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Confisca misura di prevenzione: onere della prova

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso contro una confisca misura di prevenzione. Il ricorrente non ha provato la lecita provenienza dei fondi su un libretto di risparmio, nonostante le allegazioni difensive. La Corte ha ritenuto la motivazione del giudice di merito logica e completa, confermando la decisione.

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Pubblicato il 9 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Confisca misura di prevenzione: la prova della provenienza lecita

Nell’ambito delle misure di prevenzione, la questione della provenienza dei beni assume un ruolo centrale. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale: l’onere di dimostrare la liceità dei propri averi grava sul soggetto proposto per la misura. La decisione in esame analizza un caso di confisca misura di prevenzione applicata a una somma depositata su un libretto di risparmio postale, sottolineando come le allegazioni difensive debbano essere supportate da prove concrete e non da mere copie informali.

I Fatti: Dal Sequestro al Ricorso in Cassazione

Il caso origina da un decreto del Tribunale di Roma, confermato in appello, che applicava a un soggetto la misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza per due anni, con obbligo di soggiorno, e disponeva la confisca di una somma giacente su un libretto di risparmio postale.

La difesa del ricorrente sosteneva che i fondi avessero un’origine lecita, derivando interamente dal trasferimento di denaro da un conto corrente cointestato al defunto padre e al fratello, sul quale venivano versati esclusivamente stipendi e pensioni. Un primo ricorso in Cassazione aveva portato all’annullamento con rinvio della decisione, ma solo limitatamente alla confisca del libretto, poiché la motivazione era stata giudicata ‘apparente’, priva di un reale confronto con le tesi difensive.

La Nuova Decisione della Corte d’Appello

La Corte di appello di Roma, in qualità di giudice del rinvio, ha riesaminato la questione e ha nuovamente confermato la confisca. I giudici hanno proceduto a una disamina scrupolosa della documentazione prodotta dalla difesa, rilevando però che si trattava di copie informali, non qualificabili come rendicontazione ufficiale. Dalla loro lettura, non emergeva affatto la prova della liceità del denaro. In particolare, sono state evidenziate diverse criticità: il libretto era stato aperto un mese dopo la chiusura del conto familiare, senza che fosse chiaro chi avesse effettuato la chiusura e come fosse stata prelevata la somma. Inoltre, un ingente prelievo da parte di ignoti, pochi giorni dopo l’apertura, aveva lasciato sul libretto solo una modesta giacenza, oggetto della confisca.

La Confisca Misura di Prevenzione e le Censure del Ricorrente

Il ricorrente ha presentato un nuovo ricorso per cassazione, lamentando una violazione di legge. A suo dire, la Corte d’Appello avrebbe nuovamente disatteso le deduzioni difensive, fornendo ancora una volta una motivazione apparente e non ottemperando alle indicazioni della precedente sentenza di annullamento. Il ricorso mirava a dimostrare che la sussistenza dei presupposti per la confisca non era stata adeguatamente provata dall’accusa e che, al contrario, la difesa aveva fornito elementi sufficienti a dimostrarne l’origine lecita.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici hanno stabilito che le censure del ricorrente erano generiche e rappresentavano un tentativo di rimettere in discussione la valutazione dei fatti e delle prove, un’attività preclusa in sede di legittimità.

La Corte ha evidenziato che il giudice del rinvio si era correttamente attenuto al perimetro cognitivo fissato dalla precedente sentenza di annullamento, concentrandosi unicamente sulla questione della provenienza dei fondi nel libretto. La motivazione della Corte d’Appello non è stata ritenuta ‘apparente’, ma al contrario, frutto di un ampio e logico percorso argomentativo. È stato sottolineato come l’insieme delle operazioni finanziarie (apertura del libretto dopo la chiusura del conto, prelievo anomalo, mancanza di tracciabilità) non dimostrava affatto la provenienza lecita delle somme residue.

Le Conclusioni: L’Onere della Prova grava sul Proposto

La sentenza riafferma un principio cardine in materia di confisca misura di prevenzione: spetta al soggetto proposto dimostrare in modo inequivocabile la legittima provenienza dei beni nella sua disponibilità, specialmente quando esiste una sproporzione con i redditi dichiarati. Non è sufficiente avanzare una tesi difensiva; è necessario supportarla con una documentazione probatoria chiara, ufficiale e completa. Le copie informali e le ricostruzioni non tracciabili non sono sufficienti a superare la presunzione di illecita provenienza. La decisione della Cassazione, dichiarando l’inammissibilità del ricorso, consolida l’orientamento secondo cui il controllo di legittimità non può trasformarsi in un nuovo giudizio di merito.

Quando può essere disposta una confisca misura di prevenzione su una somma di denaro?
La confisca può essere ordinata quando il soggetto destinatario della misura di prevenzione non è in grado di fornire una prova rigorosa e convincente della legittima provenienza dei fondi, soprattutto in presenza di una sproporzione tra i beni posseduti e i redditi leciti.

È sufficiente fornire copie informali di documenti bancari per dimostrare la provenienza lecita di un bene?
No, la sentenza chiarisce che la presentazione di copie informali, non qualificabili come rendicontazione ufficiale, può essere ritenuta insufficiente dai giudici per provare la liceità dei fondi. La prova deve essere chiara, tracciabile e in grado di ricostruire senza ambiguità l’origine lecita del denaro.

Cosa succede se il ricorso in Cassazione si limita a contestare la valutazione delle prove fatta dal giudice di merito?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile. La Corte di Cassazione è un giudice di legittimità, il cui compito è verificare la corretta applicazione della legge e la coerenza della motivazione, non riesaminare i fatti o le prove come in un terzo grado di giudizio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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