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Confisca fatture false: la prova del profitto è d’obbligo

La Corte di Cassazione ha annullato un provvedimento di confisca per fatture false emesso nell’ambito di un patteggiamento. La decisione sottolinea che il profitto del reato non può essere determinato in modo presuntivo o forfettario (ad esempio, una percentuale fissa sull’importo delle fatture), ma deve essere provato con elementi concreti. Il giudice non può basarsi su una generica “prassi di mercato” per quantificare il compenso ricevuto dall’emittente, rendendo illegittima la confisca priva di un solido fondamento probatorio.

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Pubblicato il 23 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Confisca per Fatture False: No a Calcoli Presuntivi, Sì alla Prova Concreta

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sent. n. 22591/2025) ha stabilito un principio fondamentale in materia di reati tributari: la confisca per fatture false non può basarsi su calcoli presuntivi o forfettari. Per poter sottrarre il profitto del reato, il giudice deve fondare la sua decisione su prove concrete che dimostrino l’effettivo compenso percepito da chi ha emesso i documenti fiscali illeciti. Questa pronuncia rafforza le garanzie difensive e segna un punto fermo contro una giustizia basata su congetture.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda un amministratore di una società estera accusato di aver emesso fatture per operazioni inesistenti per un valore complessivo di quasi un milione di euro. L’imputato aveva concordato con la Procura una pena tramite il rito del patteggiamento. Tuttavia, il Giudice per le indagini preliminari, pur ratificando l’accordo sulla pena, aveva disposto d’ufficio la confisca del presunto profitto del reato.

Come è stato quantificato questo profitto? Il giudice ha applicato una percentuale fissa del 2% sull’imponibile totale delle fatture emesse, basandosi sulla congettura di una generica “prassi del mercato delle fatture false”. In pratica, ha presunto che l’emittente avesse ricevuto un compenso pari a tale percentuale, senza però indicare alcun elemento di prova specifico a sostegno di tale calcolo.

La Decisione della Corte di Cassazione e la confisca per fatture false

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione contestando esclusivamente la legittimità della confisca. La Suprema Corte ha accolto il ricorso, annullando la sentenza sul punto e rinviando la questione a un nuovo giudice.

La Corte ha chiarito che, sebbene il giudice possa disporre una confisca non concordata nel patteggiamento, la sua decisione deve essere sorretta da una motivazione rigorosa, specialmente per quanto riguarda l’individuazione e la quantificazione del profitto. Basare la confisca su mere congetture o su una presunta “prassi di mercato” senza alcun riscontro fattuale nel caso specifico costituisce un vizio di motivazione che rende illegittimo il provvedimento.

Le Motivazioni

Il cuore della decisione risiede nella distinzione tra prova e presunzione. La Corte di Cassazione ha evidenziato che:

1. Il Profitto deve essere Provato: Nel reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti, il profitto (più correttamente definito “prezzo” del reato) è il compenso che l’agente riceve per compiere l’illecito. L’esistenza e l’ammontare di tale compenso devono essere accertati attraverso prove concrete e non possono essere semplicemente supposti.
2. Il Calcolo Forfettario è Illegittimo: Applicare una percentuale fissa (in questo caso il 2%) in modo automatico, come se fosse una tariffa standard per questo tipo di reato, è un metodo che trasforma la confisca in una sanzione arbitraria. La motivazione del giudice di merito è stata giudicata carente perché non indicava alcun elemento da cui desumere che l’imputato avesse effettivamente ricevuto quel compenso.
3. Distinzione tra Prezzo e Valore delle Fatture: Il profitto confiscabile non è il valore totale delle fatture emesse, ma solo il guadagno illecito conseguito dall’emittente. La sentenza impugnata ha errato nel presumere un nesso automatico tra il valore delle operazioni e il compenso percepito.

Le Conclusioni

Questa sentenza ha importanti implicazioni pratiche. In primo luogo, stabilisce che la confisca per fatture false non è una misura automatica, ma richiede un onere della prova rigoroso a carico dell’accusa e un’attenta valutazione da parte del giudice. Non è sufficiente dimostrare l’emissione delle fatture, ma è necessario provare che da tale condotta sia derivato un vantaggio economico concreto e quantificabile per l’imputato.

In secondo luogo, la decisione riafferma un principio di civiltà giuridica: le condanne e le misure ablative devono basarsi su fatti accertati, non su generalizzazioni o supposizioni. Per gli operatori del diritto, ciò significa che in sede di patteggiamento, o in qualsiasi altro giudizio, la difesa può e deve contestare qualsiasi tentativo di applicare confische basate su calcoli presuntivi, esigendo che ogni euro confiscato sia riconducibile a un profitto provato oltre ogni ragionevole dubbio.

In caso di patteggiamento per emissione di fatture false, il giudice può disporre la confisca del profitto in modo automatico?
No. Se la confisca non è parte dell’accordo tra le parti, il giudice può disporla d’ufficio, ma ha l’obbligo di motivare in modo specifico e basandosi su prove concrete sia l’esistenza che l’ammontare del profitto, senza ricorrere a mere presunzioni.

Come si calcola il profitto da confiscare per il reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti?
Il profitto, o più correttamente il ‘prezzo’ del reato, corrisponde al compenso o al guadagno che chi ha emesso la fattura ha effettivamente ricevuto. Secondo la sentenza, questo importo non può essere determinato in modo forfettario (ad esempio, una percentuale fissa sul valore della fattura), ma deve essere accertato con elementi di prova specifici del caso.

È possibile impugnare una sentenza di patteggiamento per contestare solo la confisca?
Sì. La sentenza chiarisce che quando la confisca è disposta d’ufficio dal giudice e non è stata oggetto dell’accordo tra le parti, è possibile presentare ricorso per cassazione per vizio di motivazione riguardo alla sua individuazione e quantificazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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