Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 21974 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 21974 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/05/2024
SENTENZA
Sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME, nato a Marcianise il DATA_NASCITA,
COGNOME NOME, nato a Napoli il DATA_NASCITA,
quest’ultima parte civile nel procedimento a carico di:
NOME NOME, avverso la sentenza del 23/06/2023 della Corte di appello di Napoli; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;
udita la relazione della causa svolta dal consigliere NOME COGNOME; sentito il Pubblico ministero, nella persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo, quanto al ricorso dell’imputato, l’annullamento
con rinvio limitatamente all’ammontare della confisca; dichiararsi l’inammissibilità del ricorso nel resto; quanto al ricorso della parte civile, il rigetto;
sentiti i difensori:
AVV_NOTAIO, anche in sostituzione dell’AVV_NOTAIO, per l’imputato COGNOME NOME, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del proprio ricorso e la declaratoria di inammissibilità del ricorso della parte civile; AVV_NOTAIO, in sostituzione dell’AVV_NOTAIO, per la parte civile COGNOME NOME, che ha concluso riportandosi ai motivi di ricorso; letta la comparsa conclusionale della parte civile COGNOME NOME, corredata da nota spese, con la quale è stato chiesto dichiararsi l’inammissibilità o comunque il rigetto del ricorso dell’imputato;
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Napoli, in esito a giudizio abbreviato, parzialmente riformando la sentenza del Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Napoli, emessa il 15 febbraio 2018:
ha assolto l’imputato COGNOME NOME dai reati di usura in danno di COGNOME NOME di cui ai capi C, D, ed E – in relazione ai quali era intervenut condanna in primo grado – con la formula perché il fatto non sussiste, revocando le statuizioni civili;
ha dichiarato di non doversi procedere per intervenuta prescrizione in relazione ai reati di usura di cui ai capi F, G ed H in danno di COGNOME NOME e COGNOME NOME, avendo escluso l’aggravante dell’uso del metodo mafioso;
ha confermato nel resto la sentenza di primo grado.
Ricorrono per cassazione, da una parte, l’imputato NOME COGNOME e, dall’altra, la parte civile NOME COGNOME.
2.1. NOME COGNOME deduce:
violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla declaratoria di prescrizione relativa ai reati di usura in danno di COGNOME NOME di cui ai capi F e G.
La Corte non avrebbe adottato una autonoma valutazione in ordine agli elementi accusatori a carico dell’imputato, non tenendo conto RAGIONE_SOCIALE doglianze difensive contenute nell’atto di appello e limitandosi a richiamare l’ordinanza di custodia cautelare emessa nella fase RAGIONE_SOCIALE indagini preliminari e la sentenza di primo grado, interpretando con motivazione illogica e contraddittoria l’interscambio di rapporti tra le parti, non dovuto a causa illecita ma al fatto di esercitare attività lavorat nello stesso settore della vendita di automobili;
violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla declaratoria di prescrizione relativa al reato di usura in danno di COGNOME NOME di cui al capo H.
Le censure sono analoghe a quelle formulate con il primo motivo di ricorso;
violazione di legge per avere la Corte confermato la confisca del profitto dei reati di usura disposta nel primo grado di giudizio ai sensi dell’art. 644, sest comma, cod.pen., senza tenere conto dell’assoluzione intervenuta per alcuni di tali reati (capi C, D ed E) e della declaratoria di prescrizione per gli altri (capi F, G H).
2.2. NOME COGNOME deduce, ai soli effetti civili:
violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al giudizio assolutorio dell’imputato quanto al reato di usura di cui al capo C.
La Corte avrebbe ritenuto inattendibili le dichiarazioni del ricorrente, persona offesa dal reato, attraverso motivazione illogica e contraddittoria con riguardo agli elementi processuali disponibili, alcuni dei quali oggetto di travisamento (come gli atti di un parallelo giudizio civile tra la persona offesa e l’imputato conseguentemente, anche le affermazioni ad esso giudizio collegate, rese dalla vittima in sede di indagini preliminari);
violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla declaratoria di prescrizione relativa ai reati di usura in danno di COGNOME NOME di cui ai capi D ed E.
Si deducono censure analoghe a quelle di cui al primo motivo, in quanto volte a contestare il giudizio di inattendibilità della persona offesa espresso dalla sentenza impugnata;
violazione di legge e vizio di motivazione per avere la Corte escluso la l’aggravante della finalità di agevolazione mafiosa, nonostante gli atti dessero dimostrazione della sua sussistenza, non negata dal primo giudice attraverso la propria decisione di ritenere che si fosse utilizzato il metodo mafioso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso dell’imputato COGNOME NOME è parzialmente fondato solo con riguardo alla confisca, mentre è inammissibile nel resto perché proposto per motivi non consentiti.
1.1. Quanto ai primi due motivi di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente, occorre ricordare la ormai pacifica giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in presenza di una causa di estinzione del reato, il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell’art. 129, comma secondo, cod. proc. pen., soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di “constatazione”, ossia di percezione ictu ()culi, che a quello di
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“apprezzamento” e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, COGNOME; Sez. 6, n. 10284 del 22/01/2014, COGNOME, Rv. 259445).
Nel caso in esame, come traspare dallo stesso ricorso, la Corte di appello, dopo avere riepilogato le risultanze processuali che avevano portato alla condanna del ricorrente nel primo grado di giudizio per i reati di usura di cui ai capi F, G ed ha sottolineato, a fronte della rilevata prescrizione dei reati, l’impossibilit adottare una formula di proscioglimento ai sensi dell’art. 129, comma 2, cod. proc. pen., tenuto conto di quanto dichiarato dalle persone offese e riscontrato dai documenti e dalle intercettazioni (cfr. fgg. 20-22 della sentenza impugnata).
1.2. E’ fondato il terzo motivo.
1.2.1. La Corte di appello ha confermato la statuizione di confisca disposta dal primo giudice ai sensi dell’art. 644, comma sesto, cod.pen. ed inerente alla somma di euro 118.460,00.
Nella sentenza di primo grado (fg. 43) non si rinvengono ulteriori correlazioni tra l’importo complessivo della misura ablativa ed i singoli reati, sicché deve ritenersi che tale somma sia riferibile, almeno in parte, anche al profitto dei reati di usura di cui ai capi C, D ed E in relazione ai quali è stata emessa sentenza di assoluzione, statuizione in alcun modo idonea a giustificare il mantenimento della confisca.
1.2.2. La motivazione offerta dalla Corte territoriale, a fg. 25 della sentenza impugnata, anche tenuto conto della genericità del motivo di appello sul punto ed anche del ricorso, è, invece, congrua in relazione alla confisca per la parte inerente ai reati di usura in ordine ai quali è stata emessa sentenza di non doversi procedere per prescrizione (capi F, G, ed H della imputazione).
Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio sul punto al fine di consentire al giudice di merito una migliore specificazione inerente all’entità della confisca, che deve essere mantenuta soltanto per quanto di essa relativo ai reati dichiarati prescritti; ciò, anche in considerazione che nessuna deduzione è stata avanzata in ricorso a proposito dell’applicazione della disposizione di cui all’art. 578-bis cod. proc. pen..
Il ricorso della parte civile NOME COGNOME è inammissibile perché proposto per motivi non consentiti.
2.1. Deve ricordarsi il principio, ancora di recente ribadito, secondo cui, in tema di valutazione della prova testimoniale, l’attendibilità della persona offesa da reato è questione di fatto, non censurabile in sede di legittimità, salvo che la motivazione della sentenza impugnata sia affetta da manifeste contraddizioni, o abbia fatto ricorso a mere congetture, consistenti in ipotesi non fondate sullo “id quod plerumque accidit”, ed insuscettibili di verifica empirica, od anche ad una
pretesa regola AVV_NOTAIO che risulti priva di una pur minima plausibilità (Sez. 4, n. 10153 del 11/02/2020, C., Rv. 278609).
2.2. Nel caso in esame, la Corte di appello, con ampia motivazione offerta ai fgg. 22-25 della sentenza impugnata, ha messo in luce l’inattendibilità del narrato della persona offesa oggi ricorrente quale parte civile, valorizzando non soltanto una serie di ambiguità insite nel suo racconto, ma anche elementi negativi di riscontro esterno presenti in atti, attraverso una interpretazione di puro merito – come quella relativa all’interpretazione degli atti del parallelo giudizio civile instau tra le parti contrapposte – priva di manifeste illogicità o contraddizioni rilevabi questa sede ed inerente ai temi reiterati nel ricorso.
Tanto supera ogni diversa considerazione difensiva contenuta nei primi due motivi di ricorso per quanto relativo al giudizio di insussistenza della responsabilità dell’imputato per i reati di usura di cui ai capi C, D ed E, la cui piattafor probatoria si basava, in via principale, proprio sulle dichiarazioni della persona offesa.
2.3. Il terzo motivo, riguardante la questione in ordine alla sussistenza dell’aggravante dell’uso del metodo mafioso, rimane assorbito dalla statuizione favorevole all’imputato in ordine alla responsabilità.
In ogni caso, deve ricordarsi la regola giuridica – applicabile per identità di ratio al caso in esame, nel quale il primo giudice aveva ritenuto sussistente l’uso del metodo mafioso invece che la finalità di agevolazione mafiosa, l’unica aggravante contestata nella imputazione – secondo la quale, viola il principio di correlazione tra contestazione e pronuncia, la sentenza (nella specie del giudice di appello) che, in presenza della contestazione dell’aggravante di cui all’art. 7 del D.L. n. 203 del 1991 (conv. in legge n. 203 del 1991), sub specie dell’agevolazione dell’associazione mafiosa, la ritenga, invece, sussistente con riferimento all’utilizzo del metodo mafioso (Sez. 6, n. 45203 del 22/10/2013, COGNOME, Rv. 256870).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso della parte civile consegue l condanna della ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, commisurata all’effettivo grado di colpa della stessa ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità.
Non si ritiene, infine, di procedere ad alcuna liquidazione RAGIONE_SOCIALE spese e dei compensi del difensore della parte civile COGNOME NOME, dal momento che la comparsa conclusionale depositata risulta priva di concreto contenuto utile alla soluzione RAGIONE_SOCIALE questioni sollevate con il ricorso dell’imputato (cfr. Sez. U, n. 87 del 14/07/2022, dep. 2023, COGNOME).
Annulla la sentenza impugnata, nei confronti di COGNOME NOME, limitatamente alle statuizioni di confisca, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Napoli.
Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Dichiara inammissibile il ricorso della parte civile COGNOME NOME che condanna al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE.
Rigetta la richiesta di rifusione RAGIONE_SOCIALE spese processuali formulata nell’interesse della parte civile COGNOME NOME.