Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 32509 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 32509 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME NOME a Cremona il DATA_NASCITA
avverso l ‘ ordinanza del 27/03/2025 del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udite le richieste del AVV_NOTAIO Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’annullamento con rinvio limitatamente al requisito della proporzionalità della misura cautelare reale e la declaratoria di inammissibilità del riscorso, nel resto;
udito l’AVV_NOTAIO, difensore di fiducia di RAGIONE_SOCIALE, ha concluso chiedendo l’ accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe indicata il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, decidendo in sede di rinvio, ha confermato il decreto di sequestro preventivo della somma di 1.096.090,00 euro, in contanti, e di 21.590,00 euro, in assegni, emesso il 23/05/2024 dal Giudice per le indagini preliminari nei confronti di NOME COGNOME. Tale decreto era stato confermato, una prima volta, dal Tribunale per il
riesame, adito ai sensi dell’art. 324 cod. proc. pen., con ordinanza del 09/07/2024 e, poi, annullato da questa Corte con sentenza n. 9103/2025 del 07/11/2024.
Avverso il decreto emesso in sede di rinvio ha proposto ricorso per cassazione il difensore di NOME COGNOME, deducendo un unico articolato motivo di annullamento per v iolazione di legge in relazione all’art. 623 cod. proc. pen. , perché il giudice di rinvio non si sarebbe uniformato ai principi dettati dalla sentenza di questa Corte, che aveva annullato la prima ordinanza per difetto assoluto di motivazione in ordine alla sussistenza del fumus del reato di istigazione alla corruzione di cui al capo n. 48, il solo che consente l’applicazione dell’art. 240 -bis cod. pen.
Nella prospettazione difensiva il Tribunale per il riesame non avrebbe compiutamente valutato le deduzioni difensive ai fini dell ‘individuazione del contributo causale del ricorrente al reato e, in particolare, non avrebbe considerato gli esiti delle intercettazioni telefoniche e le dichiarazioni acquisite, da cui emergerebbe l’estraneità del ricorrente all’ipotizzato sodalizio. Né sarebbe stato adeguatamente motivato il contributo causale del ricorrente all’istigazione alla corruzione materialmente posta in essere da NOME COGNOME, contributo erroneamente dedotto dalla sua semplice presenza all’esterno dei locali della Motorizzazione, luogo in cui il fatto è stato commesso.
Sotto altro profilo la difesa ha contestato la sussistenza del reato di cui all’art. 322 cod. pen. per difetto della qualifica di incaricato di pubblico servizio della guardia giurata che, a i sensi dell’art. 138 TULPS, rivest e tale qualifica solo nelle funzioni di vigilanza e custodia dei beni mobili e immobili. Poiché sul punto questa Corte, nell’ambito del presente procedimento, con sentenza n. 8116/2025 si è pronunciata in senso contrario, in difformità dall’indirizzo giurisprudenziale prevalente, la difesa sollecita la remissione della questione alle Sezioni unite.
Infine, la difesa ha rilevato che il decreto impugNOME, emesso ai sensi degli artt. 321 cod. proc. pen., 240, comma 2, e 240-bis cod. pen. e avente ad oggetto le risorse economiche sproporzionate in possesso del ricorrente, per l’entità della somma che ne è oggetto, viola il principio di proporzionalità applicabile alla confisca del profitto del reato, e, in sede cautelare, al suo sequestro.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
Va premesso che il ricorso per cassazione avverso le ordinanze emesse a norma dell’art. 324 cod. proc. pen., è consentito soltanto per violazione di legge,
mentre non è consentito dedurre vizi della motivazione (art. 325, comma 1, cod. proc. pen.).
Le lacune motivazionali possono rientrare nella violazione di legge, ma solo nei casi in cui la motivazione manchi del tutto, ovvero sia meramente apparente e non anche allorquando sia affetta da illogicità, quand’anche manifesta (Sez. U, n. 5876 2 del 28/01/2004, COGNOME, Rv. 226710; Sez. U, n. 25080 del 28/05/2003, COGNOME, Rv. 224611).
Si considera ‘assente’ non solo la motivazione fisicamente mancante ma anche quella apparente, ossia quella affetta da vizi così radicali da rendere l’apparato argomentativo, anche quando non del tutto mancante, comunque privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza, e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, COGNOME, Rv. 239692).
La sentenza n. 9105/2025 di questa Corte ha annullato la prima ordinanza del Tribunale per il riesame, che aveva confermato il decreto di sequestro preventivo per difetto assoluto di motivazione in relazione al capo n. 48, con cui si contesta al ricorrente il delitto di cui agli artt. 110, 322 cod. pen. perché, in concorso con NOME COGNOME, con la promessa di un regalo, chiedeva alla guardia giurata preposta anche al controllo – mediante metal detector -dell’ingresso in aula dei candidati agli esami di teoria per il conseguimento della patente di guida, di evitare il controllo a un suo amico, ovvero, in alternativa, di allontanarlo qualora avesse rilevato la presenza di apparecchiature elettroniche non consentite.
La Corte ha rilevato che mancava completamente la valutazione del fumus della condotta addebitata al ricorrente in relazione «alla sussistenza del reatospia, che costituisce uno dei presupposti di applicabilità della confisca estesa di cui all’art. 240 -bis cod. pen.».
Da ciò consegue che il Tribunale, in sede di rinvio, avrebbe dovuto procedere a un nuovo giudizio, valutando tutti gli elementi relativi al fumus del reato contestato nonché la sussistenza dei presupposti per procedere al sequestro finalizzato alla confisca ex art. 240bis cod. pen.
La motivazione del provvedimento impugNOME, invece, è meramente apparente quanto alla qualifica soggettiva e inesistente quanto ai presupposti per l’applicabilità dell’art. 240 -bis cod. pen.
Quanto alla qualifica soggettiva di incaricato di pubblico servizio della guardia giurata, il Tribunale per il riesame si è limitato a fare un generico rinvio, in primo luogo, alla sentenza n. 8116 del 04/02/2025 di questa Corte, emessa nel
presente procedimento in sede cautelare, in relazione, però, ad altro sequestro e priva, proprio per la diversità di oggetto, di efficacia vincolante.
In secondo luogo il Tribunale ha richiamato la prima ordinanza, poi annullata da questa Corte, in cui si era affermato che la guardia giurata deve essere considerata incaricato di pubblico servizio «in ragione della funzione di controllo dei candidati cui è preposto e del fatto che svolge il servizio presso e per conto di un organo – la RAGIONE_SOCIALE– avente natura pubblica».
Tale argomentazione viola la normativa di cui appresso perché, a prescindere dal riferimento alla sentenza emessa su altro oggetto, operato in modo del tutto generico, sovrappone due aspetti -il rapporto organico e le funzioni esercitate che devono essere tenuti nettamente distinti al fine della qualificazione della guardia giurata.
Come noto, a seguito della legge 26 aprile 1990, n. 86, il legislatore ha delineato la nozione di pubblico ufficiale (art. 357 cod. pen.) e di incaricato di un pubblico servizio (art. 358 cod. pen.) secondo una concezione oggettivofunzionale, che ha superato il riferimento presente nella disciplina previgente al «rapporto di dipendenza con la pubblica amministrazione», e che si incentra sul regime giuridico dell’attività concretamente esercitata.
Nessun rilievo, quindi, può avere la mera circostanza di agire per conto di un ente pubblico, in quanto l’ art. 358 cod. pen. esplicita il concetto di servizio pubblico, ritenendolo formalmente omologo alla funzione pubblica di cui al precedente art. 357 cod. pen., ma caratterizzato dalla mancanza dei poteri tipici di quest’ultima (poteri deliberativi, autoritativi o certificativi). Il parametro di delimitazione esterna del pubblico servizio è, dunque, identico a quello della pubblica funzione ed è costituito da una regolamentazione di natura pubblicistica, che vincola l’operatività dell’agente o ne disciplina la discrezionalità in coerenza con il principio di legalità, senza lasciare spazio alla libertà di agire quale contrassegno tipico dell’autonomia privata (Sez. 6, n. 53578 del 21/10/2014, COGNOME, Rv. 261835; Sez. 6 n. 39359 del 07/03/2012, COGNOME, Rv. 254337).
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte al fine di individuare se l’attività svolta da un soggetto possa essere qualificata come pubblica, ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 357 e 358 c.p., è necessario verificare se essa sia o meno disciplinata da norme di diritto pubblico, quale che sia la connotazione soggettiva del suo autore, distinguendosi poi -nell’ambito dell’attività definita pubblica sulla base di detto parametro oggettivo – la pubblica funzione dal pubblico servizio per la presenza (nell’una) o la mancanza (nell’altro) dei poteri tipici della potestà amministrativa, come indicati dal secondo comma dell’art. 357 predetto (Sez. U, n. 10086 del 13/07/1998, Citaristi, Rv. 211190).
Quanto alla guardia giurata, la norma di riferimento è l’art. 138 TULPS, che , all’ultimo comma, stabilisce che «salvo quanto diversamente previsto, le guardie particolari giurate nell’esercizio delle funzioni di custodia e vigilanza dei beni mobili ed immobili cui sono destinate rivestono la qualità di incaricati di un pubblico servizio». Difatti, l’attività tipica che caratterizza come tale la guardia particolare giurata è, ai sensi dell’art. 133 TULPS, la ‘vigilanza o custodia delle …. proprietà mobiliari o immobiliari’.
Quindi la norma è inequivoca nel collegare la qualifica pubblicistica esclusivamente alle attività testualmente in essa previste, tra le quali in alcun modo può rientrare il controllo all’accesso degli esaminandi per impedire l’ingresso di strumenti di comunicazione o di altri dispositivi da utilizzare quale indebito ausilio per lo svolgimento della prova di esame.
Inoltre, è comunque del tutto inesistente la motivazione in ordine alla confiscabilità ex art. 240bis cod. pen. delle somme in sequestro.
Il ricorso, per quanto da un lato ridondante e dall’altro impreciso, pone il problema della proporzionalità del sequestro rispetto alla idoneità a produrre redditi illeciti desumibile dal reato per il quale si procede.
L’art. 240 -bis cod. pen., nel prevedere che con la condanna per uno dei reati in esso elencati «è sempre disposta la confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condanNOME non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzioNOME al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica» non presuppone l’individuazione di uno specifico nesso di pertinenzialità diretta tra beni oggetto di ablazione e condotte illecite produttive di reddito.
Tuttavia, tale compromissione del diritto di proprietà si giustifica solo, e nei soli limiti in cui, le condotte criminose compiute dal soggetto risultino essere state effettivamente fonte di profitti illeciti, in quantità ragionevolmente congruente rispetto al valore dei beni che si intendono confiscare, la cui origine lecita lo stesso non sia stato in grado di giustificare (Sez. 6, Sentenza n. 30633 del 01/07/2024, Celotto, Rv. 286847 -01); difatti, la presunzione di origine illecita dei beni del condanNOME sorge non per effetto della mera condanna, ma laddove si appuri -con onere probatorio a carico della pubblica accusa -la sproporzione tra detti beni e il reddito dichiarato o le attività economiche del condanNOME stesso, sproporzione che deve essere ricondotta ad attività idonee a produrre profitti illeciti di cui è spia il fatto per cui è intervenuta condanna.
Nello stesso senso è orientato il diritto euro-unitario, e, in particolare la direttiva n. 2024/1260 del Parlamento europeo e del Consiglio, riguardante il
recupero e la confisca dei beni , il cui art. 14, relativo alla ‘ confisca estesa ‘ la quale prevede, al comma 1, che «gli Stati membri adottano le misure necessarie per poter procedere alla confisca, totale o parziale, dei beni che appartengono a una persona condannata per un reato, qualora il reato commesso possa produrre, direttamente o indirettamente, un vantaggio economico, e laddove un organo giurisdizionale nazionale sia convinto che i beni derivino da condotte criminose».
Tale disposizione, quantunque non ancora recepita nel diritto interno, costituisce senza dubbio un canone interpretativo (del resto anticipato dalla citata sentenza n. 30633/2024), univoco nel senso di richiedere, per la confisca allargata, l’idoneità del reato commesso a produrre profitti illeciti proporzionati al valore dei beni appresi.
Inesistente, infine, la motivazione in ordine al periculum in mora, da rapportare alle ragioni che rendono necessaria l’anticipazione dell’effetto ablativo della confisca rispetto alla definizione del giudizio (Sez. U, n. 36959 del 24/6/2021, Ellade, Rv. 281848).
L’onere motivazionale è correlato alla anticipazione della apprensione di un bene che, ove il giudizio si definisse favorevolmente, non potrebbe essere confiscato. Per questo è necessario che il provvedimento di sequestro dia conto delle ragioni per le quali il bene potrebbe, nelle more del giudizio, essere modificato, disperso, deteriorato, utilizzato od alieNOME; un’esigenza, questa, rapportata appunto alla ratio della misura cautelare, volta a preservare, anticipandone i tempi, gli effetti di una misura che, ove si attendesse l’esito del processo, potrebbero essere vanificati dal trascorrere del tempo.
D’altronde, la sentenza “Ellade” chiarisce che la motivazione riferita al periculum risulta comunque necessaria anche per rispettare «il principio di presunzione di non colpevolezza di cui all’art. 27, secondo comma, Cost. e di cui all’art. 6, par. 2, CEDU: evidenti sarebbero infatti gli aspetti problematici di una soluzione ermeneutica in ragione della quale il provvedimento cautelare prescindesse da una concreta prognosi in ordine alla conseguibilità della misura ablativa finale, così non scongiurandosi la possibilità, esattamente antitetica al predicato costituzionale appena ricordato, che la misura cautelare possa incidere sui diritti individuali più di quanto non lo possa la pronuncia di merito; in altri termini, la risposta afflittiva, quale è anche quella propria della confisca, dovrebbe, si è condivisibilmente detto, costituire il contenuto delle sole pronunce emesse a seguito di un giusto processo sul fatto colpevole e mai di provvedimenti disposti prima della soluzione giudiziaria definitiva» (§ 6.2.1.).
In conclusione il provvedimento impugNOME va annullato con rinvio al Tribunale per il riesame per nuovo giudizio, in cui dovranno essere valutati sia la sussistenza del fumus del reato di cui all’art. 322 cod. pen., individuando se siano state in questione attività ricollegabili alla qualifica soggettiva della guardia giurata, sia la sussistenza del periculum in mora , ossia della confiscabilità del bene, in presenza di seri indizi di esistenza delle medesime condizioni che legittimano la confisca.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di RAGIONE_SOCIALE competente ai sensi dell’art. 324, comma 5, c.p.p. Così deciso il 08/07/2025.
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME