Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 18442 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 18442 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 05/04/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti nell’interesse di COGNOME NOME (IN PROPRIO) nato a PALERMO il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a PALERMO il DATA_NASCITA COGNOME NOME (IN PROPRIO) nato a PALERMO il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a PALERMO il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a PALERMO il DATA_NASCITA
avverso il decreto del 23/10/2023 della CORTE APPELLO di PALERMO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le richieste del PG NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile;
lette le note di trattazione scritta dell’AVV_NOTAIO, per i ricorrenti, che ha concluso chiedendo l’accoglimento dei motivi di ricorso e l’annullamento del provvedimento impugnato.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Palermo, con il decreto impugnato, ha integralmente confermato il decreto del Tribunale di Palermo in data 18 giugno 2021, che aveva
disposto la confisca a titolo di misura di prevenzione patrimoniale dei beni ivi meglio specificati, proposta nei confronti di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Ricorrono per cassazione NOME COGNOME, NOME COGNOME (anche nella qualità di rappresentante legale e socio di RAGIONE_SOCIALE) e NOME COGNOME (anche nella qualità di rappresentante legale e socio di RAGIONE_SOCIALE), con un unico atto a mezzo dei comuni difensori, articolando sei motivi di impugnazione, che qui si riassumono nei termini di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, si richiede l’acquisizione del dispositivo della sentenza emessa in data 5 novembre 2023 dalla Corte di appello di Palermo nei confronti, tra l’altro, di NOME COGNOME e NOME COGNOME, assolti dal reato concorso esterno in associazione mafiosa, all’esito di giudizio abbreviato, nell’ambito del medesimo originario procedimento penale in cui erano stati imputati anche gli odierni proposti.
2.2. Con il secondo motivo, si deduce la violazione dell’art. 5, d.lgs. n. 159 del 2011, in relazione alla ribadita affermazione della competenza del Tribunale di Trapani, in luogo di quello di Palermo, nel cui circondario i proposti hanno sempre conservato il centro della loro vita sociale, lavorativa e affettiva; oltretutto, è st altresì trascurata l’ulteriore circostanza della valutazione di mancanza di attuale pericolosità di NOME COGNOME, con quanto ne consegue in relazione al collocamento geografico della condotta di maggiore pericolosità.
2.3. Con il terzo motivo, si eccepisce la violazione degli artt. 4, 20 e 24, d.lgs. 159 del 2011 e dell’art. 530 cod. proc. pen., in relazione alla mancata considerazione dell’avvenuta pronuncia di non doversi procedere nei confronti dei tre odierni proposti per il contestato delitto di trasferimento fraudolento di valori nonché delle conseguenti ordinanze di dissequestro del compendio aziendale, disposto in sede penale e poi oggetto anche della proposta di misure di
2.4. Con il quarto motivo, la difesa si duole della violazione dell’art. 24, d.lgs n. 159 del 2011, in relazione alla ritenuta sussistenza dei requisiti normativi per procedere a confisca di prevenzione. I ricorrenti sottolineano, in particolare, l’indubitabile origine lecita della provvista investita nell’impresa agricola, mancata autonoma valutazione circa la pericolosità di NOME COGNOME (appiattita sulle motivazioni dei giudici penali), le plurime emergenze processuali e decisioni giudiziarie che disarticolerebbero la tenuta logica dell’apparato argomentativo del decreto impugnato.
2.5. Con il quinto motivo, si eccepisce l’inesistenza o la mera apparenza della motivazione, nonché il travisamento della prova in relazione a plurime emergenze processuali e decisioni giudiziarie.
2.6. Con il sesto motivo, la difesa lamenta la mancata restituzione pro quota, invocata in via subordinata, quantomeno delle somme di denaro investite da NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Si è proceduto con trattazione scritta, ai sensi dell’art. 611 cod. proc. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili, perché proposti con motivi manifestamente infondati, generici e non consentiti.
1. Il primo motivo di ricorso, finalizzato ad ottenere l’acquisizione e la valutazione della sentenza della Corte d’Appello di Palermo in data 5 dicembre 2023, non è consentito in questa sede di legittimità. In primo luogo, la struttura e la funzione del giudizio di cassazione – diretto unicamente a verificare la sussistenza nel provvedimento impugnato degli errores in procedendo o in iudicando dedotti dalle parti, nei limiti dettati tassativamente dall’art. 606, comma 1, cod. proc. pen. – impediscono di prendere in considerazione elementi istruttori non presenti nel fascicolo al momento della decisione censurata con il ricorso (la sentenza della Corte palermitana è addirittura successiva al decreto impugnato). Non è dunque ritualmente valutabile l’ulteriore documentazione indicata dai ricorrenti e ogni altra documentazione non conosciuta dal Tribunale del riesame (Sez. 2, n. 2347 del 21/12/2023, dep. 2024, Tulliani, n.m.; cfr. anche Sez. 3, n. 5722 del 07/01/2016, COGNOME, Rv. 266390, che esclude l’ammissibilità di produzioni probatorie che comportino un’attività di apprezzamento circa la loro validità formale e la loro efficacia nel contesto delle prove già raccolte e valutate dai giudici di merito). Peraltro, in base al dispositiv di tale sentenza, risulterebbe comunque intatta la posizione di NOME COGNOME, condannato in primo grado e in appello per concorso esterno in associazione mafiosa ed estorsione. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Ogni circostanza sopravvenuta, d’altronde, potrà essere ritualmente posta a fondamento, ricorrendone i presupposti, di una richiesta di revocazione della confisca, ai sensi dell’art. 28, d.lgs. n. 159 del 2011.
Il secondo motivo con il quale è stata dedotta l’incompetenza territoriale del Tribunale di Trapani, essendo competente quello di Palermo in quanto i proposti risulterebbero dimoranti in San Giuseppe Jato, è manifestamente infondato
Nel procedimento di prevenzione la competenza territoriale si radica, in stretta correlazione con il criterio dell’attualità della pericolosità sociale, nel luogo in al momento della decisione, la pericolosità si manifesti e, nel caso in cui tali manifestazioni siano plurime e si verifichino in luoghi diversi, là dove le condotte di tipo qualificato appaiano di maggiore spessore e rilevanza (Sez. U, n. 33451 del
29/05/2014, COGNOME, Rv. 260245; Sez. 2, n. 22512 del 24/04/2019, COGNOME, Rv. 276424). Parimenti, qualora la valutazione di pericolosità si fondi su indizi di appartenenza, o di contiguità penalmente rilevante nelle forme del concorso esterno, ad un sodalizio criminale mafioso, si prescinde dalle risultanze anagrafiche del proposto, dovendosi avere riguardo al luogo dove si trova il centro organizzativo e decisionale del sodalizio medesimo, anche a prescindere dai luoghi di commissione dei reati fine (Sez. 5, n. 1996 del 04/11/2020, dep. 2021, Rv. 280328; Sez. 1, n. 23407 del 24/03/2015, Lin, Rv. 263964; Sez. 1, Sentenza n. 51076 del 04/04/2014, Rustico, Rv. 261601).
Ciò premesso, risulta incensurabile la motivazione resa dalla Corte palermitana in merito alla localizzazione delle manifestazioni di pericolosità, intrinsecamente logica e coerente, nell’area di operatività della famiglia mafiosa di Trapani, insistendo peraltro nel Trapanese, oltre al “centro decisionale” del sodalizio, anche i terreni del fondo di INDIRIZZO Pionica, risorsa fondamentale della RAGIONE_SOCIALE.
Il terzo ed il sesto motivo possono essere trattati congiuntamente in quanto attengono alla posizione degli intervenuti NOME COGNOME e NOME COGNOME.
La tesi difensiva dei ricorrenti può essere così riassunta:
essi non potrebbero essere ritenuti intestatari fittizi della società confiscata in quanto sono stati assolti dal reato di cui all’art. 512-bis cod. pen. (lor contestato in relazione al bene oggetto di confisca nel presente procedimento);
in ogni caso, non emergerebbe alcuna prova che il proposto NOME COGNOME fosse l’unico e reale dominus della società, dato che NOME vantava una pluriennale esperienza in campo vitivinicolo e si occupava personalmente della cura delle terre, mentre NOME COGNOME gestiva la vineria di San Giuseppe Jato che poneva in vendita i loro prodotti occupandosi anche del marketing dell’azienda (che sarebbe cresciuta secondo le normali logiche imprenditoriali, senza interferenze esterne); la corte avrebbe omesso di valutare tali dati, ignorando incongruamente la buona fede dei due soci.
Questi motivi sono manifestamenti infondati.
L’ipotesi accusatoria – fatta propria da entrambi i giudici di merito – è che i due ricorrenti siano meri intestatari fittizi della società confiscata, in quanto il ve dominus, che ne aveva la disponibilità (secondo la pacifica nozione offerta dalla giurisprudenza di legittimità) era il proposto. In questa ottica, l’invocata sentenza di assoluzione dal reato di cui all’art 512-bis cod. pen. (avente ad oggetto proprio il bene in confisca) è irrilevante perché, come ha osservato la Corte di Appello l’assoluzione è stata pronunciata non perché non fosse stata accertata l’interposizione fittizia, ma perché non era stato provato che l’interposizione fosse stata effettuata per eludere una misura di prevenzione (p. 35). NOME COGNOME,
d’altronde, come accennato, è stato condannato in primo e in secondo grado per il delitto di cui agli artt. 110 e 416-bis cod. pen. (la cui contestazione si incent proprio sulla messa a disposizione della locale cellula di RAGIONE_SOCIALE delle risorse aziendali della RAGIONE_SOCIALE).
Il proscioglimento dall’imputazione di trasferimento fraudolento dei valori non è tale da incidere sulla confiscabilità dei cespiti assoggettati al vincolo ablatorio i quanto riconducibili a un’impresa “a partecipazione mafiosa”: in quest’ultima, il titolare non è un mero prestanome degli associati, ma rappresenta anche i propri interessi, di modo che per la confisca occorre accertare se il ciclo aziendale sia stato inquinato dai metodi mafiosi (Sez. 5, n. 10983 del 27/09/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278884). Nel caso di specie, la doppia conforme motivazione dei giudici di merito attesta che l’impresa costituita in forma societaria, sin dall’inizi era stata condotta con mezzi illeciti e aveva stabilmente operato avvalendosi della forza di intimidazione dell’associazione criminale e, comunque, in cointeressenza con essa, pienamente inserita in un contrato economico manipolato e deviato dalle profonde infiltrazioni mafiose, da cui aveva tratto enormi vantaggi imprenditoriali e finanziari.
Quanto all’interposizione, la Corte di Appello ha confermato la decisione del Tribunale fondata su precisi dati fattuali, rispetto ai quali i ricorrenti non solo no si confrontano adeguatamente, ma si limitano ad eccepire dati fattuali recessivi rispetto a quelli evidenziati dai giudici di merito in quanto quell’attività da es enfatizzata non esclude l’accertata disponibilità totale del bene in capo al solo proposto. Si ribadisce poi, in punto di diritto, che, laddove, come nel caso di specie, un’attività imprenditoriale si sia sviluppata ed espansa con l’ausilio e sotto la protezione di un’associazione mafiosa, ne risulta contaminato tutto il capitale sociale e l’intero patrimonio aziendale, divenendo essi stessi parti dell’impresa “a partecipazione mafiosa” che, come tali, sono soggette a confisca, a nulla rilevando l’eventuale iniziale carattere lecito delle quote versate dai diversi soci (Sez. 6, n. 7072 del 14/07/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 283462, secondo cui non può scindersi, a fini ablatori, la quota ideale riconducibile all’utilizzo di risorse ille essendo normalmente impossibile distinguerla da quella riferibile alla capacità e all’iniziativa imprenditoriale legittima. Cfr. anche Sez. 6, n. 26755 del 17/06/2021, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 281690, e Sez. 5, n. 32017 del 08/03/2019, Roma, Rv. 277099).
È appena, poi, il caso di rilevare che i ricorrenti si addentrano in censure di merito non consentite in questa sede, in quanto la motivazione addotta sul punto da entrambi i giudici di merito non può essere ritenuta né omessa né apparente. Nel procedimento di prevenzione, ai sensi degli artt. 10, comma 3, e 27, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011, il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per
violazione di legge, di modo che può denunciarsi esclusivamente il caso di motivazione inesistente o meramente apparente. Restano dunque escluse dal novero dei motivi consentiti in sede di legittimità quelle doglianze proposte – come nel caso di specie – sotto l’abito della carenza di motivazione o della violazione di legge, ma che si fondino invece semplicemente sulla deduzione di sottovalutazione di argomenti difensivi, viceversa presi in considerazione dal giudice o comunque assorbiti dalle argomentazioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246; Sez. 2, n. 20968 del 06/07/2020, COGNOME, Rv. 279435).
4. Il quarto e il quinto motivo di impugnazione, a fronte della apparente ampiezza di argomenti, risultano articolati su motivi generici e, comunque, mirati anch’essi a un’impossibile rivalutazione del merito delle singole questioni affrontate.
La Corte palermitana ha ampiamente ricostruito – in maniera coerente con le emergenze procedimentali (in particolare, attesa l’autonomia del procedimento di prevenzione, con le due sentenze di condanna per concorso esterno in associazione mafiosa e il relativo compendio probatorio), la natura di “impresa mafiosa” della società oggetto di confisca, a prescindere dalla acclarata lecita provenienza dei liquidi donati da NOME COGNOME al figlio NOME e al nipote NOME COGNOME (con particolare riguardo, nella fase iniziale, all’articolata succession negoziale diretta a garantire la disponibilità dei terreni e all’intervento muscolare della cosca perché la precedente titolare rinunciasse alla pratica di estirpazione e reimpianto dei vigneti, con conseguente possibilità per NOME di ottenere consistenti contributi agricoli, e, nel prosieguo, con regolare versamento di corrispettivi agli esponenti del sodalizio e al permanente controllo sulle attività d impresa da parte di questi ultimi). COGNOME NOME COGNOME è stato dichiarato pericoloso socialmente (anche in base alla doppia conforme condanna per concorso esterno, proprio in relazione all’operazione economica inerente all’oggetto di confisca nel presente procedimento), anche se non gli è stata applicata alcuna misura personale in quanto carente di attualità.
Le censure sul punto, nei termini in cui sono state concretamente dedotte, sono manifestamente infondate. La confisca, come detto, è stata disposta perché il bene confiscato è stato ritenuto un bene di derivazione illecita ex art. 24, comma 1, d.lgs. n. 159 del 2011 («il tribunale dispone la confisca dei bene sequestrati che risultino essere frutto di attività illecite»). Dal fatto che l’impresa è risultata es costituita, sviluppata ed espansa con l’ausilio e sotto la protezione della famiglia mafiosa di Trapani, dietro il sinallagmatico corrispettivo della partecipazione ai profitti di impresa versati alla cosca da NOME COGNOME, consegue la contaminazione di tutto il capitale sociale e dell’intero patrimonio aziendale, che,
come cespiti di un’impresa a partecipazione mafiosa, sono soggetti a confisca, a nulla rilevando l’iniziale carattere lecito delle quote dai diversi versate dai diver soci (Sez. 6, n. 7072 del 14/07/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 283462-01, che ha precisato come non possa scindersi, a fini ablatori, la quota ideale riconducibile all’utilizzo di risorse illecite, essendo impossibile distinguerla da quella riferib alla capacità e all’iniziativa imprenditoriale legittima. Le Sez. U, n. 4880 del 26/06/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262607 avevano già precisato Oste. la natura relativa della presunzione di illecita provenienza). È opportuno osservare ulteriormente come sia ammissibile anche la diretta confisca di singoli beni aziendali che risultino in rapporto di pertinenza prevenzionale rispetto alla pericolosità sociale del proposto, senza che sia necessaria la confisca totalitaria o parziale delle quote o delle partecipazioni sociali dell’azienda interessata (Sez. 2, n. 30655 del 03/02/2023, Rappa, 284948-03).
Per il resto, è appena il caso di osservare, in via generale, come, l’omesso esame di un motivo di appello da parte del giudice dell’impugnazione non dia luogo a mancanza di motivazione, ogni qualvolta (come nel caso di specie), pur in mancanza di un’espressa disamina, il motivo proposto debba considerarsi implicitamente assorbito e disatteso dalle spiegazioni svolte nella motivazione, in quanto incompatibile con la struttura e con l’impianto della stessa nonché con le premesse essenziali, logiche e giuridiche che compendiano la ratio decidendi della sentenza medesima (cfr., ex pluribus, da ultimo, Sez. 2, n. 46261 del 18/09/2019, Cammi, Rv. 277593).
Non può dunque ravvisarsi alcuna violazione di legge, proponendo i ricorrenti, nella reiterazione di censure già disattese, soltanto una – non consentita – diversa lettura delle risultanze procedimentali.
I ricorsi devono pertanto essere dichiarati inammissibili.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., i ricorrenti devono essere condannati al pagamento delle spese processuali e, a titolo di sanzione pecuniaria, di una somma in favore della Cassa delle ammende, da liquidarsi equitativamente, valutati i profili di colpa emergenti dall’impugnazione (Corte cost., 13 giugno 2000, n. 186), nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle < spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ce < 3z ammende. -ou LUG.
Così deciso il 5 aprile 2024