Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 7343 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 7343 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/11/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Catania il 20/08/1964;
NOME nata a Catania il 13/08/1972;
NOME nata a Catania il 25/03/1995;
avverso il decreto emesso in data 23/05/2024 dalla Corte di appello di Catania;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udite lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto di rigettare i ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con il decreto impugnata la Corte di appello di Catania ha parzialmente accolto gli appelli proposti NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME avverso il decreto di confisca emesso in data 31 maggio 2023 dal Tribunale di Catania nei loro confronti.
L’avvocato NOME COGNOME difensore di NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME ricorre avverso tale decreto e ne chiede l’annullamento, proponendo motivi integralmente sovrapponibili.
2.1. Con il primo motivo di ciascun ricorso, il difensore deduce l’inosservanza dell’art. 18, comma 3, d. Igs. 6 settembre 2011, n. 159, in quanto la Corte di appello avrebbe illegittimamente attribuito a ciascun ricorrente la qualifica di erede e successore universale del proposto, in violazione dei principi sanciti in materia dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione (Sez. U, n. 12621 del 22/12/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 270081 – 01).
Il difensore premette che il procedimento di prevenzione è fondato sul presupposto che NOME COGNOME fosse stato soggetto socialmente pericoloso, ai sensi dell’art. 4, lett. a), del d.lgs. n. 159 del 2011, nel perio intercorrente tra il 2006 e sino al suo decesso, intervenuto in data 9 dicembre 2018.
In seguito a tale evento, il procedimento di prevenzione era stato promosso, ai sensi dell’art. 18, comma 3, del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, nei confronti degli eredi NOME COGNOME e NOME COGNOME, figlia e moglie del de cuius, e dei terzi NOME ed NOME COGNOME rispettivamente genero e nipote del de cuius, ai quali il medesimo avrebbe fittiziamente attribuito in vita beni che erano nella sua disponibilità diretta o indiretta.
Il difensore, tuttavia, rileva che NOME COGNOME sarebbe stata erroneamente qualificata come erede, in quanto ha rinunciato all’eredità e, comunque, non sarebbe stato individuato alcun compendio ereditario.
Il processo di prevenzione di cui si controverte, infatti, sarebbe fondato sul presupposto che tutti i beni di cui è stata disposta la confisca non abbiano fatto parte dell’asse ereditario di NOME COGNOME ma siano stati intestati fittiziamente ai suoi familiari prima del suo decesso, per evitare l’applicazione delle misure di prevenzione.
Ad avviso del difensore, tuttavia, sarebbe illegittima la confisca disposta, in quanto le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno statuito che, qualora la dismissione del patrimonio sia stata operata dal proposto prima della morte, non possono trovare applicazione le disposizioni dettata dal legislatore in materia di misure di prevenzione patrimoniale, ma la fattispecie di reato che punisce il trasferimento fraudolento di beni (e cita in proposito un passo del § 8.3 del Considerato in diritto delle Sez. U, n. 12621 del 22/12/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 270081 – 01).
2.2. Con il secondo motivo di ciascun ricorso, il difensore censura la violazione dell’art. 18, terzo comma, d. Igs. n. 159 del 2011, e il vizio di motivazione apparente sul punto.
La Corte di appello, infatti, avrebbe erroneamente confiscato i beni risultati nella disponibilità dei ricorrenti, ritenendo che i medesimi non avessero dimostrato la provenienza lecita della provvista.
I giudici di merito, tuttavia, illegittimamente avrebbero espunto i redditi da lavoro dipendente, percepiti da ciascun ricorrente dalle società confiscate, dal calcolo delle provviste lecite asseritamente utilizzate per l’acquisto delle stesse.
La Corte di appello ha ritenuto che i redditi da lavoro dipendente provenienti da un’impresa mafiosa siano affetti da una sorta di illiceità derivata; in questo modo, tuttavia, la Corte di appello avrebbe violato la disciplina sull’onere di allegazione, che impone di dare dimostrazione che la reale titolarità della società fosse di NOME COGNOME e che la stessa fosse stata illecitamente gestita dal de cuius.
La Corte di appello, dunque, avrebbe considerato i terzi interessati come se fossero i proposti per l’applicazione della misura di prevenzione patrimoniale e, dunque, come se i ricorrenti, in concorso con NOME COGNOME fossero i diretti portatori della pericolosità sociale.
L’unico onere che nella disciplina delle misure di prevenzione grava sul terzo sarebbe, invece, quello di dare dimostrazione che il bene di cui dispone sia derivato da una sua attività e non già che non si tratti di un’illecita accumulazione da parte del de cuius.
2.3. Con il terzo motivo di ciascun ricorso, il difensore deduce che la Corte di appello ha omesso di pronunciarsi in ordine alla richiesta di revoca della confisca, formulata a pag. 11 dell’atto di appello con riferimento alle due polizze intestate a NOME COGNOME indicate alla lettera D), sub 10 e 11 del decreto di confisca.
Nell’atto di appello il difensore ha, infatti, censurato che questi beni erano stati oggetto di confisca sul presupposto dell’incapacità patrimoniale dei coniugi COGNOMECOGNOME e della figlia NOME anche con riferimento ai versamenti eseguiti nell’anno 2018, ancorché per tale anno la DIA non avesse svolto alcuna attività di indagine.
Con la requisitoria e le conclusioni scritte depositate in data 14 ottobre 2024, il Procuratore generale NOME COGNOME ha chiesto di rigettare i ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi devono essere rigettati, in quanto i motivi proposti sono infondati.
Nel delibare i motivi di ricorso proposti dai ricorrenti, occorre premettere che nel procedimento di prevenzione il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge, secondo il disposto dell’art. 4 legge 27 dicembre 1956, n. 1423, richiamato dall’art. 3 ter, secondo comma, legge 31 maggio 1965, n. 575, e ribadito dall’art. 10, comma terzo, del d.lgs. 159 del 2011; ne consegue che, in tale ambito, è esclusa dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimità l’ipotes dell’illogicità manifesta di cui all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pe potendosi esclusivamente denunciare con il ricorso, poiché qualificabile come violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al giudice d’appello dal nono comma del predetto art. 4 legge n.1423 del 56, il caso della motivazione inesistente o meramente apparente (ex plurimis: Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246; Sez. 2, n. 20968 del 06/07/2020, COGNOME, Rv. 279435 – 01; Sez. 1, n. 6636 del 07/01/2016, COGNOME, Rv. 266365).
Il sindacato di legittimità sui provvedimenti in materia di prevenzione è, dunque, limitato alla violazione di legge e non si estende al controllo dell’iter giustificativo della decisione, a meno che questo sia del tutto assente (ex plurimis: Sez. 6, n. 35044 del 08/03/2007, Bruno, Rv. 237277).
Non può, dunque, essere dedotta come vizio di motivazione mancante o apparente la sottovalutazione di argomenti difensivi che, in realtà, siano stati presi in considerazione dal giudice o che, comunque, risultino assorbiti dalle argomentazioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246).
Tale limitazione è, peraltro, stata ritenuta non irragionevole dalla Corte costituzionale, stante la peculiarità del procedimento di prevenzione rispetto a quello penale, sia sul terreno processuale che su quello sostanziale, come precisato nelle sentenze n. 321 del 22/06/2004 e n. 106 del 15/04/2015 della Corte costituzionale.
Con il primo motivo di ciascun ricorso, il difensore deduce l’inosservanza dell’art. 18, comma 3, d. Igs. 6 settembre 2011, n. 159, in quanto sarebbe stata attribuita a ciascun ricorrente erroneamente la qualifica di erede e di successore universale del defunto NOME COGNOME in violazione dei principi sanciti in materia dalle Sezioni Unite della Corte di cessazione.
4. Il motivo è infondato.
4.1. L’art. GLYPH 18, comma 3, d. Igs. n. 159 del 2011 sancisce che «Il procedimento di prevenzione patrimoniale può essere iniziato anche in caso di morte del soggetto nei confronti del quale potrebbe essere disposta la confisca; in tal caso la richiesta di applicazione della misura di prevenzione può essere
proposta nei riguardi dei successori a titolo universale o particolare entro il termine di cinque anni dal decesso».
Le Sezioni unite della Corte di cassazione, nell’interpretare questa disposizione, hanno statuito che, in tema di misure di prevenzione patrimoniali, nell’ipotesi in cui l’azione di prevenzione patrimoniale sia esercitata ovvero prosegua dopo la morte del soggetto socialmente pericoloso, la confisca può avere ad oggetto non solo i beni pervenuti a titolo di successione ereditaria, ma anche i beni che, al momento del decesso, erano comunque nella disponibilità del de cuius, essendo stati fittiziamente intestati o trasferiti a terzi (Sez. U, cit., Rv. 270082 01).
Secondo le Sezioni unite, infatti, «le finalità e l’ampia estensione dei contenuti dell’azione di prevenzione patrimoniale – indirizzata dal legislatore verso il recupero di beni la cui illecita disponibilità da parte del de cuius prosegue a qualsiasi titolo, dunque anche nei termini di una “signoria di fatto” (Sez. 6, n. 10153 del 18/10/2012, dep. 2013, Con, in motivazione), nei successori a titolo universale o particolare, ovvero nei terzi interessati ex art. 23 d.lgs. cit. – non presuppongono, ai fini della materiale apprensione, il preventivo transito temporaneo dei beni all’interno del patrimonio ereditario, né possono subire limitazioni di ordine soggettivo sul piano della instaurazione del contraddittorio, non essendovi alcun rapporto di necessaria identificazione tra i destinatari formali dell’azione (i successori del soggetto indiziato di pericolosità) e i titolari dei dirit sui beni aggredibili nel procedimento di prevenzione (da coinvolgere nel contraddittorio come parti eventuali)».
4.2. La Corte di appello di Catania ha fatto corretta applicazione di questi principi di diritto.
L’azione di prevenzione è, infatti, stata legittimamente e tempestivamente proposta nei confronti di NOME e NOME COGNOME non già quali eredi, ma quali terzi interessati e, dunque, intestatari fittizi di beni già riconducibili al proposto a loro attributi prima della sua morte (p. 9 e 10 della decisione impugnata).
Il motivo di ricorso è, invece, inammissibile con riferimento a NOME COGNOME figlia di NOME COGNOME.
La Corte di appello, ha, infatti, rilevato che la confisca è stata disposta nei suoi confronti non solo in quanto erede di NOME COGNOME ma anche di intestataria di beni del soggetto pericoloso già al momento del suo decesso.
Questo rilievo rende ininfluente la questione relativa all’asserita erronea attribuzione della qualifica di erede della NOME, anche indipendentemente dall’omessa allegazione della documentazione avente ad oggetto la rinuncia all’eredità.
Il motivo proposto nell’interesse della COGNOME è, dunque, aspecifico, in quanto contrasta solo una delle due rationes poste a fondamento della confisca (la qualità di erede e non di terzo interessato, quale intestatario fittizio in epoca anteriore al decesso del de cuius).
E’, del resto, inammissibile, per difetto di specificità, il ricorso per cassazione che si limiti alla critica di una sola delle rationes decidendi poste a fondamento della decisione, ove a fondamento della motivazione del provvedimento impugnato ne siano ravvisabili plurime, autonome ed autosufficienti (Sez. 3, n. 30021 del 14/07/2011, F., Rv. 250972, nella specie, l’ordinanza impugnata aveva motivato il permanere delle esigenze cautelari richiamando il pericolo di fuga ed il pericolo di reiterazione dei reati, quest’ultima non investita con il ricorso per cassazione; Sez. 3, n. 2754 del 06/12/2017, dep. 2018, Bimonte, Rv. 272448 – 01).
4.3. E’, peraltro, errata l’interpretazione proposta dai ricorrenti, secondo la quale, qualora non sia individuabile un compendio ereditario della persona pericolosa, in quanto già attribuito in vita fittiziamente a stetti congiunti o a ter intestatari, il rimedio apprestato dall’ordinamento non sarebbe costituito dall’applicazione delle misure di prevenzione patrimoniale, ma della fattispecie di reato di cui all’art. 512-bis cod. pen.
Le Sezioni unite, al § 8.3 del Considerato in diritto, prospettano l’applicazione della fattispecie di reato del delitto di trasferimento fraudolento di valori e dell confisca per sproporzione in «quelle situazioni in cui non sia formalmente individuabile un compendio ereditario, per avere la persona pericolosa già provveduto a dismettere in vita l’intero suo patrimonio in favore degli stretti congiunti ovvero di terzi intestatari».
In questo passo della motivazione, tuttavia, le Sezioni unite non escludono il ricorso alle misure di prevenzione patrimoniale, in quanto espressamente richiamano la possibilità di applicare le presunzioni di intestazione fittizia di cu all’art. 26, comma 2, d. Igs. 159 del 2011. Il ricorso all’incriminazione per trasferimento fraudolento di valori è, dunque, aggiuntivo e non sostitutivo dell’applicazione della disciplina delle misure di prevenzione.
Con il secondo motivo di ciascun ricorso, il difensore censura la violazione dell’art. 18, terzo comma, d. Igs. n. 159 del 2011, e il vizio di motivazione apparente sul punto, in quanto la Corte di appello avrebbe illegittimamente espunto i redditi da lavoro dipendente percepiti da ciascun ricorrente, e provenienti dalle imprese di seguito confiscate, nel calcolo delle provviste lecite asseritamente utilizzate per l’acquisto dei beni confiscati.
Il motivo è inammissibile per aspecificità, prima ancora che manifestamente infondato.
Il difensore, infatti, non si confronta compiutamente con la motivazione dell’ordinanza impugnata.
La Corte di appello ha, infatti, rilevato che i ricorrenti non erano meri dipendenti della società controllate e dirette da NOME COGNOME ma gli intestatari fittizi delle società stesse.
Le disponibilità che i ricorrenti rivendicano, dunque, non costituiscono redditi leciti da lavoro dipendente, ma proventi illeciti derivanti dalla gestione di attività d’imprese illecite.
Il vizio di motivazione apparente denunciato è, peraltro, insussistente, in quanto la Corte di appello ha congruamente rilevato che i ricorrenti non potevano essere considerati terzi di buona fede, inconsapevoli dell’attività svolta dal diretto congiunto, e che all’epoca dell’acquisto delle partecipazioni societarie non avevano redditi e disponibilità economiche idonee a consentirlo.
Con il terzo motivo di ciascun ricorso, il difensore deduce che la Corte di appello ha omesso di pronunciarsi in ordine alla richiesta di revoca della confisca, formulata a pag. 11 dell’atto di appello con riferimento alle due polizze intestate a NOME COGNOME indicate alla lettera D), sub 10 e 11 del decreto di confisca.
Il motivo, che invero riguarda solo NOME COGNOME e non anche gli altri ricorrenti, è infondato.
Nell’atto di appello il difensore ha, infatti, dedotto che questi beni sono stati sottoposti a confisca sul presupposto dell’incapacità patrimoniale dei coniugi COGNOMECOGNOME e della figlia NOME anche con riferimento ai versamenti eseguiti nell’anno 2018, ancorché per tale anno la D.I.A. non avesse svolto alcuna attività di indagine.
La Corte di appello di Catania, in accoglimento dell’impugnazione, ha, tuttavia, revocato la confisca in relazione ad alcune polizze, rilevando che tale decisione è conseguenza dell’assenza di accertamenti patrimoniali successivi al 2018 (p. 19 e 20 del decreto impugnato).
La Corte di appello ha, inoltre, precisato che «va mantenuta, inoltre la confisca sui beni per i quali non è stata avanzata dagli appellanti una specifica censura» (p. 19 del decreto impugnato).
L’omissione di pronuncia denunciata è, dunque, insussistente, in quanto le polizze sono state sottoscritte e versate dalla Aiello dal 2015 al 2018 e la Corte di appello ha revocato la confisca solo per quelle espressamente indicate, successive al 2018.
Alla stregua di tali rilievi, i ricorsi devono essere rigettati e i ricorrenti, sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., devono essere condannati al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 05/11/2024.