Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 29429 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 29429 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/06/2025
PRIMA SEZIONE PENALE
NOME COGNOME
Sent. n. sez. 2067/2025
– Relatore –
COGNOME NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente
sul ricorso proposto da:
avverso il decreto del 22/10/2024 della Corte di appello di Reggio Calabria lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che consequenziale in tema di spese.
Con decreto del 5 luglio 2023, depositato il 2 ottobre 2023, il Tribunale di Reggio Calabria, Sezione Misure di Prevenzione, aveva rigettato la richiesta del Pubblico ministero di applicazione nei confronti di NOME COGNOME della misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno, per difetto dell’attualità della pericolosità sociale, e aveva – in corrispondente parziale accoglimento della stessa richiesta, rigettata nel resto – disposto la confisca dei seguenti beni:
intero capitale sociale della RAGIONE_SOCIALE di COGNOME RAGIONE_SOCIALE, intestato per il 50% al suddetto NOME COGNOME e per l’altro 50% alla di lui figlia NOME COGNOME;
conto corrente n. 1000/1587, aperto presso Intesa San Paolo Spa, filiale di Bianco;
polizza vita n. 685446 ’83 KM RAGIONE_SOCIALE, accesa presso AXA MPS;
piena proprietà del terreno sito in Platì, traversa Lacchi, in Catasto terreni al fol. 12, particella 572, della consistenza di are 24, intestato a NOME COGNOME;
quota di 1/2 della proprietà del fabbricato sito in Platì, INDIRIZZO, senza numero, piano SI, in Catasto fabbricati al fol 25, particella 423/2, cat. C/6, della consistenza di mq 40, intestata a NOME COGNOME;
quota di 1/2 della proprietà del fabbricato sito in Platì, INDIRIZZO, senza numero, piano T, in Catasto fabbricati al fol 25, particella 423/1, cat. C/2, della consistenza di mq 40, intestata a NOME COGNOME;
1.1. Interposto appello da parte di COGNOME – con cui, in ordine alla disposta misura di prevenzione patrimoniale, si era dedotta la mancata considerazione dei dati economici emergenti dalla relazione di consulenza di parte, dimostrativa della titolarità, sia in capo al proposto, sia in capo alla moglie, di imprese individuali fin dal 1987, operanti una nel campo
dell’edilizia e un’altra nel campo dell’agricoltura, nonchØ della sottostima da parte del primo giudice delle legittime fonti di entrata di COGNOME e della sovrastima dell’ammontare delle spese familiari computate, si era contestata l’affermata connessione tra le attività illecite ritenute dimostrative della pericolosità del proposto e la formazione del patrimonio sospetto e si era criticata la conclusione circa la natura mafiosa della società RAGIONE_SOCIALE, costituita nel 2000, e non nel 2006, e concretante la naturale prosecuzione di altro soggetto collettivo, ossia la RAGIONE_SOCIALE, di cui la RAGIONE_SOCIALE aveva sfruttato l’avviamento, senza l’emersione di anomalie -, la Corte di appello, con il provvedimento in epigrafe, emesso il 22 ottobre 2024, depositato il 14 novembre 2024, ha parzialmente riformato il decreto impugnato.
La Corte territoriale, mentre ha confermato nel resto il provvedimento di primo grado, ha revocato la confisca dei seguenti beni, ordinandone l’immediata restituzione all’avente diritto:
piena proprietà del terreno sito in Platì, traversa Lacchi, in Catasto terreni al fol. 12, particella 572, della consistenza di are 24, intestato a NOME COGNOME;
quota di 1/2 della proprietà del fabbricato sito in Platì, INDIRIZZO, senza numero, piano SI, in Catasto fabbricati al fol 25, particella 423/2, cat. C/6, della consistenza di mq 40, intestata a NOME COGNOME;
quota di 1/2 della proprietà del fabbricato sito in Platì, INDIRIZZO, senza numero, piano T, in Catasto fabbricati al fol 25, particella 423/1, cat. C/2, della consistenza di mq 40, intestata a NOME COGNOME.
1.2. La Corte di appello, riportato il complesso delle accuse penali mosse a Perre nel procedimento penale denominato Mandamento Ionico, ha premesso che in tale processo il proposto aveva, all’esito del giudizio di appello, riportato condanna per il delitto di partecipazione mafiosa di cui al capo A) e per l’estorsione di cui al capo N), ma la sentenza successiva, emessa in sede di legittimità (n. 37104 del 2023), aveva annullato quella di secondo grado, quanto alla condanna per il delitto di cui al capo A), rinviando per il nuovo giudizio sul reato inerente al corrispondente capo.
Posto ciò, i giudici dell’appello di prevenzione, considerando anche i reati dichiarati prescritti nei confronti di COGNOME oltre a considerare la sussistenza della sua pericolosità generica, hanno, con riferimento alla concorrente pericolosità qualificato, ribadito, fra l’altro, la necessità di tenere distinti i concetti di partecipazione all’associazione mafiosa, rilevante nella sede penale, e di appartenenza all’associazione stessa, la quale si determina quando il soggetto si trova in posizione di contiguità alla consorteria, agendo, dall’esterno, in modo funzionale agli interessi della struttura criminale, e nel contempo denoti la pericolosità sociale specifica che legittima il trattamento prevenzionale.
La Corte di appello, analizzata la posizione di COGNOME ha concluso che essa, pur tenendo conto del decisum in sede di legittimità, Ł da inquadrarsi proprio quale soggetto appartenente, in questo preciso senso, alla cosca; e del medesimo Ł stata data la definizione di imprenditore colluso, che ha agito quale concorrente esterno del sodalizio di ‘ndrangheta, in relazione alla cui condotta, assodata l’emersione della sua pericolosità nel lasso dal 2008 al 2012, il determinante inquinamento con afflussi mafiosi degli introiti della società RAGIONE_SOCIALE ha legittimato la confisca del relativo capitale sociale e dei flussi finanziari alla stessa annessi, in tale parte aderendo all’approdo di primo grado.
Avverso questa decisione hanno proposto ricorso per cassazione i difensori di NOME COGNOME chiedendone l’annullamento e affidando impugnazione a due motivi.
2.1. Con il primo motivo si lamenta la violazione degli artt. 1, lett. b) , 4, lett. a) e b) , e 29
d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159.
Secondo la difesa, pur avendo preso le distanze dall’assunto del Tribunale, i giudici di appello hanno omesso di applicare l’indicato quadro normativo con riferimento ai presupposti della pregressa pericolosità sociale, generica e qualificata, di Perre, nonchØ in ordine al cruciale tema probatorio dell’arco temporale di manifestazione della ritenuta pericolosità.
In particolare, la Corte di appello, riconnettendo la pericolosità sociale del proposto in relazione all’affermata appartenenza di Perre all’articolazione della ‘ndrangheta costituita dalla locale di Platì, non ha considerato in modo corretto le evidenze processuali a cui si Ł riferita, operandone una lettura atomistica e addirittura travisante.
Premesso che il procedimento di prevenzione era sorto in virtø del parallelo procedimento penale Mandamento Ionico, attualmente pendente in sede di rinvio, dopo che la Corte di cassazione aveva annullato la sentenza di condanna resa in appello, anche con riferimento alla posizione di Perre e pure con riguardo al delitto di cui all’art. 416bis cod. pen. a lui contestato, i giudici di appello, secondo la difesa, non hanno tenuto conto delle ragioni poste a base di questo annullamento, insuperabili nel senso dell’esclusione della partecipazione e anche dell’appartenenza del proposto alla cosca suindicata.
Il fatto che la Corte di appello, nel decreto impugnato, abbia qualificato la posizione di COGNOME alla stregua del concorrente esterno in associazione mafiosa, oltre a far emergere un percorso logico del tutto diverso da quello che aveva seguito il Tribunale (il quale aveva annesso valore alle dichiarazioni dei collaboratori NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME pur devitalizzate dalla sentenza di annullamento, nonchØ alla condanna definitiva per estorsione, alla sua parentela con soggetti apicali delle cosche di ‘ndrangheta, a una vecchia condanna per furto del 2008 e a taluni precedenti di polizia per ritenere COGNOME appartenente, se pur non partecipe, alla cosca), Ł il frutto – secondo la difesa – di un illegittimo recupero probatorio ai presenti fini delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia ritenute dalla sentenza della Corte di legittimità non utilizzabili per la contestazione associativa, in relazione alla quale COGNOME era stato già giudicato con esito assolutorio riferito al tempo del 2006.
L’aver ritenuto, da parte dei giudici dell’appello di prevenzione, tale approdo compatibile con l’equiparazione della posizione del proposto a quella del concorrente esterno Ł una costruzione che collide, per la difesa, con le considerazioni svolte dalla Corte di cassazione nella sentenza di annullamento succitata: in essa si era evidenziato che il fatto che l’imprenditore COGNOME fosse stato disposto a pagare qualcosa per mettersi a posto poteva, al piø, far emergere un atteggiamento di vicinanza e connivenza, non una sua intraneità al gruppo; vicinanza o connivenza che, tuttavia, non possono ritenersi bastevoli neanche ai fini prevenzionali senza la prova, sia pure indiziaria, di un rapporto funzionale tra il proposto e la cosca.
NØ, per il ricorrente, avrebbe potuto fondarsi il giudizio di pericolosità sociale sulla condanna per l’estorsione aggravata dal metodo mafioso (non dall’agevolazione mafiosa), relativa all’imposizione di prezzi fuori mercato nell’acquisto del calcestruzzo (capo N in quel processo), a cui si ricollegava la testimonianza di NOME COGNOME, al pari dei reati dichiarati prescritti (capi E1 e F2), pure riferiti all’arco temporale 2008 – 2012: il decreto impugnato, infatti, non ha chiarito quale ruolo avrebbe avuto Perre dal 2008 al 2012, nessuna specificazione essendo stata data in merito alla supposta pericolosità sociale del proposto in prospettiva dichiaratamente eziologica, giacchØ anche la nozione di appartenenza sottende il nesso della sua funzionalità agli interessi della struttura criminale, con l’individuazione del corrispondente contributo fattivo reso dal soggetto all’attività e allo sviluppo del sodalizio.
Su tale tema – lamenta la difesa – nessuna prova Ł stata in concreto fornita alla base del provvedimento impugnato, la motivazione resa dai giudici di appello essendo soltanto apparente, oltre che illogica nella parte in cui, da un lato, si Ł ipotizzato un risalente, ma mai documentato, scambio collusivo fra NOME COGNOME e la locale di Platì, con la monopolizzazione da parte del primo del settore dei lavori pubblici, e, dall’altro, si Ł trascurato di chiarire quale sia stato il vantaggio ottenuto dalla cosca, essendo fra l’altro caduta nel processo penale Mandamento Ionico la circostanza aggravante di cui all’art. 416bis , sesto comma, cod. pen., per cui l’associazione non risulta aver reinvestito gli eventuali proventi in attività economiche. In ogni caso – si aggiunge – l’unico reato accertato a carico di COGNOME non Ł risultato finalizzato ad agevolare la cosca ed Ł mancata la prova che i proventi di tale reato siano stati destinati alle casse dell’associazione.
Per la difesa, il decreto impugnato ha omesso di dimostrare sia l’asserita sussistenza di un metodo spartitorio tra gli esponenti della ‘ndrangheta avente il controllo delle attività economiche e sia il fatto che COGNOME avrebbe sfruttato la presunta estrazione criminale sua e del suo nucleo familiare per affermarsi monopolisticamente nel settore degli appalti pubblici: non sono state individuate la ragione dell’assimilazione fra COGNOME e la ‘ndrangheta, per l’eventuale conseguimento da parte della cosca dei vantaggi riferiti alla sfera del primo, l’esistenza di contatti fra il proposto e i referenti della cosca e l’utilità conseguita dal gruppo criminale in via sinallagmatica con il vantaggio avuto per effetto della sua pretesa appartenenza ‘ndranghetistica; nØ le vicende di cui ai reati sub E1 e F2 sono state collocate nello spazio e nel tempo per dimostrare condotte delittuose seriali i cui proventi avessero potuto costituire una componente significativa delle entrate del proposto per un apprezzabile intervallo temporale, considerando l’arco 2008 – 2012, circoscritto dall’analisi della Corte di appello.
Perciò – sostiene la difesa – nØ la pericolosità qualificata, nØ la pericolosità generica hanno formato oggetto di idonea analisi nel decreto impugnato.
2.2. Con il secondo motivo si denuncia la violazione degli artt. 15 e ss. e 24 e ss. d.lgs. n. 159 del 2011.
Il ricorrente osserva che i giudici di appello, pur avendo delimitato la pregressa pericolosità sociale al solo periodo 2008 – 2012, hanno poi contraddittoriamente confermato la confisca dei beni immobili e dei beni societari descritti alle pagine 39 e ss. del provvedimento, omettendo di confrontarsi con le deduzioni tecniche esposte sulla base delle osservazioni dei consulenti tecnici di parte NOME e NOME COGNOME, in specie sui seguenti temi: la titolarità, sia in capo a COGNOME, sia in capo alla sua consorte, di imprese individuali fin dal 1987, operanti una nel campo dell’edilizia e un’altra nel campo dell’agricoltura, con la conseguente evenienza di mezzi patrimoniali utili a soddisfare il mantenimento familiare; le discordanze e gli errori riguardanti date e soggetti; la sottostima delle legittime fonti di entrata; la sovrastima delle spese familiari.
Rinviando all’elaborato dei consulenti, la difesa stigmatizza particolarmente il metodo adottato per il calcolo delle spese familiari medie annue, mediante il ricorso ai dati dell’Istat, senza considerare i rilievi svolti con l’appello circa la mancata valutazione delle differenze esistenti fra le variabili regionali, professionali e altre connotazioni specifiche; differenze, invece, da tenere in conto, mentre i giudici di merito non hanno giustificato la selezione dei tre criteri applicati (ampiezza del nucleo familiare, regione di appartenenza e condizione professionale) in luogo degli altri, laddove la vita di una famiglia in un comune calabrese di 5.000 abitanti Ł assoggettata a costi certamente inferiori alla media.
Inoltre, a fronte del lunghissimo tempo in cui COGNOME ha svolto l’attività imprenditoriale, la
Corte di appello – assume la difesa – non ha tenuto conto che l’ampio spettro cronologico imponeva di escludere l’impiego di meccanismi anomali di rapido accumulo di beni: avrebbe dovuto dimostrarsi, non una qualsivoglia illiceità nella formazione del patrimonio, ma una sua genesi peculiarmente connotata dallo sfruttamento di aderenze mafiose e comunque dalla consumazione di reati lucro-genetici per un arco temporale significativo; tema su la motivazione Ł carente, laddove avrebbe dovuto riscontrarsi la qualificata connessione fra dedotta appartenenza mafiosa e formazione del patrimonio ablato, aspetto implicato necessariamente dall’esigenza di individuare la correlazione temporale fra pericolosità sociale e illecito arricchimento.
Quanto, poi, alla specifica qualificazione della RAGIONE_SOCIALE quale impresa a partecipazione mafiosa, in quanto essa sarebbe stata inquinata dall’immissione di capitali mafiosi, con la susseguente confusione di profitti leciti e illeciti, il ricorrente obietta che i giudici della prevenzione hanno obliterato il dato, pure evidenziato dalla menzionata consulenza, per cui tale società era stata costituita nel gennaio 2000, ben prima del periodo ritenuto attinto dalla pericolosità sociale, non hanno considerato la modestia economica del corrispondente investimento e nemmeno hanno preso in esame il rilievo che essa aveva concretato la naturale prosecuzione della già citata COGNOME NOME COGNOME, della quale aveva sfruttato l’avviamento.
In ogni caso, secondo la difesa, Ł mancato un calcolo analitico dei singoli beni di sospetta provenienza illecita necessario per appurare se si fosse verificata una sproporzione di valore rispetto al reddito dichiarato, nØ, quanto all’affermata pericolosità qualificata, si Ł estrinsecata la sussistenza di una tangibile relazione tra il supposto modus operandi illecito e l’acquisito dei beni in esame: con riferimento all’impresa a partecipazione mafiosa, avrebbe dovuto distinguersi l’ipotesi dell’inquinamento del ciclo aziendale, siccome l’attività risulta esercitata con metodo mafioso, dall’ipotesi della mera immissione di capitali illeciti, senza alterazione del ciclo aziendale, ma la Corte di merito si Ł adagiata sull’affermazione tautologica – di avvenuto inquinamento del ciclo aziendale senza uno specifico accertamento sul punto.
In tal senso, avendo ricollegato l’appartenenza mafiosa del proposto al concorso esterno del medesimo nell’associazione di ‘ndrangheta quale imprenditore colluso, i giudici di appello avrebbero dovuto dar conto dei reciproci vantaggi derivanti dal corrispondente accordo, di natura illecita,, evidenziando le utilità ricevute dalla cosca per effetto dell’ausilio del proposto e dei vantaggi conseguiti da quest’ultimo per effetto della vicinanza all’associazione.
Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso osservando che i giudici dell’appello di prevenzione hanno svolto un’attenta ricostruzione della fattispecie riducendo l’ambito della confisca all’oggetto certamente coinvolto in relazione alla pericolosità manifestata da COGNOME, senza che l’impugnazione abbia offerto dati aventi una forza dimostrativa tale da travolgere la motivazione posta alla base del decreto impugnato, evidenziandosi, al riguardo, la necessità di tener conto della complessiva motivazione della sentenza di legittimità che ha annullato con rinvio la condanna di COGNOME per il delitto di associazione mafiosa, nel contempo rendendo irrevocabile la sua condanna per il delitto di estorsione aggravato ex art. 416bis .1 cod. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
L’impugnazione non risulta fondata, in quanto i motivi che la caratterizzano – valutati in relazione all’ambito a cui Ł circoscritto, secondo l’art. 10, comma 3, d.lgs. n. 159 del 2011,
lo spettro deduttivo del mezzo – non risultano dotati di base giuridica idonea a destrutturare il ragionamento che sorregge il decreto impugnato, anche nella parte in cui essi superano il vaglio di ammissibilità.
Deve brevemente ribadirsi, in tal senso, che, nel procedimento di prevenzione, secondo il disposto or ora indicato, derivato dall’art. 4 legge 27 dicembre 1956, n. 1423, a sua volta richiamato dall’art. 3ter , secondo comma, legge 31 maggio 1965, n. 575, il ricorso per cassazione Ł ammesso soltanto per violazione di legge: nozione nella quale va compresa la motivazione inesistente o meramente apparente del provvedimento, come violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al giudice di appello dall’art. 10, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011.
Questa violazione ricorre anche allorquando il decreto ometta del tutto di confrontarsi con un elemento potenzialmente decisivo prospettato da una parte che, singolarmente considerato, sarebbe tale da poter determinare un esito opposto del giudizio, mentre il mero vizio della motivazione (come classificato dall’art. 606, comma 1, lett. e , cod. proc. pen.) del decreto non può essere dedotto e, in ogni caso, non può essere ritenuto qualora l’inesistenza o la mera apparenza della motivazione risultino smentite dal discorso giustificativo espresso dal provvedimento; sicchØ anche il vizio di travisamento della prova per omissione Ł ordinariamente estraneo al procedimento di legittimità, salvo che si siano travisate plurime circostanze decisive, totalmente ignorate o ricostruite dai giudici di merito in modo così erroneo da tradursi in una motivazione apparente o inesistente, riconducibili alla violazione di legge (Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246 – 01; Sez. 2, n. 20968 del 06/07/2020, COGNOME, Rv. 279435 – 01; Sez. 1, n. 6636 del 07/01/2016, COGNOME, Rv. 266365 – 01; Sez. 6, n. 24272 del 15/01/2013, COGNOME, Rv. 256805 – 01).
Si aggiunge che tale specificità inerisce al ricorso per cassazione avverso il decreto emesso in materia di prevenzione anche quando l’impugnazione non evidenzi una reale mancanza o apparenza della motivazione del provvedimento, ma si limiti a censurare genericamente la tecnica espositiva, quale quella definitiva del “copia-incolla”, di per sØ insuscettibile di integrare una carenza logico-argomentativa, per cui il relativo ricorso va considerato aspecifico e non tale da prospettare un’ipotesi di violazione di legge, la quale unica a essere prevista dall’art. 10 cit. – ricorre, come si Ł visto, soltanto quando il decreto ometta del tutto di confrontarsi con un elemento potenzialmente decisivo nel senso che, singolarmente considerato, sarebbe tale da poter determinare un esito opposto del giudizio (Sez. 5, n. 1861 del 28/10/2021, dep. 2022, Raggi, Rv. 282539 – 01).
Per altro verso, si Ł precisato, sempre in ordine alle misure di prevenzione patrimoniali, che Ł deducibile con ricorso per cassazione la violazione del diritto alla prova di cui all’art. 7, comma 4bis , d.lgs. n. 159 del 2011, sebbene la relativa inosservanza non sia prevista a pena di nullità (Sez. 1, n. 44214 del 05/06/2023, COGNOME, Rv. 285502 – 02; a sua volta, Sez. 1, n. 49180 del 06/07/2016, COGNOME, Rv. 268652 – 01, ha considerato che lo stesso soggetto terzo – chiamato a partecipare al procedimento di prevenzione, in quanto destinatario della presunzione relativa di fittizia intestazione di beni in realtà riferibili al proposto, soggetto che ha il diritto, ai sensi degli art. 2ter legge n. 575 del 1965, poi art. 23 del d.lgs. n. 159 del 2011, oltre che dell’art. 6 CEDU, di fornire qualsiasi prova contraria a detta presunzione, anche di natura testimoniale – ha titolo di dedurre con il ricorso per cassazione il vizio di violazione di legge allorquando il provvedimento impugnato non abbia offerto alcuna motivazione in ordine al rigetto delle sue istanze istruttorie).
in merito al caso esaminato, si aggiunge a quanto esposto in parte narrativa che la Corte territoriale, a ragione del decreto adottato, ha, tra l’altro, evidenziato quali dati rilevanti
quelli scaturenti dalle intercettazioni delle conversazioni che avevano fatto emergere i contrasti fra i vari gruppi criminali in merito all’assegnazione dei lavori di ripristino della rete idrica della frazione INDIRIZZO del Comune di Natile di Careri, aggiudicati proprio alla CALMOTER di NOME COGNOME (i giudici hanno vagliato specialmente le conversazioni del 5.08.2009, del 17.03.2010 e l’episodio del 25.03.2010) era risultato che COGNOME, pur non avendo partecipato in via preventiva agli accordi finalizzati a pilotare l’appalto, aveva condiviso appieno il conseguente programma criminoso dichiarandosi disposto a pagare qualcosa per ‘mettersi a posto’ facendo affiorare la sua condotta di vicinanza funzionale alla cosca, nonchØ chiedendo l’intervento del suocero NOME COGNOME per intercedere con il boss NOME COGNOME e sanare il contrasto insorto.
Dall’analisi del comportamento di COGNOME in questa vicenda si Ł tratta materia per la qualificazione del proposto come imprenditore colluso., stante l’emersione della sua consapevole capacità di rapportarsi con esponenti della cosca, quali il suddetto COGNOME, e di utilizzare l’influenza del suocero (COGNOME, con il conclusivo ottenimento dell’appalto e il conseguimento, sia da parte sua, sia da parte della consorteria, di concreti, reciproci vantaggi.
Il provvedimento ha analizzato anche la testimonianza del direttore dei lavori NOME COGNOME ritenuta rilevante per la dimostrazione del suddetto ruolo rivestito da COGNOME
Sono state richiamate, ancora, le conversazioni captate per affermare il ruolo attivo di COGNOME anche nell’imporre l’artificioso aumento del prezzo del calcestruzzo per la RAGIONE_SOCIALE e per l’altra società, la RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME, ulteriore manifestazione del comportamento fattivo del proposto nel medesimo senso indicato.
Al riguardo Ł stato annesso peso ai colloqui – pure captati – fra il suddetto COGNOME e l’ing. COGNOME nei quali il primo riferiva al secondo delle minacce subìte e del conseguente timore di ritorsioni in lui ingenerato, a riprova dell’avvenuta costituzione di un cartello tra imprese colluse che si erano imposte sulla RAGIONE_SOCIALE anche nella fase di esecuzione dei medesimi lavori.
Inoltre, dalla condanna (passata in giudicato) per la suddetta estorsione, aggravata dal metodo mafioso, si Ł tratta la conferma della sussistenza della pericolosità qualificata, ex art. 4, lett. b) , d.lgs. n. 159 del 2011, di COGNOME, risultato certamente imputato di uno dei reati di cui all’art. 51, comma 3bis , cod. proc. pen.: l’aggravante del solo metodo mafioso (non anche dell’agevolazione mafiosa), in conformità della contestazione, non ha costituito circostanza idonea a elidere, secondo la Corte territoriale, la considerazione che la condotta di COGNOME quale imprenditore favorito dalla cosca, ha concretamente determinato il rafforzamento di quest’ultima, in relazione all’ampliamento della sua capacità di influenza e dominio nel settore economico succitato, in relazione al territorio di competenza.
D’altro canto, i giudici di secondo grado hanno rilevato che, su tale punto, era mancato un motivo di appello specifico.
Ulteriormente, la Corte di merito ha ritenuto sussistente anche la pericolosità generica, ex art. 1, lett. b) , d.lgs. cit., in relazione al delitto di estorsione, in concreto accertato come a consumazione prolungata, proprio con riferimento al tempo intercorso dal 2008 al 2012.
Sono state, ancora, considerate le condotte relative ai reati prescritti sub E1 e F2, aventi riferimento allo stesso arco temporale.
Si Ł affermata anche la capacità di produrre profitti della RAGIONE_SOCIALE in riferimento particolarmente al delitto di estorsione. L’importo dei contratti Ł, con riferimento a quello dell’8.08.2008, quantificato intorno a euro 500.000,00 e si Ł ritenuta certa la piena capacità di produrre profitti, inquinati, derivatane.
Posta al centro dell’analisi questa serie fattuale, da parte dei giudici di appello si Ł delimitata, con riferimento alle analizzate condotte, la pericolosità rilevante ai fini della misura di prevenzione all’arco temporale 2008 – 2012.
In relazione a questi fatti, la suddetta impresa a struttura societaria gestita da COGNOME Ł stata ritenuta a sicura partecipazione mafiosa a cagione della immixtio illecita al suo interno, rivelatasi di spessore tale da avere alterato l’intero suo ciclo aziendale.
In tale direzione la Corte di appello ha ritenuto conseguente la conferma della confisca del corrispondente complesso aziendale della RAGIONE_SOCIALE.
Diverso Ł stato l’approdo inerente agli acquisti immobiliari oggetto di confisca da parte del Tribunale: per essi la Corte di appello ha ritenuto, a differenza del Tribunale, mancata la prova della sperequazione fra redditi lecitamente conseguiti dal proposto nel corrispondente periodo e gli acquisti stessi.
Dalla carenza di adeguata dimostrazione del requisito della sproporzione fra entrate lecite e acquisti conseguiti Ł derivata la corrispondente riforma del provvedimento di primo grado, con revoca della confisca relativa agli immobili.
Dall’analisi comparata dei provvedimenti di primo e secondo grado si trae, quindi, il rilievo della riforma parziale del primo provvedimento nel senso della segnalata esclusione dall’oggetto della confisca degli immobili indicati in parte narrativa e ubicati in Platì e intestati a Perre, il primo per l’intera proprietà, gli altri due per la quota di 1/2 della proprietà, confiscati dal Tribunale, ma liberati dalla Corte territoriale.
La parte del secondo motivo che ha criticato, direttamente o indirettamente, il provvedimento ablativo riferendolo anche a tali cespiti si profila, dunque, incongrua, siccome non risulta coordinata con l’effettiva portata delle statuizioni emesse connotanti il decreto impugnato.
¨ conseguente l’inammissibilità di tale censura.
Puntualizzato, quindi, che la confisca Ł stata confermata con riguardo al capitale sociale della RAGIONE_SOCIALE e ai rapporti finanziari collegati alla stessa, l’analisi della prima doglianza e della parte residua della seconda doglianza pare svalutare in misura che non può essere condivisa l’accertamento che i giudici della prevenzione hanno compiuto della posizione di NOME COGNOME utilizzando anche i dati certi scaturenti dalla vicenda processuale parzialmente ancora in itinere , ma che ha visto, anzitutto, maturare il giudicato di condanna per la gravissima estorsione in quel processo rubricata sub N), aggravata dal metodo mafioso, effettualmente finalizzata all’imposizione della scelta delle imprese destinate a eseguire i lavori pubblici di natura infrastrutturale indicati nel capo di accusa, afferenti all’esecuzione dell’appalto stipulato dall’ATI, avente quale impresa capofila la RAGIONE_SOCIALE e la Provincia di Reggio Calabria, per la realizzazione della strada statale di collegamento Bovalino – Platì – Bagnara, imposizione che si era estesa anche alla fissazione dei prezzi di forniture e delle condizioni di lavoro sino all’individuazione degli stessi operai da assumere.
Secondo l’accertamento di merito, gli imprenditori coinvolti nella commissione di questo reato, compreso COGNOME con la CALMOTER, avevano illecitamente assunto il controllo di fatto del corrispondente appalto e avevano imposto il contenuto delle conseguenti forniture nonchØ l’assunzione dei propri lavoratori; Ł emersa la costante e soffocante intimidazione messa in pratica da COGNOME e dai suoi coimputati nei confronti dei rappresentanti della società legittimamente aggiudicatrice dell’appalto, condotta praticata da lui e dagli altri agenti quali esponenti delle cosche di rispettivo riferimento, con la conseguente costituzione di un vero e proprio cartello fra le loro imprese che, mediante intimidazioni e violenze, aveva acquisito il
monopolio della commessa pubblica, finendo per sottoporre ai propri voleri gli organi della DEMOTER fino a condizionarli nella scelta delle imprese con cui contrarre, nelle decisioni da compiere nell’esecuzione dei lavori, nell’individuazione – anch’essa imposta – della manodopera da assumere, nonchØ delle condizioni a cui effettuare i lavori e nelle forniture da ricevere da parte loro e nell’imposizione di prezzi oggettivamente sproporzionati.
Il carattere sistemico dell’azione connotata da intimidazione mafiosa messa in essere dall’impresa societaria RAGIONE_SOCIALE facente capo a Perre Ł stato ritenuto confermato dall’interdittiva antimafia adottata il 22.11.2011 nei suoi confronti dal Prefetto di Reggio Calabria.
Contrariamente alle prospettazioni del ricorrente, i giudici della prevenzione hanno indicato con specificità gli elementi dimostrativi, con preciso riferimento all’arco temporale ricompreso fra il 2008 – quando Perre aveva iniziato a fruire delle imposizioni relative alla fornitura di calcestruzzo dalla RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE, a cui erano seguiti la fornitura di materiali di cantiere, il nolo a caldo dei macchinari, i lavori a misura e l’assunzione di manodopera sempre a prezzi di gran lunga superiori a quelli di mercato – e il 2012, epoca in cui si era verificata l’interruzione dei lavori di cui si tratta, delle condotte delittuose di matrice estorsiva, sorrette da intimidazioni di natura mafiosa, ascritte definitivamente al proposto.
Al riguardo, si Ł considerato che quest’ultimo, nel dispiegare il metus intimidatorio, aveva potuto avvalersi degli stretti legami familiari con soggetti apicali delle corrispondenti cosche di ‘ndrangheta, sia con riguardo al suocero NOME COGNOME sia con riguardo al padre, NOME COGNOME nonchØ con riferimento a ulteriori soggetti dettagliatamente indicati nel provvedimento impugnato, essendo egli risultato, sempre nel tempo di interesse, aver frequentato soggetti gravati da pregiudizi penali, come da controlli e segnalazioni di polizia.
5.1. Non si Ł mancato di considerare che, in ordine ai reati sub E1), inerente a turbativa d’asta commessa nel 2008, e F2), da considerarsi per la sola parte inerente a fattispecie di truffa aggravata tentata, per il conseguimento di erogazioni pubbliche, riferita al periodo compreso fra il 2011 e il 2012, in sede penale era stato dichiarato non doversi procedere per l’intervenuta prescrizione dei reati, ma dopo che era stata ritenuta accertata la commissione delle condotte oggetto delle imputazioni.
Poi – e l’argomento nemmeno risulta adeguatamente contrastato nelle doglianze in esame – COGNOME, nel medesimo processo, risulta tuttora imputato di partecipazione all’associazione di ‘ndrangheta afferente alla locale di Platì, inserita nel piø vasto tessuto mafioso dell’organizzazione operante nel territorio della provincia di Reggio Calabria, costituita da molte decine di locali e governata dall’organo di vertice denominato ‘Provincia’, di cui al capo A) della medesima rubrica.
I giudici della prevenzione hanno considerato come, dopo che l’imputato era stato condannato nei gradi di merito, fosse intervenuto, per questa specifica accusa, l’annullamento con rinvio pronunciato in sede di legittimità da Sez. 5, n. 37104 del 2023.
Sulla scorta di tale dato processuale e muovendo dalle considerazioni che hanno determinato la decisione rescindente sul piano penale, i giudici del secondo grado della prevenzione hanno esaminato il quadro degli elementi emersi e persistenti – nella sola parte in cui sono stati ritenuti persistenti – a carico del proposto e hanno evidenziato che per Perre si Ł acclarata la posizione (non di partecipazione in senso stretto, bensì) di appartenenza all’associazione mafiosa di riferimento, in relazione all’attività funzionale agli interessi dell’organizzazione criminale da lui messa in essere, in interconnessione con le utilità che ne aveva tratte: posizione da cui hanno ritenuto essere promanata, nell’arco temporale succitato, una specifica pericolosità sociale del soggetto.
In questa direzione, Ł stata dettagliata la posizione di COGNOME – rilevante per il procedimento di prevenzione – quale imprenditore colluso con la ‘ndrangheta, in situazione corrispondente a quella del concorrente esterno in associazione mafiosa, avendo egli fornito un contributo concreto, specifico e volontario all’attività della consorteria di Platì, tale da conservare e rafforzare le capacità operative del sodalizio, in prospettiva funzionale ai relativi interessi, ricavandone vantaggi in modo speculare, essendogli stato consentito, per il suddetto rapporto, di imporsi sul territorio in posizione dominante nelle attività economiche da lui esercitate, mentre l’organizzazione ne aveva tratto, a sua volta, risorse, servizi e utilità.
Le vicende analizzate dai giudici della prevenzione sono state già citate in precedenza, con particolare riferimento all’attività esecutiva dell’appalto della Comunità Montana dell’Aspromonte orientale, inerente ai lavori di ripristino e sistemazione della rede idrica della frazione di Natile S., aggiudicati alla RAGIONE_SOCIALE in addotta violazione degli accordi fra esponenti delle cosche, con i susseguenti contrasti, le dure rimostranze e la disponibilità di COGNOME a pagare ‘qualcosa’ per ‘mettersi a posto’ e con il conclusivo appianamento della vicenda in virtø dell’intervento del suocero NOME COGNOME che aveva trovato con il boss NOME COGNOME il modo di sanare il contrasto, determinando l’attrazione di NOME COGNOME nelle dinamiche e nelle condivise finalità della consorteria.
Anche la vicenda dello sfruttamento estorsivo praticato da COGNOME, tramite la COGNOME, ai danni della COGNOME, reso chiaro anche dalla testimonianza di COGNOME e confermato dal tessuto captativo specificamente valutato, sfruttamento attuato mediante le condotte già richiamate, Ł stata considerata dalla Corte territoriale dimostrativa, indipendentemente dall’avvenuta applicazione della sola aggravante mafiosa sotto il profilo del metodo, del ruolo di COGNOME quale imprenditore favorito nella spartizione dei vantaggi economici in attività a cui il sodalizio sovraintendeva derivandone, a sua volta, il concreto rafforzamento della sua capacità di influenza e dominio nel corrispondente settore economico, come articolato nel territorio di competenza.
Si tratta di valutazioni che la Corte di appello ha compiute analizzando – non suggestioni aleatorie, ma – specifici elementi di fatto, aventi peraltro portata antigiuridica già definita per quanto concerne sia la fattispecie estorsiva, sia le altre due fattispecie per la quali alla declaratoria di prescrizione dei reati si Ł affiancato l’accertamento della corrispondente sussistenza fattuale.
5.2. Non Ł, per il resto, censurabile la valutazione operata dai giudici di appello del procedimento di prevenzione della complessiva condotta ascritta a Perre, sempre avendo riferimento al lasso temporale di interesse, quale persistente imputato del reato sub A) nella richiamata rubrica, inquadrato come imprenditore colluso con la ‘ndrangheta di Platì, sino a qualificarlo come concorrente esterno nell’associazione.
Nel provvedimento impugnato, invero, si Ł preso atto dello stadio in cui si trova il processo nel quale Ł stata elevata questa imputazione e la, pur (in certo ambito) autonoma valutazione degli elementi acquisiti nella prospettiva del procedimento di prevenzione, Ł stata depurata degli elementi risultati devitalizzati dal corrispondente sviluppo processuale.
Contrariamente alla prospettazione del ricorrente, le indicazioni fornite, in ordine alla posizione di COGNOME dalla sentenza di legittimità, rescindente quanto al reato associativo, non contrastano con le conclusioni raggiunte dalla Corte di appello nel decreto in esame.
I giudici della prevenzione hanno evidenziato, proprio in esito alle considerazioni svolte in sede di legittimità, che il metodo spartitorio di cui COGNOME era risultato parte essenzialmente come outsider , pur non avendo partecipato agli accordi per pilotare l’appalto relativo alla località di Natile, ma ottenendone l’aggiudicazione grazie a sue intese, ma
suscitando il risentimento degli aderenti alla locale, fra cui lo stesso COGNOME, per poi accordarsi con tale contesto – aveva determinato il proposto ad assumere una condotta di interlocuzione con la cosca, come tale non deponente in maniera univoca per la sua intraneità al gruppo con il quale, in tal modo, aveva dovuto venire a patti, sicchØ per lui si Ł ritenuto attagliarsi in modo adeguato la figura dell’imprenditore colluso, il quale senza essere inserito nella struttura organizzativa del sodalizio, aveva instaurato con il clan il rapporto di reciproci vantaggi suindicato.
La Corte di appello, quindi, rispetto alla posizione di COGNOME che resta imputato del reato di partecipazione ad associazione mafiosa, sia pure dopo la pronuncia di annullamento già citata, che ha prospettato l’esigenza di verificare per lui la posizione di concorrente esterno, ha compiuto valutazioni fondate sui dati concreti specificamente citati, ha reso una motivazione effettiva per configurare il ruolo del ricorrente quale imprenditore colluso con la corrispondente consorteria di ‘ndrangheta nel periodo di interesse e ha raggiunto conclusioni argomentate in merito alla sua concreta appartenenza, distinta dalla partecipazione, al contesto mafioso sempre nel tempo suindicato.
5.3. Nella delibazione degli elementi di prova, i giudici della prevenzione non hanno valorizzato dati che si fossero risolti in meri sospetti o indicazioni di fatti non concludenti, bensì hanno considerato fatti certi e di spessore non irrilevante.
Sul tema, pertanto, essi non si sono discostati dal principio di diritto, che qui si riafferma, secondo il quale il giudice della prevenzione può ritenere la riconducibilità del proposto a una delle categorie di pericolosità di cui agli artt. 1 e 4 d.lgs. n. 159 del 2011 anche indipendentemente dall’esistenza di sentenze di condanna che abbiano accertato la pregressa commissione di reati, a condizione che la valutazione incidentale a tal fine compiuta non sia smentita da esiti assolutori di eventuali procedimenti penali che siano pervenuti a negare la sussistenza del fatto che assume rilevanza ai fini del giudizio prognostico, fatta eccezione per il caso in cui tali esiti siano dipesi dal riconoscimento di cause estintive. Con riferimento a tale analisi, comunque, resta fermo che detto giudice non può basare il suo accertamento su meri sospetti, ma Ł tenuto a prendere in considerazione fatti storicamente apprezzabili, l’efficacia dimostrativa dei quali deve essere piø elevata in relazione alla pericolosità generica, con l’effetto che quando si tratti della riconduzione del proposto a una delle categorie esponenziali della suddetta pericolosità non può essere fondata su semplici informazioni contenute nelle banche dati in uso alle forze di polizia, ma si deve tener conto degli aggiornamenti inerenti ai relativi sviluppi procedimentali (v. su questi argomenti Sez. 1, n. 36080 del 11/09/2020, COGNOME, Rv. 280207 – 01; Sez. 5, n. 48090 del 08/10/2019, COGNOME, Rv. 277908 – 01).
Non si verte, con riferimento alla fattispecie di pericolosità generica di cui all’art. 1, lett. b) , d.lgs. n. 159 del 2021, al caso in cui si sia registrata in sede penale l’assoluzione piena del proposto, dal momento che, al contrario, Ł stata, nel processo a cui si sono riferiti i giudici della prevenzione, accertata definitivamente la penale responsabilità di COGNOME per l’estorsione, a consumazione prolungata, di cui al capo N) e si Ł dichiarata la prescrizione per i reati, pure accertati, di cui al capo E1) e, in parte, F2), sicchØ la motivazione appare adeguata nel ritenere assodati gli specifici agganci legittimanti l’affermazione della sussistenza della pericolosità generica di Perre in riferimento all’intervallo dal 2008 al 2012.
Ciò posto, resta fermo il punto in virtø del quale il giudice, attesa l’autonomia tra procedimento penale e procedimento di prevenzione, può valutare autonomamente i fatti accertati in sede penale, al fine di giungere a un’affermazione di pericolosità generica del proposto, in caso di intervenuta declaratoria di estinzione del reato per prescrizione
(concordano sul punto anche orientamenti non consonanti in ordine alla rilevanza nella sede della prevenzione delle sentenze assolutorie, sia pure ai sensi dell’art. 530, comma 2, cod. proc. pen.: v., da un lato, Sez. 2, n. 15704 del 25/01/2023, COGNOME, Rv. 284488 – 01; Sez. 2, n. 4191 del 11/01/2022, COGNOME, Rv. 282655 – 01, con la precisazione che, anche alla luce della giurisprudenza costituzionale, l’esigenza di un elevato standard di legalità impegna l’interprete a dare conto, non tanto delle modalità di accertamento, ma anche e soprattutto dell’oggetto della verifica di pericolosità generica, che deve appuntarsi sull’esistenza di elementi di fatto individuabili con adeguata precisione e puntualità; dall’altro, Sez. 5, n. 182 del 30/11/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280145 – 01; Sez. 1, n. 31209 del 24/03/2015, COGNOME, Rv. 264319 – 01).
5.4. Per quanto concerne la concorrente valutazione dell’evenienza della pericolosità qualificata, poi, occorre segnalare che la Corte territoriale ha sottolineato la mancanza di uno specifico motivo di appello in merito alle conseguenze determinate, ai fini dell’inquadramento di Perre fra i soggetti pericolosi ex art. 4, comma 1, lett. b) , cit., a seguito della condanna per il richiamato delitto estorsivo, ricompreso nella sfera descritta dall’art. 51, comma 3bis , cod. proc. pen.
In ogni caso, va per ogni completezza puntualizzato quanto segue.
Si considera e ribadisce il corretto principio di diritto in base al quale la sentenza definitiva di assoluzione, non dipendente da cause estintive, per una delle ipotesi di reato richiamate dall’art. 4, comma 1, lett. b) , d.lgs. n. 159 del 2011, determina l’impossibilità di assumere, ai fini dell’applicazione della misura, il medesimo fatto di reato quale sintomo di pericolosità qualificata del proposto, salvo che il giudicato penale di merito favorevole al proposto sia intrinsecamente tale da non poter escludere in toto l’esistenza dei presupposti della confisca, perchØ ricade su uno degli episodi storici posti a base dell’inquadramento soggettivo, ma ne esistono altri che consentono di realizzare la base cognitiva necessaria, oppure perchØ risulta superato da acquisizioni posteriori che impongono una piø articolata rivalutazione dei fatti oggetto di esame (v. l’analisi espressa da Sez. 1, n. 4489 del 26/10/2022, dep. 2023, Candurro, Rv. 284166 – 01). In prospettiva generale, si profila equilibrato e conforme al sistema osservare che l’inquadramento del proposto in uno dei profili di pericolosità soggettiva può essere fondato anche sulla autonoma valutazione di fatti oggetto di procedimenti penali non definiti con sentenza di condanna, purchØ, in tal caso, l’accertamento della sussistenza dei presupposti della misura sia svolto con tanto piø rigore quanto piø l’esito del procedimento penale sia stato favorevole al proposto (Sez. 6, n. 13269 del 01/07/2024, dep. 2025, COGNOME, Rv. 287931 – 01).
A tale prospettiva il provvedimento esaminato si Ł attenuto anche con riguardo alla valutazione di pericolosità qualificata, atteso che COGNOME, oltre che definitivamente condannato per il delitto di estorsione, per il resto, lungi dall’essere stato assolto dall’accusa di partecipazione all’associazione mafiosa, Ł ancora imputato al riguardo in sede di rinvio: e i giudici della prevenzione, analizzando in modo specifico i fatti ritenuti accertati, ne hanno valutato la condotta come quella del concorrente esterno, da imprenditore colluso con la consorteria di riferimento, alla stregua del soggetto del non partecipe, ma mero appartenente al suddetto contesto mafioso, sempre per il medesimo arco temporale.
La distinzione, ai fini dell’applicazione delle misure di prevenzione, del concetto di appartenente all’associazione mafiosa diverso da quello di soggetto partecipe della stessa rinviene solida radice nell’elaborazione della materia, essendo stato chiarito specificamente che il concetto di appartenenza all’associazione mafiosa, rilevante per l’applicazione delle misure di prevenzione, comprende la condotta che, sebbene non riconducibile alla
partecipazione in senso proprio, si sostanzia in un’azione, anche isolata, funzionale agli scopi associativi, con esclusione delle situazioni di mera contiguità o di vicinanza al gruppo criminale (Sez. U, n. 111 del 30/11/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 271512 – 01), al riguardo rilevando anche le condotte che, pur non connotate da un vincolo stabile, si sostanzino in azioni funzionali a circoscritte esigenze associative (Sez. 6, Sentenza n. 49750 del 04/07/2019, COGNOME, Rv. 277438 – 03), essendo dunque rilevante a tal fine che il comportamento del proposto sia apprezzabile in termini tali da risultare, attraverso un contributo fattivo alle attività e allo sviluppo del sodalizio, funzionale agli interessi della consorteria (Sez. 2, n. 27855 del 22/03/2019, Valenza, Rv. 277402 – 01).
Invero, dal combinato esame dei provvedimenti ablativi di primo e secondo grado, emerge la corrispondente analisi effettuata, non in base al solo modello teorico evocato, come ha nella sostanza dedotto il ricorrente, ma alla stregua delle condotte a lui motivatamente ascritte: e, mediante tale analisi, in virtø delle congrue – e certo non apparenti – argomentazioni richiamate, si Ł concluso per l’accertata sussistenza dell’innesto funzionale all’attività dell’associazione mafiosa suindicata della condotta di matrice imprenditoriale integrata dal proposto, in una consistente relazione produttiva di utilità e vantaggi reciproci per Perre e per l’organizzazione.
Non può ritenersi fondata l’obiezione mossa dalla difesa circa il fatto che il vantaggio per la consorteria non sarebbe stato espresso e dimostrato, avendo invece i giudici della prevenzione esplicato con chiarezza la maggiore forza pervasiva sul territorio di riferimento che la locale di ‘ndrangheta aveva tratto, così irrobustendo la capacità diffusiva della sua organizzazione, dal rapporto continuativo avuto, nell’arco dal 2008 al 2012 con COGNOME per la sua attività di impresa, come dispiegata attraverso la COGNOME, caratterizzata dal costante impiego del metodo intimidatorio.
Il complesso delle censure svolte dal ricorrente con il primo motivo si rivela, pertanto, privo di giuridico fondamento.
Quanto alla restante parte del secondo motivo, si osserva anzitutto che i giudici della prevenzione hanno svolto considerazioni specifiche per quantificare le capacità produttive della RAGIONE_SOCIALE, società in accomandita semplice attraverso la quale COGNOME, nel periodo di accertata pericolosità, attraverso la gestione dei contratti di fornitura aggiudicatisi, ha ricavato profitti illeciti ingenti anzitutto mediante la ripetuta imposizione alla RAGIONE_SOCIALE delle forniture, dei prezzi sproporzionati, della manodopera, nei sensi già chiariti, oltre che nella gestione degli effetti economici della turbativa d’asta di cui al capo E1).
6.1. Il carattere sistemico dei profitti illeciti conseguito dalla RAGIONE_SOCIALE nel periodo dal 2008 al 2012 ha determinato la qualificazione della relativa impresa come centro di interessi economico, pur inizialmente costituito con capitali leciti, ma poi completamente inquinato da ricavi illeciti, ottenuti con l’intimidazione mafiosa, che, in modo continuativo, ne hanno contaminato, alterandolo definitivamente, l’intero ciclo aziendale.
La conseguente confiscabilità dell’intero capitale sociale della corrispondente entità societaria Ł risultata, quindi, l’esito coerente dell’adesione dei giudici della prevenzione all’insegnamento secondo cui, ai fini della determinazione delle attività imprenditoriali confiscabili, occorre distinguere l’impresa mafiosa originaria, imperniata sulla figura dominante del fondatore, soggetto intraneo all’organizzazione, che la gestisce direttamente con metodo mafioso, e quella di proprietà del mafioso, diretta da un mafioso con identico metodo sia pure attraverso un formale prestanome, attività entrambe per le quali Ł irrilevante l’eventuale origine formalmente lecita dei beni aziendali perchØ esse praticano forme piø o meno intense di intimidazione verso la concorrenza e devono la produzione del reddito a
vantaggi di tipo illecito, da quella a partecipazione mafiosa, nella quale il titolare non Ł un mero prestanome ma rappresenta anche i propri interessi e per la cui confisca Ł necessario accertare se – e da quale momento – il ciclo aziendale sia stato inquinato dai metodi mafiosi, ovvero se, senza alterazione dello stesso, si sia realizzata solo un’immissione di capitali illeciti (Sez. 5, n. 10983 del 27/09/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278884 – 01; Sez. 5, n. 32688 del 31/01/2018, COGNOME, Rv. 275225 – 01).
In questa linea esegetica, si precisa che, laddove un’attività imprenditoriale si sia sviluppata ed espansa con l’ausilio e sotto la protezione di un’associazione mafiosa, ne risulta contaminato tutto il capitale sociale e l’intero patrimonio aziendale, divenendo essi stessi parti dell’impresa a partecipazione mafiosa: entità economiche che, come tali, sono soggette a confisca, a nulla rilevando l’iniziale carattere lecito delle quote versate dai diversi soci (Sez. 6, n. 7072 del 14/07/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 283462 – 01).
6.2. La COGNOME, secondo l’argomentato discorso giustificativo richiamato, dal 2008 e fino al 2012, ha registrato il totale inquinamento del ciclo aziendale che ha visto alimentare in modo continuativo e determinante il capitale circolante e le risorse della società dagli introiti illeciti derivati direttamente dalla strategia intimidatoria, sviluppata da NOME COGNOME in virtø dell’accertata condotta di imprenditore colluso con la ‘ndrangheta locale, messa in essere utilizzando l’ausilio e la protezione della stessa.
L’intera entità societaria, pertanto, Ł stata dai giudici della prevenzione qualificata, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 24 d.lgs. n. 159 del 2011, all’esito del precisato periodo di pericolosità, aver costituito un bene direttamente definibile come frutto e reimpiego di attività illecita.
Data l’acclarata, decisiva e piena contaminazione dell’impresa societaria con l’economia di derivazione mafiosa nel periodo di interesse e ribadito che la RAGIONE_SOCIALE e i rapporti finanziari connessi hanno costituito la parte residuata all’esito del decreto di appello dell’ablazione che aveva caratterizzato l’ambito della misura di prevenzione patrimoniale applicata dai giudici di primo grado, con riferimento a questa residua confisca, appaiono irrilevanti le deduzioni – già articolate dai consulenti di parte e reiterate dalla difesa nella doglianza in esame – inerenti alla lecita costituzione da parte del proposto e della consorte di altrettante imprese individuali fin dal 1987 (una nel campo dell’edilizia, un’altra nel campo dell’agricoltura), con la conseguente evenienza di mezzi patrimoniali, alle discordanze e agli errori riguardanti date e soggetti, alla sottostima delle legittime fonti di entrata del proposto e alla sovrastima dell’ammontare delle spese familiari.
Invero, tali temi – come emerge con nettezza dall’esame dell’ultima parte del provvedimento in verifica (alle pagine da 40 a 43) – sono stati affrontati, analizzati e, per l’ulteriore parte di cespiti sottoposta a confisca dal decreto emesso in primo grado, delibati in senso favorevole alla posizione di COGNOME, con conseguente elisione della misura di prevenzione patrimoniale.
Si trattava di beni con riferimento ai quali il Tribunale aveva considerato che erano stati acquisitati nel periodo di manifestazione della pericolosità di Perre e aveva stimati di valore non proporzionato alla capacità reddituale lecita del soggetto: la Corte di appello, nel decreto in esame, non ha concordato con il primo giudice: in tal senso, ha riesaminato gli indicatori reputati rilevanti con rigoroso riguardo al periodo di pericolosità accertata 2008 – 2012, ha accolto alcune delle obiezioni computative ed estimative sollevate dalla difesa e ha concluso per l’insussistenza della sperequazione, nel periodo di interesse, fra entrate lecite conseguite dal nucleo del proposto, al netto delle spese di mantenimento, e acquisti da lui effettuati.
Questo approdo liberatorio per la posizione del proposto Ł stato, in modo chiaro, raggiunto al netto della – invece accertata – provenienza illecita dell’intero patrimonio aziendale e del corrispondente capitale sociale della RAGIONE_SOCIALE, giacchØ per le spiegate ragioni l’origine lecita dei fondi impiegati per la sottoscrizione del suddetto capitale Ł risultata pregiudicata dal complessivo inquinamento dell’intero complesso societario derivato dall’attività stabilmente praticata, fra il 2008 e il 2012, da Perre mediante quello strumento societario avvalendosi dell’intimidazione mafiosa.
Anche i giudici di secondo grado, dunque, hanno dato per assodato il carattere globalmente illecito assunto da tale società, la cui completa denominazione Ł RAGIONE_SOCIALE Sas di COGNOME NOME, corrente in Bovalino, contrada Tarzia, anche se essa era stata costituita il 26.01.2000 (ossia, diversi anni prima dell’inizio del periodo di manifestazione della pericolosità del proposto), con NOME COGNOME socio accomandatario, titolare della quota del 50% del capitale sociale ,e con sua figlia NOME COGNOME socia accomandante, titolare dell’altra quota del 50% del capitale sociale.
Essi, per tale parte recependo e integrando il provvedimento del Tribunale, hanno considerato la svolta illecita, in virtø del collegamento, con biunivoco interesse, della relativa entità e della consorteria di ‘ndrangheta, che, dal 2008 in poi, COGNOME aveva impresso all’attività della società determinando la costante utilizzazione del suo apparato organizzativo per partecipare alle dinamiche di assegnazione fraudolenta delle gare, conseguire l’aggiudicazione di lavori di rilevante importo e l’acquisizione di importanti forniture, per poi praticare l’imposizione, mediante le intimidazioni di matrice mafiosa, di prezzi e condizioni fuori proporzione a proprio profitto, con la rilevata, completa diversione illecita del corrispondente ciclo aziendale e l’accertata contaminazione, all’esito del periodo considerato, estesa al patrimonio e all’intero capitale sociale.
Pertanto, in riferimento alla natura di frutto e reimpiego di attività illecita del complessivo bene costituito da quell’aggregato societario, come risultato composto all’esito del periodo 2008 – 2012, non si profilano affatto congruenti le deduzioni difensive volte, in qualche misura, a considerarne l’entità come ricompresa nella valutazione di sussistente proporzionalità formulata dalla Corte di appello con riguardo al restante novero delle acquisizioni patrimoniali conseguite da Perre nell’arco temporale rilevante.
6.3. Per il resto, le contestazioni riproposte dal ricorrente, sulla scorta delle considerazioni dei propri consulenti, circa la modestia dell’investimento alla base della costituzione della società, risalente al 2000, e circa la prospettata continuità di attività economica fra quel soggetto collettivo e la RAGIONE_SOCIALE di Rocco RAGIONE_SOCIALE, risultano contrastate dalle congrue e, in ogni caso, effettive argomentazioni dei giudici della prevenzione inerenti all’avvenuta attrazione nell’orbita illecita, sotto l’influenza mafiosa, della COGNOME, dal 2008 in poi, con la specificazione che gli stessi giudici della prevenzione, già con il decreto di primo grado, avevano escluso dall’ambito della misura patrimoniale in discorso la quota del 55% della suddetta COGNOME Domenico COGNOME, pur se essa era ascritta a Perre, avendo ritenuto – per essa – assente la ragionevole correlazione temporale, trattandosi di un investimento risalente al 1991.
Ciò, d’altronde, ha confermato la diversità sostanziale, oltre che dell’autonomia, dell’uno e dell’altro soggetto collettivo.
In tale prospettiva, Ł restata apodittica la deduzione dell’avvenuto sfruttamento da parte della CALMOTER dell’avviamento creato dalla De Domenico Sas: al contrario, il meccanismo produttivo di profitto illecito innescato da COGNOME, nel periodo di accertata pericolosità, ha rinvenuto, secondo le univoche indicazioni fornite dai giudici della
prevenzione, la sua determinante genesi nell’accertata attività economica praticata mediante le suindicate imposizioni, a loro volta generate dall’impiego continuativo dell’intimidazione mafiosa.
Pertanto, questo argomento e gli altri allo stesso associati dal ricorrente si infrangono sulla motivazione – congrua sugli snodi decisivi, sicuramente effettiva e non apparente offerta dalla Corte di appello a sostegno della confisca di prevenzione di cui si tratta, nella parte in cui essa Ł stata confermata.
Conclusivamente, il ricorso va rigettato.
Consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così Ł deciso, 12/06/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME