Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 51 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 51 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 27/10/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME COGNOME n. Crotone il 22/01/1967 avverso la sentenza del 30/11/2022 del G.i.p. del Tribunale di Bologna
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; lette le conclusioni rassegnate dall’avv. NOME COGNOME nell’interesse della parte civile, che ha concluso per la declaratoria di inammissibilità o di rigetto del ricorso con condanna del ricorrente alle spese sostenute nel grado.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza ex art. 444 cod. proc. perì. del 30 novembre 2022, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bologna ha applicato a NOME COGNOME in ordine ai reati di cui agli artt. 8 e 10 d.lgs. 74 del 2000, commessi in qualità d amministratore di diritto della RAGIONE_SOCIALE la pena di anni uno e mesi sei di reclusione, disponendo, per quanto qui interessa, la confisca per equivalente del profitto del primo reato sino alla concorrenza della somma di euro 282.183,02, nonché la confisca della menzionata società.
Avverso l’indicata sentenza, a mezzo del difensore fiduciario, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, lamentando, con il primo motivo, la violazione dell’art. 129 cod. proc. pen. per omessa motivazione sull’insussistenza di più favorevoli cause di proscioglimento.
Con il secondo motivo si deduce la violazione degli artt. 240 cod. pen. e 445, comma 1, cod. proc. pen. per omessa motivazione sulla confisca della RAGIONE_SOCIALE
Con il terzo motivo si deduce la violazione dell’art. 12 d.lgs. 74 del 2000 per essere stato quantificato nel dieci per cento del fatturato i profitto del reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti, valorizzandosi conversazioni intercorse tra altri soggetti senza contestualizzare i dialoghi in relazione al soggetto emittente le fatture ed alle fatture interessate. Nel dubbio – sostiene il ricorrente – si sarebbe dovuto ritenerehigl. favor rei, che il compenso preteso per le fatture fosse pari al tre per cento dell’imponibile.
Con l’ultimo motivo di ricorso, osservandosi che la riconosciuta circostanza aggravante di cui all’art. 416-) b / GLYPH cod. pen. preclude la sospensione dell’esecuzione della pena e che, in forza della recente riforma processuale approvata con la c.d. legge Cartabia, la pena detentiva applicata all’imputato può ora essere sostituita con il lavoro di pubblica utilità, si propone questione di legittimità costituzionale dell’art. 95 d.lgs. 150 del 2022 e degli artt. 656, comma 9, e 666 cod. proc. pen., per contrasto con gli artt. 3, 24 e 27, comma 3, Cost. nella parte in cui non prevedono un effettivo coordinamento tra la sospensione dell’esecuzione della pena e la sostituzione delle pene detentive brevi in modo tale da consentire che la pena non sia eseguita prima che l’imputato giudicato nella vigenza della previgente normativa abbia la possibilità di richiederne la sostituzione al giudice dell’esecuzione. In particolare, si dubita della legittimit
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costituzionale dell’art. 656 cod. proc. pen. nella parte in cui non include tra i reat che ammettono la sospensione dell’ordine di esecuzione della pena anche quelli ostativi per cui vi è stata condanna a pena detentiva inferiore a quattro anni di reclusione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso è inammissibile perché non consentito.
Com’è noto, a norma dell’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., contro la sentenza di patteggiamento può essere proposto ricorso per cassazione «solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazion tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto all’illegalità della pena o della misura di sicurezza».
Il difetto di motivazione sull’insussistenza di cause di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen. non può, pertanto, costituire motivo di ricorso.
Posto che nel caso di specie le disposte confische non sono state oggetto di accordo, il ricorso per cassazione sul punto può invece essere proposto per i consueti motivi di cui all’art. 606 cod. proc. pen., come confermato da questa Corte nella sua più autorevole composizione (S.U. 26/09/2019, dep. 2020, Savin, Rv. 279348-01), sicché il secondo ed il terzo motivo di ricorso sono ammissibili e, per quanto immediatamente si dirà, sono anche fondati.
Quanto alla confisca della RAGIONE_SOCIALE, la sentenza impugnata non reca effettivamente motivazione alcuna, limitandosi ad affermare che la stessa viene disposta «ai sensi degli artt. 240 c.p. e 445 co. 1 c.p.p.», sicché non è dato comprenderne le ragioni, né in fatto, né in diritto, non essendo neppure stato chiarito se trattasi di confisca facoltativa ovvero obbligatoria ed a quale dei due reati contestati all’imputato la stessa sia riferita.
Diversamente da quanto argomentato dal Procuratore generale nella requisitoria scritta, reputa il Collegio che la motivazione addotta nella sentenza impugnata con riguardo alla confisca di altre due società – la RAGIONE_SOCIALE, disposta nei confronti del coimputato NOME COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE, disposta nei confronti del coimputato NOME COGNOME – non possa essere estesa alla confisca della RAGIONE_SOCIALE disposta nei confronti dell’odierno ricorrente (ciò che, peraltro, dovrebbe implicitamente avvenire, in diketto di qualsiasi espresso richiamo). Ed invero, mentre a quest’ultimo sono stati contestati, rispettivamente, ai capi 37) e 38) d’imputazione, i reati di cui agli art 8 e 10 d.lgs. 74 del 2000 commessi in qualità di amministratore della menzionata
società, la confisca delle altre due società è stata disposta con riguardo al ben diverso reato di cui all’art. 512-bis cod. pen. contestato ai menzionati coimputati ai capi 9) e 10) con riguardo alla fittizia intestazione della titolarità formale de quote societarie. Richiamandosi anche per costoro gli artt. 240 cod. pen. e 445, comma 1, cod. proc. pen., nei confronti dei coimputati la sentenza specifica che trattasi di confisca facoltativa sul rilievo che «del reato di intestazione fittizi società…rappresenta il prodotto, o comunque un bene in rapporto di massima strumentalità con il primo, sì da determinare automaticamente la protrazione degli effetti in difetto di definitiva ablazione».
E’ evidente, pertanto, come tale argomentazione, fondata sulla considerazione che le due società hanno rappresentato il prodotto, o comunque l’oggetto, del contestato reato di trasferimento fraudolento di valo4 non è in alcun modo estensibile alla confisca della RAGIONE_SOCIALE per i reati fiscali contestati al suo legale rappresentante. Se, poi, volesse (implicitamente) valorizzarsi – come il Procuratore generale suggerisce – il riferimento al “rapporto di strumentalità”, che sarebbe ravvisabile anche con riguardo alla società in questione rispetto all’emissione delle fatture per operazioni inesistenti contestate al capo 37) d’imputazione, la motivazione sarebbe comunque insufficiente posto che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di confisca facoltativa ex art. 240, comma primo, cod. pen., il giudice non può motivare, con formula astratta, il provvedimento che ne dispone l’applicazione in relazione al bene utilizzato per commettere un reato (Sez. 3, n. 33432 del 03/07/2023, COGNOME, Rv. 285062) alla luce della natura cautelare della stessa che tende a prevenire la commissione di nuovi reati (Sez. 3, n. 30133 del 05/04/2017, S., Rv. 270324).
Quanto alla confisca per equivalente del profitto del reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti – giustamente individuato con riguardo al compenso ricevuto per l’emissione delle fatture (cfr. Sez. 3, n. 43952 del 05/05/2016, Sanna e a., Rv. 267925) – reputa invece il Collegio che sia manifestamente illogica la motivazione addotta per ritenere provato che lo stesso fosse pari al dieci per cento dell’imponibile nelle stesse indicato.
Ed invero, la sentenza richiama il contenuto di alcune conversazioni telefoniche intercorse tra altri correi, traendo la conclusione che, «dopo il sequestro…operato dalla polizia giudiziaria in data 7.11.2019 nei confronti del coimputato NOME…la remunerazione pretesa dal gruppo facente capo al Muto in quel frangente (finanche da altri soggetti cutresi appartenenti allo stesso sodalizio mafioso) era del 10% sul valore della fattura». Dalla motivazione si ricava che il prezzo in precedenza richiesto per l’emissione del documento fiscale era invece inferiore e pari al 3-4%.
Or bene, a prescindere da altri rilievi, osserva il Collegio come la conclusione raggiunta in sentenza sia manifestamente illogica, posto che al ricorrente è contestato il reato di emissione di fatture inesistenti con riferimento al periodo 10 aprile 2018 – 31 marzo 2019, ben prima, dunque, del sequestro che, secondo il giudice, avrebbe determinato l’aumento del corrispettivo preteso per l’illecita fatturazione.
In accoglimento dei motivi secondo e terzo, la sentenza impugnata deve pertanto essere annullata nei confronti del ricorrente NOME COGNOME con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Bologna in diversa persona fisica, limitatamente alle confische di cui si è detto.
Il giudice del rinvio provvederà anche in relazione alla richiesta di liquidazione delle spese avanzata dalla parte civile per il presente grado di giudizio.
Per quanto di seguito si dirà, nel giudizio di rinvio potrà inoltre valutarsi anche la questione concernente la sostituzione della pena detentiva alla luce della disposizione transitoria di cui all’art. 95, comma 1, ult. periodo, d.lgs. 10 ottobr 2022, n. 150.
Va a quest’ultimo proposito rilevato, infatti, che l’annullamento con rinvio in relazione al giudizio sulle disposte confische impone di ritenere assorbita – e, comunque, non rilevante – la questione di legittimità costituzionale proposta con l’ultimo motivo di ricorso, e ciò al di là della sussistenza di un interesse concreto ed attuale a proporla in questa sede, posto che, a tacer d’altro, l’imputato non ha formalizzato alcuna richiesta di sostituzione della pena detentiva.
Reputa, infatti, il Collegio che per i processi pendenti rientri nella competenza funzionale del giudice del rinvio ogni questione connessa all’applicazione in via transitoria del nuovo regime sulla sostituzione delle pene detentive brevi approvato con la c.d. riforma Cartabia, sicché non è nella specie ipotizzabile quella competenza del giudice dell’esecuzione che ha indotto il ricorrente a dubitare della legittimità costituzionale dell’art. 656 cod. proc. pen.
6.1. Ed invero, per quanto qui interessa, l’art. 95 d.lgs. 150/2022 dispone che «il condannato a pena detentiva non superiore a quattro anni, all’esito di un procedimento pendente innanzi la Corte di cassazione all’entrata in vigore del presente decreto, può presentare istanza di applicazione di una delle pene sostitutive di cui al Capo III della legge 24 novembre 1981, n. 689, al giudice dell’esecuzione, ai sensi dell’articolo 666 del codice di procedura penale, entro trenta giorni dalla irrevocabilità della sentenza. Nel giudizio di esecuzione si applicano, in quanto compatibili, le norme del Capo III della legge 24 novembre
1981, n. 689, e del codice di procedura penale relative alle pene sostitutive. In caso di annullamento con rinvio provvede il giudice del rinvio».
Com’è evidente, giusta la previsione di cui all’art. 2, quarto comma, cod. pen., la citata disposizione transitoria mira a rendere applicabile ai giudizi in corso che ancora non siano stati definiti con sentenza irrevocabile la più favorevole disciplina sul trattamento sanzionatorio medio tempore entrata in vigore.
6.2. Ciò posto, indipendentemente dalla soluzione della questione circa la possibilità di presentare l’istanza di applicazione delle nuove pene sostitutive rispetto ad una pena detentiva applicata su concorde richiesta delle parti prima dell’entrata in vigore del d.lgs. 150 del 2022 – ciò che postula il contemperamento tra il principio di intangibilità dell’accordo raggiunto sulla pena ed il principio applicazione retroattiva della più favorevole disciplina penale ai processi non ancora definiti – osserva il Collegio che nel caso di specie la competenza a decidere non spetta al giudice dell’esecuzione.
Il ricorso risulta bensì proposto il 15 dicembre 2022, sicché non v’è dubbio sulla sussistenza del requisito della pendenza in cassazione del processo al 30 dicembre 2022, data di entrata in vigore della riforma, che legii:tima l’applicazione della richiamata normativa transitoria. Benché la presente impugnazione, nei limiti in cui è ammissibile, non abbia riguardo alla sussistenza dei presupposti per l’applicazione della pena in relazione ai reati ascritti, ma si riferisca ai punti su confisca più sopra indicati, la sentenza impugnata non può infatti allo stato dirsi definitiva, poiché la cosa giudicata si forma sui capi della sentenza, e non sui punti di essa, sicché, pur se il riconosciuto difetto di un’ammissibile impugnazione sull’accertamento (nella specie, sui presupposti per ratificare l’intervenuto accordo sulla pena, con esclusione di cause proscioglimento di più favorevoli) fa sorgere la preclusione sul punto, la decisione acquista il carattere dell’irrevocabilità soltanto quando sono divenute irretrattabili tutte le questioni concernenti il capo (Sez. U, n. 1 del 19/01/2000, COGNOME, Rv. 216239).
6.3. Deve riconoscersi, pertanto, da un lato, che la sentenza impugnata non è divenuta irrevocabile, con conseguente impossibilità di adire prima d’ora il giudice dell’esecuzione ai sensi dell’art. 95 d.lgs. 150/2022; d’altro lato, che di tale disposizione va fatta applicazione nella parte in cui statuisce che sulla sostituibilità della pena con le più favorevoli sanzioni medio tempore divenute applicabili, in caso di annullamento con rinvio, decide il giudice del rinvio.
A parere del Collegio, anche in omaggio al principio costituzionale di ragionevole durata del processo, l’ampia formulazione della norma transitoria si presta infatti a ritenerne l’applicabilità pure quando il giudizio di rinvio rigua questioni diverse dalla responsabilità o dal trattamento sanzionatorio concernente il reato della cui pena detentiva si intenda richiedere la sostituzione. Anzi, a rigore,
la disposizione sembra riferibile proprio a queste situazioni, posto che, altrimenti, non ve ne sarebbe neppure stato bisogno, non essendo revocabile in dubbio che, per il principio dell’applicabilità della lex mitior ai reati ancora sub iudice, quando la pena detentiva sia inflitta in un giudizio di rinvio celebrato successivamente all’entrata in vigore della c.d. legge Cartabia la stessa sia sostituibile in base all più favorevole disciplina da questa prevista.
6.4. Posto, dunque, che, con riguardo all’accoglimento del secondo e del terzo motivo, deve disporsi l’annullamento con rinvio relativamente alle disposte confische, il giudice del rinvio potrà essere eventualmente investito della questione sulla sostituibilità della pena detentiva concordata con la più favorevole sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità medio tempore divenuta applicabile al caso di specie, con conseguente irrilevanza della questione di legittimità costituzionale in questa sede proposta.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME Rosario con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Bologna, in diversa persona fisica limitatamente alle disposte confische, nonché per gli effetti di cui all’art. 95, comma 1, ultimo periodo, del d.lgs. n. 150 del 2022.
Dichiara inammissibile il ricorso nel resto.
Così deciso il 27 ottobre 2023.