Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 22591 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 22591 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Vizzolo Predabissi il 08/11/1981
avverso la sentenza del 08/11/2024 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Monza visti gli atti, il provvedimento impugnato, il ricorso e la memoria; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che conclude per l’inammissibilità del ricorso; lette le conclusioni, per il ricorrente, dell’Avv. NOME COGNOME che chiede l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza emessa in data 8 novembre 2024, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Monza, pronunciando su richiesta delle parti ex art. 444 c.p.p., ha applicato a NOME COGNOME la pena condizionalmente sospesa di un anno e due mesi di reclusione, con riguardo a due condotte di emissione di fatture
per operazioni inesistenti ex art. 8 d.lgs. n. 74 del 2000 (capi di imputazione 24 e 25) unificate per la continuazione, e ha disposto la confisca diretta del denaro costituente profitto del reato nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE ovvero, nel caso di impossibilità totale o parziale, la confisca per equivalente sui beni nella disponibilità dell’imputato, fino alla concorrenza di 8.312,24 euro in relazione al capo 24, e di 11.794,82 in relazione al capo 25.
Secondo il G.i.p. del Tribunale di Monza, NOME COGNOME quale amministratore di diritto della società di diritto bulgaro RAGIONE_SOCIALE , avrebbe emesso: a) nei confronti della RAGIONE_SOCIALE‘ fatture relative ad operazioni oggettivamente inesistenti per 415.612,25 euro tra il 23 luglio 2018 e il 4 dicembre 2018 (capo 24); b) nei confronti della RAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALE‘ e della RAGIONE_SOCIALE‘ fatture relative ad operazioni oggettivamente inesistenti pari complessivamente a 589.741,00 euro tra il 13 aprile 2018 e il 3 maggio 2018 (capo 25). I fatti sarebbero stati commessi con l’aggravante della transnazionalità.
L’importo da confiscare è stato individuato in una misura pari al 2 % dell’importo complessivo delle fatture per operazioni inesistenti emesse dalla RAGIONE_SOCIALE, quale profitto dei reati di cui ai capi 24 e 25.
Ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza del G.i.p. del Tribunale di Monza NOME COGNOME con atto sottoscritto dall’Avv. NOME COGNOME articolando un unico motivo, con il quale si denunciano , a norma dell’art. 448 comma 2bis cod. proc. pen., l’illegalità della confisca disposta ex art. 12bis d.lgs. n. 74 del 2000 con la sentenza di applicazione della pena e il difetto di correlazione tra la richiesta (oggetto di accordo) e la sentenza emessa.
Si deduce che il giudice di merito avrebbe errato nella quantificazione del l’importo confiscabile ai soggetti considerati emittenti , tra i quali l’odierno ricorrente, NOME COGNOME. Si rappresenta che il G.i.p. non ha dato alcuna indicazione degli elementi di prova da cui desumere che l’imputato abbia ricevuto un compenso per l’emissione delle fatture di cui ai capi di imputazione. Si osserva che, come chiaramente evincibile dalla motivazione della sentenza impugnata, il profitto dei reati è stato determinato a forfait , in maniera indifferenziata per tutti i diversi imputati interessati dalla decisione, secondo una sorta di presunzione generalizzata e senza alcun riferimento a dati concreti, in contrasto con il principio affermato da Sez. U, n. 13783 del 26/09/2024, dep. 2025, COGNOME.
Successivamente alla presentazione della requisitoria scritta del Procuratore generale della Corte di cassazione, il ricorrente ha depositato memoria, sottoscritta dall’Avv. NOME COGNOME nella quale si ripropongono e si sviluppano le censure formulate nel ricorso, concernenti il difetto di indicazione,
nella sentenza impugnata, di elementi certi in ordine all’esistenza e all’entità del prezzo o del profitto dei reati oggetto di pena concordata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso , che attiene esclusivamente all’applicazione della confisca, è fondato per le ragioni di seguito precisate.
È utile premettere che il provvedimento impugnato è costituito da una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 444 c.p.p., e che, però, la statuizione specificamente investita dalle censure, relativa alla confisca disposta ex art. 12bis d.lgs. n. 74 del 2000, risulta estranea all’accordo tra le parti e adottata dal Giudice di ufficio.
Di conseguenza, nella specie, deve trovare applicazione il principio enunciato dalle Sezioni Unite secondo cui la sentenza di patteggiamento che abbia applicato una misura di sicurezza è ricorribile per cassazione nei limiti di cui all’art. 448, comma 2bis , cod. proc. pen. solo se la misura sia stata oggetto dell’accordo tra le parti, mentre, negli altri casi, è ricorribile per vizio di motivazione ai sensi della disciplina generale prevista dall’art. 606 cod. proc. pen. (Sez. U, n. 21368 del 26/09/2019, dep. 2020, COGNOME Rv. 279348 -01).
E, sulla base di tale principio, deve ritenersi che, avverso una sentenza di patteggiamento, sono ammissibili censure proposte con ricorso per cassazione deducenti il vizio di motivazione in ordine ad individuazione e quantificazione del prezzo o del profitto del reato, compiute ai fini dell’adozione di una statuizione di confisca non concordata tra le parti, ma disposta di ufficio dal giudice.
Ciò posto, le censure proposte sono fondate, perché evidenziano che il profitto dei reati di emissione di fatture per operazioni inesistenti di cui ai capi 24 e 25, ascritti all’attuale ricorrente, è stato individuato sulla base di mere congetture, e senza alcun aggancio ad elementi di fatto riferibili a tali vicende.
Invero, la sentenza impugnata ha innanzitutto affermato, in linea generale, che le società emittenti le fatture per operazioni inesistenti ricevevano dalle società clienti una percentuale compresa tra il 2 % e il 5 % degli importi indicati su detti documenti contabili, e che, di conseguenza, «dottando un criterio prudenziale e in ottica pro reo , in questa sede ci si parametrerà sulla percentuale del 2 % del fatturato falso». Sulla base di queste premesse, ha poi concluso che, essendo le fatture di cui al capo 24 relative ad un importo di 415.612,25 euro e le fatture di cui al capo 25 relative ad un importo di 589.741,00 euro, il profitto dei reati in questione è determinabile, rispettivamente, in 8.312,24 euro e in 11.794,82 euro,
quali somme corrispondenti al 2 % degli importi complessivamente indicati sui precisati documenti contabili.
Risulta quindi evidente che, nella specie, il prezzo del reato -per il reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti, infatti, il soggetto agente ritrae un compenso per commettere il reato, e ciò costituisce il prezzo, non il profitto, del reato -è stato supposto esistente dalla sentenza impugnata in ragione di una prassi generale del ‘mercato delle fatture false’, ma in difetto dell’indicazione di qualunque elemento per ritenere che ciò sia avvenuto anche nel caso di specie, e cioè che l’emissione delle fatture false di cui ai capi 24 e 25 sia stata preceduta , accompagnata o seguita dal pagamento di un compenso.
Ora, essendo indicati elementi meramente presuntivi, perciò non idonei a fondare una ragionevole certezza in ordine alla corresponsione di un compenso a vantaggio dell’attuale ricorrente per i delitti di cui ai capi 24 e 25, non può ritenersi accertata la esistenza di un «prezzo» (o di un «profitto») relativo a tali reati, e, quindi, la statuizione della confisca del «profitto», come afferma la sentenza impugnata, o, meglio, del «prezzo», degli stessi, è da ritenere illegittima.
La rilevata illegittimità della previsione che statuisce la confisca del profitto -o prezzo -dei reati di cui ai capi 24 e 25, ne impone l’annullamento con rinvio per nuovo giudizio in proposito.
Il Giudice del rinvio, pertanto, accerterà se l’attuale ricorrente abbia conseguito un compenso o un guadagno in correlazione con l’emissione delle fatture per operazioni inesistenti di cui ai capi 24 e 25, e, in caso affermativo, a quanto tale compenso o guadagno ammonti, evitando di incorrere negli errori indicati nel § 3, o comunque di fondarsi su valutazioni esclusivamente congetturali, ed eventualmente procedendo ad ulteriori accertamenti istruttori.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata relativamente al punto concernente la confisca e rinvia per nuovo giudizio al G.i.p. del Tribunale di Monza in diversa persona fisica. Così deciso il 08/05/2025.