Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 20926 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 20926 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME nato in Albania il 1°/5/1989
avverso la sentenza del 12/11/2024 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Brindisi;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiarare inammissibile il ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 12/11/2024, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Brindisi applicava a RAGIONE_SOCIALE ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen. – la pena di 4 anni di reclusione e 14mila euro di multa in ordine al reato di cui agli artt. 81 cpv. cod. pen., 73, commi 1 e 4, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
Propone ricorso per cassazione l’imputato, deducendo i seguenti motivi:
erronea applicazione dell’art. 240 cod. pen.; mancanza di motivazione. Il Tribunale, nell’accogliere l’accordo sanzionatorio, avrebbe disposto la confisca del
denaro in sequestro senza alcuna motivazione quanto al necessario nesso di pertinenzialità, se non il generico riferimento all’art. 240 cod. pen.; si tratterebbe all’evidenza, di un argomento insufficiente a fronte di una condotta di detenzione di stupefacente, come da costante giurisprudenza di legittimità;
violazione dell’art. 81 cod. pen.; vizio di motivazione. La sentenza, dopo aver correttamente qualificato il fatto, non avrebbe offerto alcun argomento con riguardo alla continuazione e, in particolare, all’aumento di pena applicato a questo titolo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso risulta innanzitutto inammissibile quanto al secondo motivo, in tema di continuazione e di relativo aumento sanzionatorio.
La doglianza, infatti, attiene al profilo motivazionale della decisione, ponendosi quindi ben oltre i termini di cui all’art. 448, comma 2-bis cod. proc. pen., introdotto dalla I. 23 giugno 2017, n. 103, che consente il ricorso per cassazione su sentenza emessa ex art. 444 cod. proc. pen. soltanto per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra l richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegali della pena o della misura di sicurezza; motivi di censura – questi – che non sono in alcun modo dedotti nel ricorso, che – si ribadisce – attiene soltanto al trattamento sanzionatorio derivante dal riconoscimento della continuazione, esattamente nei termini richiesti dalle parti.
Con riguardo, poi, al primo motivo, la Corte osserva innanzitutto che lo stesso è ammissibile.
5.1. Muovendo dalla lettera dell’art. 448, comma 2-bis cod. proc. pen., infatti, le Sezioni Unite di questa Corte (sent. 26/9/2019, COGNOME ed altri) – pronunciandosi sul quesito “Se, a seguito dell’introduzione della previsione di cui all’art. 448, comma 2 bis, cod. proc. pen., sia ammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca il vizio di motivazione in ordine all’applicazione di misura di sicurezza, personale o patrimoniale” – hanno risposto in termini affermativi, con riferimento alle stesse misure che non abbiano formato oggetto dell’accordo delle parti, come nel caso di specie. In particolare, e con rinvio all’ampia pronuncia, basti qui ricordare che, a giudizio del Supremo Collegio, “se la sentenza dispone una misura di sicurezza, sulla quale non è intervenuto accordo tra le parti, la statuizione relativa – che richiede accertamenti circa i previsti presupposti giustificativi e un pertinente motivazione che non ripete quella tipica della sentenza di “patteggiamento”, ed è inappellabile, alla luce del disposto del, tuttora vigente, art. 448, comma 2, cod. proc. pen. – è impugnabile, per coerenza dello sviluppo
del ragionamento giuridico non disgiunto da esigenze di tenuta del sistema secondo postulati di unitarietà e completezza, con ricorso per cassazione anche per vizio della motivazione, ex art. 606, comma 1, cod. proc. pen.”
In punto di merito, poi, il motivo risulta fondato.
6.1. Al ricorrente è stata applicata la pena già richiamata con riguardo alla condotta di detenzione illecita di quasi mezzo chilo di sostanze stupefacenti, tra cocaina, marijuana e hashish; è stata disposta anche “la confisca di quanto in sequestro con distruzione” del medesimo stupefacente, “ai sensi del combinato disposto di cui all’art. 445 c.p.p. e all’art. 240 c.p.”.
6.2. Tanto premesso, occorre in primo luogo richiamare il carattere obbligatorio della confisca: a norma dell’art. 73, comma 7-bis, d.P.R. n. 309 del 1990, infatti, “Nel caso di condanna o di applicazione di pena su richiesta delle parti, a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale, è ordinata la confisca delle cose che ne sono il profitto o il prodotto, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero quando essa non è possibile, fatta eccezione per il delitto di cui al comma 5, la confisca di beni di cui il reo ha la disponibil per un valore corrispondente a tale profitto o prodotto”. Tale carattere, tuttavia, non esclude la necessità di individuare il legame pertinenziale tra il bene (da qualificare come prodotto o profitto) e la condotta contestata, trattandosi di cosa riferibile direttamente al reato, la cui ablazione deve essere giustificata con l’esistenza di un nesso (per l’appunto) pertinenziale con l’illecito, che impone la sottrazione dei beni alla disponibilità del colpevole o per impedire la agevolazione di nuovi fatti criminosi, o per impedire di consolidarne il profitto (tra le altre, S 3, n. 2444 del 23/10/2014, COGNOME, Rv. 262399.). Ciò, peraltro, con ancor maggior significato nel caso – come quello in esame – in cui la contestazione abbia ad oggetto soltanto la detenzione a fine di cessione di sostanza stupefacente. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Ebbene, l’effettiva assenza di una motivazione, nella sentenza impugnata, tale non potendosi ritenere il mero richiamo alle norme indicate, impone l’annullamento della stessa pronuncia limitatamente alla confisca del denaro, per nuovo giudizio sul punto.
7.1. In senso contrario, peraltro, non pare poter deporre l’art. 444, comma 1, cod., proc. pen., nel periodo aggiunto dal d. Igs. 10 ottobre 2022, n. 150, in forza del quale “l’imputato e il pubblico ministero possono altresì chiedere al giudice di non applicare le pene accessorie o di applicarle per una durata determinata, salvo quanto previsto dal comma 3bis, e di non ordinare la confisca facoltativa o di ordinarla con riferimento a specifici beni o a un importo determinato”. Questa disposizione, infatti, richiama soltanto l’ipotesi di un accordo esplicito tr l’imputato ed il pubblico ministero su tali profili accessori della sentenza, che dunque diventano parte costitutiva del negozio sanzionatorio; in mancanza,
tuttavia, non è lecito ricavare la conclusione che la confisca possa essere disposta dal giudice in difetto di qualsiasi motivazione, dovendosi questi ritenere comunque
obbligato a giustificarne l’applicazione qualora, come nel caso in esame, richieda la verifica di un nesso pertinenziale tra il bene ed il reato.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla disposta confisca del denaro, con rinvio per nuovo giudizio sul punto al Tribunale di Brindisi. Dichiara
inammissibile il ricorso nel resto.
Così deciso in Roma, il 26 marzo 2025
Deposia in Cancelleria