore della COGNOME, avv.to NOME COGNOME che ha articolato un unico motivo di ricorso, di seguito sintetizzato conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con tale motivo di ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., violazione di legge in relazione a quanto previsto dall’art. 240 cod. pen. e vizio di motivazione per manifesta illogicità, in punto di disposta confisca della somma di danaro in sequestro.
Sostiene, in particolare, che la statuizione de qua risulterebbe illegittima ed illogicamente argomentata, in quanto adottata in relazione a una decisione di applicazione di pena per il delitto di illecita detenzione di sostanza stupefacente, in assenza di elementi che facessero ritenere che la somma ablata ne costituisse il provento.
Il procedimento è stato trattato in udienza camerale con le forme e con le modalità di cui all’art. 23, commi 8 e 9, del d.l. n. 137/2020, convertito dalla legge n. 176 del 2020, i cui effetti sono stati prorogati dall’art. 5-duodecies del d.l. n. 162 del 2022, convertito, con modificazioni, nella legge n. 199 del 2022 e, da ultimo, dall’art. 17 del d.l. n. 75 del 2023, convertito, con modificazioni, nella legge n. 112 del 2023.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso presentato nell’interesse di NOME COGNOME è manifestamente infondato per le ragioni che di seguito si espongono.
Del tutto infondato è l’unico motivo di ricorso, con cui si lamenta violazione di legge in relazione a quanto previsto dall’art. 240 cod. pen. e vizio di motivazione per manifesta illogicità, in punto di disposta confisca della somma di danaro in sequestro, sostenendo che la statuizione sarebbe illegittima ed illogicamente argomentata, perché adottata in relazione a una decisione di applicazione di pena per il delitto di illecita detenzione di stupefacenti, in carenza di elementi che facessero ritenere che la somma ablata ne costituisse il provento.
Rileva innanzitutto il Collegio che i limiti di ammissibilità del ricorso per cassazione avverso la sentenza di applicazione della pena su richiesta sono
attualmente disciplinati dal disposto dell’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., introdotto dalla legge n. 103 del 2017, a termini del quale «Il pubblico ministero e l’imputato possono proporre ricorso per cassazione contro la sentenza solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza».
Tale circostanza rende evidente l’inammissibilità della doglianza basata sull’ipotizzato vizio motivazionale della sentenza impugnata.
Risulta, poi, del tutto priva di fondamento anche l’altra censura fatta valere con il motivo in disamina, imperniata – come detto – sulla supposta erronea applicazione del disposto di cui all’art. 240 cod. pen.
Osserva, infatti, il Collegio che, nella sentenza di cui trattasi, la statuizione afferente alla confisca della somma di danaro in sequestrhonda sulle previsioni di cui agli artt. 240-bis cod. pen. e 85 d.P.R. n. 309 del 1990, essendosi ritenuta la provvista trovata in dosso all’imputata connotata da un’evidente sproporzione rispetto alle entrate di cui la stessa avrebbe potuto legittimamente disporre.
Orbene, a fronte di tale circostanza, risulta evidente che la dedotta doglianza non coglie nel segno, essendosi con essa contestata la natura di provento del reato della somma ablata, che, nella sentenza impugnata, non ha costituito la ratio del provvedimento di confisca.
Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per la ricorrente di sostenere, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., le spese del procedimento.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 e considerato che non v’è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza «versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», si dispone che la ricorrente versi, in favore della Cassa delle ammende, la somma, determinata in via equitativa, di euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 12/03/2025