Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 10060 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 10060 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 09/01/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
COGNOME CorradoCOGNOME nato a Latina il 17/07/1947
NOME NOMECOGNOME nato a Padova il 19/02/1944
avverso la sentenza emessa il 12 gennaio 2024 dalla Corte d’appello di Roma,
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata. uditi i difensori:
Avv. NOME COGNOME per NOME COGNOME il quale ha insistito per l’accoglimento del ricorso ed ha chiesto la declaratoria della decadenza della parte civile per la mancata presentazione in udienza dell’Avvocatura Generale dello Stato e per il mancato deposito delle conclusioni scritte;
Avv. NOME COGNOME per COGNOME il quale ha insistito per l’accoglimento del ricorso e s è associato alla richiesta formulata in udienza dall’Avv. COGNOME
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME e NOME COGNOME propongono separati ricorsi per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Roma che ha dichiarato non doversi procedere nei confronti dei ricorrenti, condannati in primo grado per il reato di cui agli artt. 110, 319 e 321 cod. pen., per intervenuta prescrizione del reato ed ha confermato nel resto la sentenza di primo grado, in particolare, sia le statuizioni civili che la confisca.
NOME COGNOME ha dedotto due motivi di ricorso, di seguito riassunti nei termini strettamente necessari per la motivazione.
2.1 Vizi di omessa, insufficiente e manifesta illogicità della motivazione relativa alla sussistenza dell’aggravante della transnazionalità, rispetto alla quale, con il terzo motivo di appello, si era censurata la carenza dell’elemento soggettivo. Premette il ricorrente che l’interesse a contestare la sussistenza di detta aggravante è correlato al fatto che, ove questa fosse stata esclusa dalla Corte territoriale, si sarebbe dovuta rilevare l’intervenuta prescrizione del reato in data antecedente la sentenza di primo grado.
In particolare, si rileva che la insussistenza dell’elemento soggettivo era desumibile dai seguenti elementi acquisiti nel dibattimento: i) la circostanza che COGNOME non si occupò personalmente dell’apertura del conto svizzero e che le somme prima di pervenire nella sua disponibilità, transitavano su conti di passaggio svizzeri; ii) le dichiarazioni rese da COGNOME, anche nel procedimento elvetico per riciclaggio, di non essere a conoscenza dei diversi passaggi di denaro in quanto COGNOME si era assunto l’onere, con l’aiuto di COGNOME, di fargli pervenire le somme pattuite a titolo d consulenza; iii) le dichiarazioni spontanee rese da COGNOME che ha ammesso di essersi occupato dei flussi finanziari, escludendo, così, il coinvolgimento di COGNOME; v) le dichiarazioni rese dal teste COGNOME che ha dichiarato che era stato COGNOME a mettere in contato COGNOME e COGNOME con il gruppo organizzato, confermando l’estraneità di COGNOME.
2.2. Mancanza, insufficienza e manifesta illogicità della motivazione relativa alla responsabilità dell’imputato, dedotta con il quinto motivo di appello, e alla richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale.
La sentenza impugnata ha omesso di valutare le doglianze formulate con l’atto di appello in cui si era rilevato che le fonti di prova smentivano l’ipotesi accusatoria fondata sul presupposto che COGNOME avesse falsificato la documentazione contrattuale giustificativa delle somme percepite, una volta venuto a conoscenza dell’indagine a suo carico. Tale assunto, sostiene il ricorrente, è, infatti, smentito dai seguenti elementi: i) dalla documentazione contrattuale e, in particolare, dalle due missive intercorse tra COGNOME e COGNOME attestanti la durata del rapporto dal 10 maggio 2004 al 15 giugno 2011, documentazione presente in originale presso la società RAGIONE_SOCIALE di Lugano, di NOME COGNOME che ha confermato la presenza di detti documenti in data antecedente a quella dell’interrogatorio del ricorrente; ii) dalla consulenza redatta dal consulente di parte COGNOME e dalle dichiarazioni da questo rese in dibattimento, da cui risulta l’inattendibilità dell’accertamento svolto nel procedimento elvetico al fine di determinare la data di creazione del file rinvenuto nel computer della compagna di COGNOME a Lugano; iii) dal fatto che nei documenti acquisiti presso il Ministero dell’Ambiente era rilevabile una difformità delle firme apposte da COGNOME, analoga a quella riscontrata “ad occhio” sulla documentazione ritenuta oggetto di falsificazione; iv) dalle dichiarazioni resa da COGNOME che ha confermato l’attività di promozione svolta da Clini a livello internazionale per conto della ONG e al di fuori delle sue competenze istituzionali; v) dalle conversazioni intercorse tra COGNOME e COGNOME da cui emerge l’intenzione dei due, una volta acquisita contezza delle indagini, di consegnare la documentazione attestante l’attività effettivamente svolta in Iraq.
Con successiva memoria COGNOME ha ulteriormente illustrato il primo motivo in merito alla carenza dell’elemento psicologico della contestata aggravante ed ha formulato istanza di correzione dell’errore materiale contenuto nella sentenza nella parte in cui non ha disposto la restituzione dei beni non confiscati.
NOME ha dedotto otto motivi, di seguito riassunti nei termini strettamente necessari per la motivazione.
4.1 Violazione di legge in relazione alla qualificazione della confisca disposta dalla sentenza di primo grado come diretta, anziché per equivalente. Si rileva, infatti, che nel presente procedimento sono stati sottoposti a sequestro preventivo beni immobili e quote societarie, che, oltre ad essere beni infungibili, sono privi di qualunque nesso di pertinenzialità con il reato ascritto. Ne consegue, pertanto, che la loro confisca, confermata dalla sentenza impugnata, deve essere qualificata come confisca per equivalente, e, alla luce del principio diritto affermato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 4145 del 2023, COGNOME non poteva essere disposta ai sensi dell’art. 578-bis cod. proc. pen., in quanto il reato ascritto è stato commesso in data antecedente la sua introduzione.
4.2. In via subordinata rispetto alla prima questione sulla natura della confisca, con il secondo e con il quarto motivo, tra loro logicamente connessi, si deducono vizi di violazione di legge e di motivazione in merito al criterio di giudizio adottato per la conferma della misura ablatoria, fondato sulla mancanza di evidenza della prova e, dunque, sul canone indicato dall’art. 129, comma 2, cod. proc. pen., anziché, come affermato dalla giurisprudenza di questa Corte e dalla Corte costituzionale (si richiamano le sentenze n. 49 del 2015 e n. 182 del 2021) sulla base di un accertamento pieno della responsabilità dell’imputato e di un compiuto esame delle questioni da questo dedotte con l’atto di appello proprio su tale punto.
Si rappresenta, a tal fine, che con i motivi di appello, illustrati con maggiori dettagli nel quarto motivo, l’imputato aveva infatti dedotto: a) l’errata valutazione dei fatti e delle prove; b) il travisamento della prova in ordine al patto corruttivo e a passaggio di denaro transitato sui conti della GBC, atteso che la consulenza tecnica ha dimostrato la piena concordanza tra l’attività svolta e le somme percepite da Pretner; c) la mancanza di prove del patto corruttivo e l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese da COGNOME in altro procedimento penale per violazione dell’art. 513 cod. proc. pen.; d) l’erronea valutazione degli indizi; e) il travisamento delle dichiarazioni di COGNOME; f) la causale lecita dei pagamenti in favore di COGNOME
Calore, in relazione alle sue prestazioni professionali nell’ambito del progetto RAGIONE_SOCIALE; g) l’erronea qualificazione giuridica del fatto contestato; h) la qualificazione del quantum confiscato come profitto del reato, e non come prezzo, senza considerare il grado di partecipazione di ciascun concorrente al profitto.
In particolare, nel quarto motivo si rileva che il giudizio di responsabilità, oltre a non considerare le allegazioni difensive in merito alla liceità del rapporto tra COGNOME e COGNOME, è fondato sul solo indizio relativo ai flussi di denaro tra i protagonisti della vicenda, avvenuto attraverso uno schema, il passaggio tramite una società “cartiera”, proprio delle cd. operazioni soggettivamente inesistenti;
4.3. Con il terzo motivo si deduce il vizio di violazione degli artt. 25 Cost., 2 cod. pen. e 322-ter cod. pen.
Si rileva, infatti, che l’art. 322-ter cod. pen., nella versione vigente all’epoca dei fatti, consentiva la sola confisca per equivalente del prezzo del reato.
Sulla base di tale premessa, si rileva che nella fattispecie in esame, non essendo stato provato alcun accordo corruttivo, la confisca disposta ha avuto ad oggetto l’equivalente del profitto generato da illeciti tributari (si richiamano, a tal fine, dichiarazioni rese da COGNOME in merito al ruolo della società RAGIONE_SOCIALE ed alla sua costituzione per abbattere fittiziamente gli utili).
Si afferma, inoltre, che, anche a voler ravvisare la contestata corruzione, l’importo della confisca, disposta per euro 3.170.000, andava ridotto alla somma di euro 1.020.000, effettivamente corrisposta al pubblico ufficiale, mentre la restante somma percepita da COGNOME COGNOME va, invece, qualificata come profitto di un «eventuale reato fiscale» mai stato contestato all’imputato. Tale somma è stata, peraltro, contraddittoriamente considerata come prezzo per la intercessione di COGNOME, giungendosi contraddittoriamente a considerare come corruzione una ipotesi in cui il destinatario della tangente è il privato corruttore, anziché il pubblico ufficia
4.4. Con il quinto motivo si deducono vizi di violazione dell’art. 319 cod. pen. e dell’art. 129 cod. proc. pen., di omessa motivazione sull’identificazione dell’atto contrario ai doveri d’ufficio oggetto dell’accordo corruttivo e di contraddittorietà della prova in ordine al preteso asservimento della funzione.
Deduce in primo luogo il ricorrente che l’atto dell’ufficio individuato come termine dell’accordo corruttivo, ovvero l’emissione dei decreti direttoriali, non era un atto discrezionale, ma vincolato, costituendo attuazione degli accordi internazionali siglati il 30 giugno 2003 tra il Ministero dell’Ambiente, allora rappresentato dal Ministro NOME COGNOME e il rappresentante del governo provvisorio iracheno, oltre che i rappresentanti di altri Stati. Si trattava, dunque, di atti privi di discrezionalità
quanto COGNOME non poteva scegliere né quale progetto finanziare né in che misura farlo. Tale ricostruzione emerge chiaramente a pagina 26 della sentenza di primo grado dove sono state individuate le seguenti fasi della procedura seguita per la definizione del programma: 1) sottoscrizione degli accordi di cooperazione; 2) definizione dei programmi di attuazione con l’individuazione dei finanziamenti da parte del Ministero dell’Ambiente; 3) emissione del decreto del direttore generale per l’erogazione del finanziamento. Sostiene, dunque, il ricorrente che, poiché COGNOME è intervenuto in tale ultima fase, allorché erano stati definiti tutti gli aspetti del progetto, lo stesso aveva alcuna discrezionalità. Dalla sentenza di primo grado inoltre non risulta sia stata riscontrata alcuna scorrettezza nelle pratiche di finanziamento.
Si rileva, inoltre, che la contrarietà ai doveri di ufficio degli atti posti in es da COGNOME non è desumibile né dalla sentenza irrevocabile di patteggiamento, emessa nei confronti di Azzam, stante la peculiarità di tale rito e la ridotta possibilità impugnazione per erronea qualificazione giuridica del fatto, né dalle dichiarazioni di COGNOME che ha negato di essere stato a conoscenza di tangenti pagate all’esponente del Ministro italiano, o dal contenuto delle mail rinvenute nel computer di COGNOME attestanti esclusivamente, secondo la ricostruzione su cui il motivo si diffonde alle pagine da 35 a 39, dei contrasti di natura commerciale tra i soggetti che avevano preso parte al consorzio.
Si aggiunge, inoltre, che anche a voler considerare come discrezionali gli atti posti in essere da COGNOME, in assenza di prove dell’accordo corruttivo e del rapporto di sinallagmaticità tra la dazione di denaro e la funzione svolta, la condotta ascritta va riqualificata ai sensi dell’art. 318 cod. pen. nella versione vigente all’epoca dei fatt in quanto più favorevole.
Ne consegue che, trattandosi di una corruzione impropria susseguente prevista dal secondo comma dell’art. 318 cod. pen., dovrà essere considerato che tale disposizione non era richiamata dall’art. 320 cod. pen., nel testo all’epoca vigente.
Inoltre, quand’anche si volesse ravvisare l’ipotesi prevista dal primo comma dell’art. 318 cod. pen., dovrà escludersi, in ragione della previsione di una pena edittale massima di tre anni, la possibilità di applicare l’aggravante di cui all’art. 6 bis cod. pen. con conseguente prescrizione del reato in data anteriore la pronuncia di primo grado e le conseguenti determinazioni in ordine alla confisca e alle statuizioni civili.
4.5. Con il sesto motivo si deducono vizi di violazione di legge e di motivazione in ordine ai presupposti per l’applicazione dell’aggravante della transnazionalità.
Si premette, al riguardo, che la sentenza impugnata ha omesso di motivare sulla sussistenza dell’aggravante, limitandosi a reputare la correttezza della contestazione sulla base della sola circostanza relativa all’impiego da parte della ONG RAGIONE_SOCIALE di soggetti e società “veicolo” all’uopo predisposti al fine di consentire il passaggio della provvista illecita alle casse di Azzam e di Clini, passando per il conto di COGNOME. Si deduce, al riguardo, la erronea applicazione del principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 18374 del 2013 sull’aggravante in esame e sulla necessità che sia raggiunta la prova dell’esistenza di un gruppo transnazionale organizzato, costituito da almeno tre membri, prova non raggiunta nel corso del processo in cui è risultato, al più, il coinvolgimento della GBC e, in particolare, secondo quanto riferito dal testimone NOME, del solo NOMECOGNOME
Sostiene il ricorrente che i Giudici di merito si sono limitati a considerare l’apporto fornito da soggetti operanti all’estero, elemento, questo, che non è tuttavia sufficiente a ravvisare un gruppo transnazionale.
Inoltre, si rileva che dall’istruttoria non è emersa alcuna prova del contributo materiale che il gruppo avrebbe dato alla commissione del reato, non essendo sufficiente il solo transito delle somme sui conti della società.
4.6 Con il settimo motivo si deducono vizi di violazione di legge sostanziale e processuale e di apparenza della motivazione dell’ordinanza emessa 1’8/10/2018 con la quale è stata rigettata l’eccezione di genericità della contestazione suppletiva della circostanza aggravante di cui all’art. 61-bis cod. pen., priva della descrizione dello specifico gruppo criminale organizzato e del contributo che avrebbe apportato, essendo, a tal fine, insufficiente il mero riferimento alle società impiegate per il sistema della fatturazione.
Quale effetto di tale genericità, si eccepisce la nullità del decreto di giudizio immediato per violazione del diritto di difesa in quanto l’imputato non è stato interrogato sui fatti da cui discende la contestazione dell’aggravante.
4.7. Con l’ottavo motivo si deducono vizi di violazione di legge e di motivazione in ordine alla quantificazione del danno risarcibile.
Oltre a richiamarsi le pronunce delle Sezioni Unite COGNOME e COGNOME, in merito al criterio di giudizio da adottare, si rileva che i Giudici di merito hanno erroneamente considerato la sentenza di patteggiamento emessa nei confronti di Azzam, violando l’art. 445 comma 1-bis, cod. proc. pen., che ne esclude l’efficacia ai fini di prova nei giudizi civili. Nel caso in esame, peraltro, la sentenza è stata impiegata ai fini dell’accertamento dell’illecito civile da parte di un concorrente nel reato.
La sentenza impugnata, inoltre, non ha fornito delle risposte esaustive alle doglianze formulate con l’atto di appello sulla quantificazione delle somme liquidate a titolo di risarcimento del danno. La Corte territoriale, infatti, si è limitat considerare la somma sottratta al finanziamento (pari a 3.170.000 euro) e il danno all’immagine subito dallo Stato italiano, quantificato equitativamente in 1.000.000 di euro.
Quanto al primo profilo, si rileva che la sentenza ha omesso di considerare le prestazioni professionali svolte da Pretner e non ha illustrato le ragioni della ritenuta equivalenza della tangente al danno cagionato. Si richiama, al riguardo, la sentenza della Corte dei Conti n. 111 del 2004 che ha escluso tale automatismo, e si rileva che la tesi dell’equivalenza tra l’importo della tangente e il danno patrimoniale diretto presuppone la prova della lievitazione del finanziamento nella misura pari al valore della tangente; ciò avrebbe permesso di valutare se il maggior costo rappresentato dalla tangente sia stato ripianato con la riduzione dell’utile dell’appaltatore, determinando la riduzione o il venir meno del danno per la pubblica amministrazione.
Si aggiunge, inoltre, che la Corte territoriale ha seguito la giurisprudenza contabile, secondo la quale è ammessa l’equiparazione tra tangente e danno, ma non ha tenuto conto che tale orientamento presuppone che sussista la prova rigorosa che il costo della tangente abbia causato l’aumento dei prezzi rispetto a quelli comuni di mercato o forniture di beni e servizi di qualità inferiore (si richiama la sentenza della Corte conti n. 160 del 2021).
Quanto al ritenuto danno all’immagine, si deduce la mancanza di motivazione dei criteri di quantificazione in via equitativa, quali la gravità della condotta, qualifica rivestita dall’autore del danno e il cd. clamor fori.
Sotto un profilo processuale, si rileva, inoltre, che la richiesta risarcitoria de danno all’immagine è stata formulata dalla parte civile sulla base di mere clausole di stile, mentre la giurisprudenza di questa Corte (si richiama Sez. lavoro 8/2/21 n. 2968) richiede che il danno all’immagine sia allegato e provato da chi ne domanda il risarcimento, non sussistendo in re ipsa. Si rileva, a tal fine, che il progetto RAGIONE_SOCIALE è stato regolarmente eseguito cosicché il Ministero non ha subito alcun danno.
5.Con successiva memoria COGNOME ha presentato cinque motivi aggiunti, di seguito riassunti nei limiti strettamente necessari per la motivazione, riprendendo molte delle considerazioni già svolte con gli originari motivi formulati nel ricorso, relativi alla conferma della confisca.
5.1. Violazione di legge in relazione alla confisca disposta per equivalente e in misura superiore a quanto effettivamente conseguito dall’imputato.
5.2. Omessa motivazione sull’istanza di revoca del sequestro presentata in data 7/2/2023.
5.3. Illogicità della motivazione relativa alla omessa revoca della confisca, da reputarsi per equivalente sulla base di quanto affermato a p. 168 della sentenza di primo grado nonché delle risultanze del verbale di sequestro preventivo.
5.4 Istanza di correzione dell’errore materiale contenuto nella sentenza impugnata nella parte in cui non dispone la restituzione dei beni.
5.5. Violazione del ne bis in idem in relazione all’art. 4, Prot. 7, CEDU. Si rileva, infatti, che nei confronti di COGNOME è stata disposta, con decisione divenuta irrevocabile in data 1/2/2024, la confisca di prevenzione sulla base dei medesimi fatti oggetto del presente procedimento. Tale misura ablatoria è stata disposta sul prezzo del reato di corruzione, pari a euro 2.030.000, ed ha attinto beni diversi da quelli confiscati nel presente procedimento, ovvero rapporti finanziari e beni immobili.
Pertanto, nel richiamare l’interpretazione adottata da Corte Edu nelle sentenze RAGIONE_SOCIALE c. Italia e A e B contro Norvegia, si rileva la carenza di complementarietà tra i procedimenti, in quanto volti a sanzionare il medesimo aspetto della condotta, apparendo il procedimento di prevenzione una duplicazione ingiustamente vessatoria e sproporzionata di quello penale.
Con ulteriore memoria COGNOME, considerando anche l’ipotesi che con la sentenza impugnata sia stata confermata la confisca diretta, ha eccepito l’illegittimità costituzionale degli articoli 322-ter cod. pen. e dell’art. 578-bis cod. proc. pen. per contrasto con gli articoli 27 Cost. e 6, par. 2, della CEDU, come interpretato dalla Corte Edu con la sentenza Episcopo e Bassani e. Italia, in relazione all’art. 117 comma 2 Cost., nella parte in cui prevede che “il giudice di appello o la Corte di cassazione, nel dichiarare il reato estinto per prescrizione o per amnistia, decidono sull’impugnazione ai soli effetti della confisca, previo accertamento della responsabilità dell’imputato”. Sostiene il ricorrente che l’art. 578-bis cod. proc. pen. confligge con il principio costituzionale della presunzione di innocenza in quanto l’imputato, ai fini dell’applicazione della confisca, deve essere ritenuto colpevole, nonostante l’estinzione del reato precluda ogni accertamento della sua responsabilità penale.
Con istanza datata 19/12/2024 la parte civile Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica ha chiesto il differimento dell’udienza deducendo quanto segue: i) di avere appreso della pendenza del giudizio di legittimità solo a seguito della notifica, avvenuta il 14 novembre 2024, dell’avviso di fissazione dell’udienza; li) di non avere mai ricevuto alcuna notizia né del deposito della sentenza impugnata né della proposizione dei ricorsi per cassazione da parte degli imputati; iii) che la violazione dell’art. 584 cod. proc. pen., pur non incidendo sull’ammissibilità dei ricorsi, ha gravemente pregiudicato il diritto di difesa della parte civile, impedendole di controdedurre rispetto ai motivi di ricorso, allo stato non conosciuti.
Con ordinanza emessa all’udienza del 9/1/2025 questa Corte ha rigettato l’istanza di differimento, rilevando che la giurisprudenza di legittimità sull’art. 584 cod. proc. pen. non è applicabile al ricorso per cassazione e che, in ogni caso, la parte civile aveva ricevuto regolare e tempestivo avviso della fissazione dell’udienza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Preliminarmente deve essere esaminata e rigettata l’eccezione processuale dedotta dalla difesa di COGNOME nel corso della discussione orale (eccezione di cui anche la difesa di COGNOME ha invocato l’accoglimento).
Va, infatti, considerato che l’art. 82, comma 2, cod. proc. pen. tipizza due fatti concludenti cui consegue per legge, senza possibilità di prova contraria, la revoca (tacita) della costituzione di parte civile. Si tratta della mancata presentazione delle conclusioni, a norma dell’art. 523, ovvero della promozione dell’azione davanti al giudice civile.
Rileva, tuttavia, il Collegio che il riferimento alla specifica disposizione che disciplina lo svolgimento della discussione nel corso del giudizio di primo grado (art. 523 cod. proc. pen.) costituisce un indice inequivoco della volontà del legislatore di circoscrivere la portata della mancata presentazione delle conclusioni al solo giudizio di primo grado, con esclusione, dunque, del giudizio di legittimità. Tale conclusione appare, peraltro, coerente con il principio di immanenza della parte civile nel processo penale, codificato all’art. 76, comma 2, cod. proc. pen. in forza del quale “la costituzione di parte civile produce i suoi effetti in ogni stato e grado del processo”.
Proprio in virtù di tali considerazioni, la consolidata giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che la parte civile costituita, che non partecipi al giudizio di appello personalmente e non presenti conclusioni scritte ai sensi dell’art. 523 cod. proc. pen.,
deve ritenersi comunque presente nel processo e le sue conclusioni, pur rassegnate in primo grado, restano valide in ogni stato e grado (cfr. Sez. 5, n. 24637 del 06/04/2018, COGNOME, Rv. 273338; Sez. 6, n. 25012 del 23/05/2013, COGNOME, Rv. 257032).
Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi anche con riferimento al giudizio di legittimità, dovendosi, pertanto, ribadire che la mancata comparizione in udienza della parte civile o l’omesso deposito delle conclusioni scritte nel procedimento dinanzi alla Corte di cassazione non comporta la revoca della sua costituzione (Sez. 5, n. 35096 del 2010, COGNOME, Rv. 248398).
Ragioni di ordine logico e di economia di giudizio impongono di esaminare per primo il ricorso di COGNOME, stante la maggiore ampiezza delle questioni poste in ordine a tutti i capi e punti della decisione impugnata, la cui parziale fondatezza, per le ragioni che saranno di seguito esposte, ha una valenza assorbente rispetto all’esame delle questioni poste nel ricorso presentato da COGNOME. Ciò in quanto, come sarà chiarito, in disparte le lacune della motivazione sulla responsabilità dei ricorrenti e sulla natura della confisca, l’intera decisione è affetta da un vizio di fondo che attiene all’erroneo criterio di giudizio adottato in relazione al capo concernente la dichiarazione di prescrizione del reato e al punto relativo alla confisca, errore che ha delle inevitabili ricadute anche sulla conferma delle statuizioni civili; con la conseguenza che è necessaria una complessiva rivalutazione di tutti i citati capi e punti della decisione da parte del Giudice del rinvio.
Innanzitutto, va invertito l’ordine di esame dei motivi presentati da COGNOME, partendo dalla doglianza relativa alla violazione dell’art. 129 cod. proc. pen. e alla qualificazione giuridica della condotta (quinto motivo di ricorso). Secondo la sequenza logica che si impone al giudice di appello allorché si trova a rilevare la intervenuta prescrizione del reato, tale questione ha, infatti, una valenza preliminare rispetto all’esame degli ulteriori temi concernenti la conferma delle statuizioni civili e della confisca.
Come anticipato, si tratta di un motivo fondato il cui accoglimento ha una valenza assorbente rispetto all’esame del secondo motivo dedotto da COGNOME, rendendo necessario un nuovo accertamento di fatto in sede di rinvio secondo i criteri che saranno di seguito esposti.
3.1. Osserva, in primo luogo, il Collegio che, come recentemente ribadito dalle Sezioni Unite, nel giudizio di appello avverso la sentenza di condanna dell’imputato
anche al risarcimento dei danni, il giudice, intervenuta nelle more l’estinzione del reato per prescrizione, non può limitarsi a prendere atto della causa estintiva, adottando le conseguenti statuizioni civili fondate sui criteri di giudizio enunciati dalla sentenza della Corte costituzionale n. 182 del 2021, ma è comunque tenuto, stante la presenza della parte civile, a valutare, anche a fronte di prove insufficienti o contraddittorie, l’eventuale sussistenza dei presupposti per l’assoluzione nel merito (Sez. U, n. 36208 del 28/03/2024, Calpitano, Rv. 286880).
Come già precedentemente affermato da Sez. U, 35490 del 28/05/2009, COGNOME, Rv. 244275-244274, il Supremo Consesso ha ribadito che, ove maturi la causa estintiva nel giudizio di appello, in assenza di una rinuncia alla prescrizione, la presenza della parte civile apre ad una cognizione piena sull’accusa penale, consentendo il proscioglimento nel merito dell’imputato secondo il canone di giudizio dettato dall’art. 530, commi 1 e 2 cod. proc. pen.
Si è, infatti, affermato che, divenendo in tal caso recessiva l’esigenza di speditezza del processo, «è logico che riemerga l’imperativo di assolvere l’imputato non solo a fronte dell’evidenza dell’innocenza, come espressamente previsto dall’art. 129, comma 2, cod. proc. pen., ma anche nel caso in cui, pur essendovi alcuni elementi probatori a carico, essi siano inidonei a fondare una dichiarazione di responsabilità penale secondo la regola di giudizio di cui al secondo comma dell’art. 530 del codice di rito».
Tale soluzione ermeneutica è stata confermata dalle Sezioni Unite con la citata sentenza “Calpitano” anche in relazione all’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 578 cod. proc. pen. operata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 182 del 2021. Il Supremo Consesso, infatti, ha puntualizzato che, trattandosi di una sentenza interpretativa di rigetto, essa pone un vincolo negativo di interpretazione, impedendo che, una volta esaurita la vicenda penale con la declaratoria di prescrizione del reato, l’accertamento della responsabilità civile da parte del giudice penale possa comportare, sia pure incidenter tantum, una affermazione di responsabilità penale dell’imputato in violazione del principio della presunzione di innocenza.
In altre parole, si è chiarito che mentre il principio affermato dalle Sezioni Unite con la sentenza “COGNOME” investe il rapporto tra prescrizione del reato e proscioglimento nel merito dell’imputato ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen., allorché sia presente in giudizio la parte civile, l’esegesi dell’art. 578 cod. proc. pen. offert dalla Corte costituzionale attiene alla decisione, successiva alla dichiarazione della prescrizione del reato, sull’impugnazione ai soli effetti civili, decisione da adottare
secondo la regola processual-civilistica del “più probabile che non” ex artt. 2043, 2054 e 2059 cod. civ.
3.2. Seguendo tale impostazione, va rilevato come la sentenza impugnata si presenti gravemente deficitaria sia in merito al canone di giudizio adottato che alla motivazione posta a fondamento della dichiarata prescrizione del reato.
Quanto al primo profilo, infatti, la Corte territoriale, omettendo di considerare la maggiore ampiezza della sua cognizione agli effetti penali, conseguente alla presenza in giudizio della parte civile, si è limitata ad affermare – in termini, peraltr meramente apodittici – che né dalla sentenza impugnata né dai motivi di appello, emerge con evidenza la prova dell’innocenza degli imputati.
Nulla, dunque, è detto sulla idoneità degli elementi agli atti a fondare un giudizio di responsabilità dei ricorrenti.
3.3. Ma, ancor di più, nella sentenza impugnata non vi è alcuna risposta alle doglianze relative alla configurabilità del reato e, soprattutto, alla qualificazione giuridica della condotta.
Solo nella parte della motivazione relativa al rigetto della eccezione di indeterminatezza del capo di imputazione si afferma che, nel caso di specie, vi sarebbe stata una “vendita” della discrezionalità amministrativa accordata a Clini con riferimento alla erogazione del finanziamento, avvenuta non sulla base di una imparziale comparazione degli interessi in gioco, ma della prospettazione di un indebito compenso.
Ebbene, in disparte ogni considerazione sul carattere meramente assertivo di tale argomento, rileva il Collegio che siffatta affermazione, per la sua genericità e la mancanza di precisi riferimenti agli elementi acquisiti nella corposa attività istruttoria svolta nel giudizio di primo grado, non consente di ravvisare alcuna risposta alle obiezioni difensive in merito alla prospettata assenza di discrezionalità delle determinazioni assunte da COGNOME e alla loro non contrarietà ai doveri di ufficio.
Si tratta di questioni la cui soluzione ha una portata decisiva non solo sulla qualificazione giuridica del fatto, ma anche sulla possibilità, espressamente prospettata dalla difesa dei ricorrenti, di riconoscere la intervenuta prescrizione già nel corso del giudizio di primo grado, con evidenti inevitabili ricadute anche sulle statuizioni civili. Ciò senza trascurare che la questione relativa alla qualificazione giuridica del fatto è stata oggetto di una diversa valutazione nel passaggio dalla fase delle indagini preliminari, nel corso della quale fu contestato il reato di peculato (in ragione della permanente natura pubblica del denaro erogato con il finanziamento),
a quella del giudizio immediato in cui, con l’emissione del decreto di giudizio immediato, si è qualificato il fatto ai sensi degli artt. 319 e 321 cod. pen.
A fronte delle specifiche doglianze al riguardo formulate dalla difesa, la Corte territoriale, in virtù della pienezza della cognizione agli effetti penali devolutale avrebbe dovuto esaminare la questione relativa alla sussistenza o meno di una discrezionalità nell’emissione dei decreti da parte di Clini: tenendo, peraltro, presente che, secondo l’indirizzo oggi maggioritario nella giurisprudenza di legittimità, dal quale il Collegio non ha ragione di discostarsi, la mera accettazione da parte del pubblico agente di un’indebita utilità a fronte del compimento di un atto discrezionale non integra necessariamente il reato di corruzione propria, dovendosi verificare, in concreto, se l’esercizio dell’attività sia stato condizionato dalla “presa in carico” dell’interesse del privato corruttore, comportando una violazione delle norme attinenti a modi, contenuti o tempi dei provvedimenti da assumere e delle decisioni da adottare; ovvero se l’interesse perseguito sia ugualmente sussumibile nell’interesse pubblico tipizzato dalla norma attributiva del potere, nel qual caso la condotta integra il meno grave reato di corruzione per l’esercizio della funzione (Sez. 6, n. 15641 del 19/10/2023, dep. 2024, Virga Rv. 286376 – 07; Sez. 6, n. 44142 del 24/05/2023, COGNOME, Rv. 285366 – 02; Sez. 6, n. 1594 del 10/11/2020, dep. 2021, Siclari, Rv. 280342 – 01).
Ai fini della qualificazione della condotta non è, dunque, sufficiente, come sembra affermare la Corte territoriale, il laconico riferimento alla natura discrezionale dell’atto compiuto dal pubblico ufficiale, ma occorre verificare se il suo mercimonio abbia influito sulla realizzazione dell’interesse pubblico; e se il “meccanismo” attuato dagli agenti, invece che integrare gli estremi esecutivi di un mero patto corruttivo, non abbia realizzato gli elementi costitutivi di un peculato appropriativo.
Strettamente correlata al tema della qualificazione giuridica della condotta è l’ulteriore questione oggetto del sesto motivo dedotto da NOME COGNOME in merito alla non contestabilità della circostanza aggravante della transnazionalità ed alla sua configurabilità.
Va, infatti, considerato che, qualora si qualificasse il fatto ai sensi dell’art. 318 cod. pen., la cornice edittale prevista da tale norma all’epoca dei fatti (da sei mesi a tre anni di reclusione), avrebbe una valenza preclusiva rispetto alla contestazione dell’aggravante, con evidenti ricadute anche sulla individuazione della data di scadenza del termine di prescrizione del reato.
4.1. Anche a prescindere dal tema della qualificazione giuridica del fatto, le doglianze formulate dal ricorrente in merito alle carenze della motivazione sulla sussistenza degli elementi costitutivi dell’aggravante in esame appaiono, comunque, fondate ed il loro accoglimento esplica una valenza assorbente rispetto all’esame delle doglianze articolate da COGNOME con il primo motivo del suo ricorso, trattandosi di censure che hanno come presupposto la sussistenza dell’aggravante ed investono il profilo della sua imputabilità al ricorrente.
4.2. Al riguardo va rammentato che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, ai fini della configurabilità dell’aggravante della transnazionalità, prevista dall’art. 61-bis cod. pen., è necessario che alla consumazione del reato transnazionale contribuisca consapevolmente un gruppo criminale organizzato, che sussiste in presenza della stabilità dei rapporti fra gli adepti, di un’organizzazione seppur minimale, della non occasionalità o estemporaneità della stessa e della finalizzazione alla realizzazione anche di un solo reato e al conseguimento di un vantaggio finanziario o comunque materiale (Sez. U, n. 18374 del 31/01/2013, COGNOME, Rv. 255034; Sez. 4, n. 3398 del 14/12/2023, dep. 2024, Rv. 285702 – 02).
Come chiarito dalle Sezioni Unite, infatti, il gruppo criminale organizzato, cui fanno riferimento gli artt. 3 e 4 della I. n. 146 del 2006, è certamente un quid pluris rispetto al mero concorso di persone, ma si diversifica anche dall’associazione a delinquere di cui all’art. 416 cod. pen. che richiede un’articolata organizzazione strutturale, seppure in forma minima od elementare, tendenzialmente stabile e permanente, una precisa ripartizione di ruoli e la pianificazione di una serie indeterminata di reati.
A tal fine è irrilevante che all’imputato, la cui posizione è in valutazione, sia stata contestata ovvero ritenuta la partecipazione ad un siffatto sodalizio criminale, in quanto la circostanza in esame, ha natura oggettiva ed è estensibile ai concorrenti nel reato sulla base degli ordinari criteri di valutazione previsti dall’art. 59, comma secondo, cod. pen., ovvero se conosciuta, ignorata per colpa o ritenuta inesistente per errore determinato da colpa (Sez. 2, n. 27379 del 08/02/2023, COGNOME, Rv. 284853; Sez. 2, n. 5241 del 15/10/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280645 – 02).
4.3. La sentenza impugnata con una motivazione estremamente sintetica, non ha fatto buon governo di tale consolidata regula iuris, e, sovrapponendo erroneamente alla nozione di “gruppo criminale organizzato”, come definito dalla giurisprudenza sopra richiamata, quella di concorso di persone nel reato, ha respinto le censure difensive e ravvisato la circostanza in esame sul solo presupposto, ripreso dalla sentenza di primo grado, relativo all’apporto di «soggetti e società veicolo
all’uopo predisposti» che avevano consentito alla ONG RAGIONE_SOCIALE di far transitare la provvista nelle casse di Azzam e di Clini.
Si è, dunque, ritenuto sufficiente tale rapporto di mera strumentalità rispetto alla consumazione della condotta criminosa con il “ritrasferimento” a COGNOME e, per suo tramite, a COGNOME, di parte del finanziamento erogato dallo Stato italiano per ravvisare la sussistenza di un gruppo criminale organizzato: omettendo completamente di valutare se dette società o soggetti “veicolo” avessero presentato gli elementi costitutivi – relazionali, organizzativi e funzionali – e una sfera operatività a livello internazionale che, secondo quanto affermato dalle Sezioni Unite nella innanzi richiamata sentenza “COGNOME“, consentono di superare la soglia del mero concorso di persone nel reato.
4.4. Va, infine, precisato che la questione relativa alla configurabilità o meno dell’aggravante in questione non ha una valenza meramente teorica in quanto, quand’anche si mantenesse ferma la qualificazione giuridica della condotta contestata agli imputati ai sensi degli artt. 319 e 321 cod. pen., la sua eventuale esclusione potrebbe avere riflessi sulla diversa individuazione del termine di prescrizione.
Il settimo motivo di ricorso del COGNOME è, invece, inammissibile in quanto generico e meramente confutativo, essendosi il ricorrente limitato ad insistere sulla già dedotta indeterminatezza della contestazione suppletiva della circostanza aggravante, senza, tuttavia, evidenziare alcun vizio di legittimità della motivazione.
Seguendo la sequenza logica indicata nel punto 3 – benché l’esame della questione relativa alla conferma o meno delle statuizioni civili, censurata con l’ottavo motivo di ricorso, debba ritenersi assorbito nella riconosciuta fondatezza del quinto motivo – ad avviso del Collegio è, comunque, necessario correggere un errore di diritto in cui è incorsa la Corte territoriale allorché ha valorizzato, ai fini de valutazione dell’an debeatur, la sentenza di patteggiamento emessa nei confronti di Azzam: violando, così, il divieto espressamente previsto dall’art. 445, comma 1-bis, cod. proc. pen., che, anche nel testo precedente la riforma introdotta dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, esclude l’efficacia nei giudizi civili di tale sentenza, quand’anche pronunciata all’esito del dibattimento.
Altro profilo di illegittimità della decisione impugnata, di cui il Giudice del rinvio dovrà tenere conto in caso di eventuale conferma delle statuizioni civili, attiene alla mancanza di una motivazione relativa al quantum debetaur e, in particolare, alle sue
due componenti del danno patrimoniale e del danno all’immagine. La Corte territoriale, infatti, si è limitata ad affermare, senza alcuna valutazione delle deduzioni difensive anche in ordine alle ragioni della ritenuta equivalenza tra danno patrimoniale e tangente, che il danno liquidato è pari alla somma tra l’importo del finanziamento pubblico sottratto alla sua destinazione e del danno all’immagine, liquidato equitativamente in euro 1.000.000.
Tale ultimo importo è stato determinato senza alcuna adeguata motivazione in ordine agli elementi valorizzati e al parametro quantitativo adottato (cfr. Sez. 1 civ., n. 20871 del 26/7/2024, Rv. 672085), non potendosi ritenere tale il tautologico riferimento al pregiudizio all’immagine e al prestigio internazionale dello Stato italiano. Va, a tale ultimo riguardo, precisato che la liquidazione equitativa, anche nella sua forma cd. “pura”, consiste in un giudizio di prudente contemperamento dei vari fattori di probabile incidenza sul danno nel caso concreto, sicché, pur nell’esercizio di un potere di carattere discrezionale, il giudice è chiamato a dare conto, in motivazione, del peso specifico attribuito ad ognuno di essi, in modo da rendere evidente il percorso logico seguito nella propria determinazione e consentire il sindacato del rispetto dei principi del danno effettivo e dell’integralità de risarcimento. Ne consegue che, allorché non siano indicate le ragioni dell’operato apprezzamento e non siano richiamati gli specifici criteri utilizzati nella liquidazione, la sentenza incorre sia nel vizio di nullità per difetto di motivazione (indebitamente ridotta al disotto del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost.) sia nel vizio di violazione dell’art. 1226 cod. civ. (Sez. 6 civ., n. 18795 del 02/07/2021, Rv. 661913; Sez. 3 civ., n. 22272 del 13/09/2018, Rv. 650596).
Venendo, infine, alle plurime doglianze concernenti la confisca formulate nel ricorso di Pretner Calore, da esaminare congiuntamente stante la loro evidente correlazione logica, va detto che sono fondati il primo, secondo e quarto motivo, avuto riguardo sia all’incerta motivazione sulla natura della misura ablatoria, se diretta o per equivalente, sia al criterio di giudizio adottato dalla Corte territoriale a fini della conferma della medesima misura. Il terzo motivo del ricorso è, invece, parzialmente fondato, limitatamente al tema della solidarietà passiva tra coimputati, mentre è inammissibile nel resto per le ragioni che saranno di seguito esposte.
8.1. In tema va ricordato che, come chiarito dalle Sezioni Unite, la disposizione di cui all’art. 578-bis cod. proc. pen., introdotta dall’art. 6, comma 4, d.lgs. 1 marzo 2018, n. 21, ha, con riguardo alla confisca per equivalente e alle forme di confisca che presentino, comunque, una componente sanzionatoria, natura anche sostanziale
e, pertanto, la norma è inapplicabile in relazione ai fatti posti in essere prima della sua entrata in vigore (Sez. U, n. 4145 del 29/09/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284209).
La Corte territoriale, investita della questione relativa alla natura della confisca proprio in ragione della inapplicabilità della confisca per equivalente alla fattispecie in esame, con una motivazione meramente assertiva, ha sostenuto che la confisca disposta ai sensi dell’art. 322-ter cod. pen. dalla sentenza di primo grado deve essere qualificata come confisca diretta, avente ad oggetto il prezzo della corruzione, e, pertanto – in applicazione del principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite con la sentenza “COGNOME” (n. 31617 del 26/06/2015, Rv. 264435) – ha confermato la misura ablatoria.
Tale passaggio motivazionale è solo formalmente corretto, ma risulta, in realtà, viziato dal momento che i Giudici di secondo grado hanno omesso di rispondere alle specifiche doglianze sulla concreta individuazione dei beni che sono attinti dalla confisca, non essendo stato in alcun modo chiarito se la misura ablatoria è stata disposta in relazione al solo denaro percepito dagli imputati o ai beni di valore equivalente precedentemente sequestrati: elemento fattuale, questo, che inevitabilmente incide sulla effettiva qualificazione della confisca.
Tale carenza motivazionale non può considerarsi superabile con il richiamo all’apparato argomentativo della sentenza di primo grado, in quanto anche questa è connotata da profili di incertezza: là dove, da un lato, fa riferimento al fatto che il denaro oggetto di confisca rappresenta il prezzo del reato e, dall’altro, richiama il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite “Caruso” del 2009 in forza del quale, in tema di peculato, il sequestro preventivo, funzionale alla confisca “per equivalente” disciplinata dall’art. 322-ter, comma primo, cod. pen., può essere disposto, in base al testuale tenore della norma, soltanto per il prezzo e non anche per il profitto del reato.
Tale ambiguità sulla natura della confisca, se diretta o per equivalente, risulta ancora più evidente se si considera che, come sottolineato dal difensore di NOME COGNOME nel corso della discussione orale, nel presente procedimento non sembrerebbe che il sequestro preventivo abbia avuto ad oggetto denaro, ma solo beni di altra natura. Circostanza, questa, che sembrerebbe riscontrata dal contenuto del decreto di sequestro preventivo agli atti, da cui risulta che la misura cautelare reale è stata disposta sui beni mobili ed immobili dei due imputati “fino alla concorrenza” delle somme percepite da ciascuno (1.020.000 per Clini e 2.030.000 per Pretner Calore);
nonché dal fatto che nessuna delle sentenze di merito ha disposto la restituzione dei beni oggetto di sequestro preventivo.
8.2. Va, inoltre, considerato che, quand’anche risultasse che la confisca abbia effettivamente avuto ad oggetto solo ed esclusivamente il denaro e non altri beni che, qualora ancora in sequestro dovrebbero essere restituiti – secondo la recente pronuncia delle Sezioni Unite “COGNOME” del 26/09/2025, di cui si conosce solo la notizia di decisione, la natura fungibile del denaro non comporta automaticamente la natura diretta della confisca, in quanto la confisca di somme di denaro ha natura diretta soltanto in presenza della prova della derivazione causale del bene rispetto al reato, non potendosi far discendere detta qualifica dalla mera natura del bene.
Si tratta, dunque, di un principio che appare superare il diverso e consolidato orientamento di questa Corte, secondo il quale, invece, la confisca del denaro costituente profitto o prezzo del reato, comunque rinvenuto nel patrimonio dell’autore della condotta, e che rappresenti l’effettivo accrescimento patrimoniale monetario conseguito, va sempre qualificata come diretta, e non per equivalente, in considerazione della natura fungibile del bene, con la conseguenza che non è ostativa alla sua adozione l’allegazione o la prova dell’origine lecita della specifica somma di denaro oggetto di apprensione (Sez. U, n. 42415 del 27/05/2021, C. Rv. 282037; Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, COGNOME, Rv. 264437).
Anche di tale innovativo profilo la Corte di appello dovrà tenere conto nel giudizio di rinvio.
8.3. Altro tema sul quale la Corte territoriale non ha ritenuto di spendere alcuna riflessione attiene alla questione del rapporto di solidarietà o meno tra i coimputati, in ordine alla quale la sentenza di primo grado aveva riservato ogni determinazione alla fase esecutiva. Si tratta, invece, di una questione oggetto di un contrasto giurisprudenziale che è stato risolto dalle Sezioni Unite con la innanzi richiamata sentenza “COGNOME” attraverso una perimetrazione del principio di solidarietà passiva tra i concorrenti nel reato, stabilendo – secondo quanto risulta dall’informazione provvisoria – che in caso di concorso di persone nel reato, esclusa ogni forma di solidarietà passiva, la confisca è disposta nei confronti del singolo concorrente limitatamente a quanto dal medesimo concretamente conseguito e il relativo accertamento è oggetto di prova nel contraddittorio fra le parti; e che, solo in caso di mancata individuazione della quota di arricchimento del singolo concorrente, soccorre il criterio della ripartizione in parti uguali.
8.4. La medesima carenza della motivazione si riscontra anche in relazione al criterio di giudizio adottato ai fini della conferma della confisca, disposta dalla Corte
territoriale nei medesimi termini meramente assertivi che connotano la trama argomentativa dell’intera decisione impugnata, senza alcuna valutazione delle deduzioni difensive né una adeguata motivazione in ordine alla responsabilità degli imputati, non potendosi ritenere tale la parafrasi dell’imputazione adottata né il generico rinvio al contenuto della sentenza di primo grado.
Ciò in violazione dell’art. 578-bis cod. proc. pen. che impone al giudice dell’impugnazione che dichiara l’estinzione del reato per prescrizione (o per amnistia) di accertare, con pieno apprezzamento del merito della regiudicanda, la sussistenza degli elementi oggettivi e soggettivi del reato (così, tra le tante, Sez. 3, n. 9456 del 19/01/2024, COGNOME, Rv. 286025 – 01).
8.5. L’accoglimento dei considerati motivi del ricorso del Pretner COGNOME in ordine alle statuizioni relative alla confisca, di natura non esclusivamente personali, produce i suoi effetti in forma estensiva anche in favore del coimputato COGNOME.
Sono, invece, inammissibili le ulteriori doglianze, formulate nel terzo motivo di ricorso del Pretner Calore in quanto versate in fatto e di contenuto meramente confutativo.
Il ricorrente, infatti, si limita a prospettare, sulla base di argomenti congetturali e, comunque, esclusivamente di merito, una diversa qualificazione del denaro percepito quale profitto di non ben specificati reati tributari.
Invero, secondo l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità, il prodotto del reato rappresenta il risultato empirico, ovvero le cose trasformate, adulterate o acquisite mediante il reato (Sez. F, n. 44315 del 12/9/2013, COGNOME, Rv. 258636); il profitto, a sua volta, è costituito dal vantaggio economico derivante in via immediata e diretta dalla commissione dell’illecito (Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, COGNOME, Rv. 264436); il prezzo rappresenta, infine, il compenso dato o promesso per indurre, istigare o determinare un altro soggetto a commettere il reato (Sez. U, n. 9149 del 03/07/1996, COGNOME, Rv. 205707).
Sulla base di tale premessa, rileva il Collegio che, qualunque sia la qualificazione della corruzione, la somma percepita dal pubblico ufficiale costituisce prezzo del reato e tale qualifica non muta nel caso in cui una parte del “corrispettivo” ricevuto venga divisa con il concorrente extraneus.
Le istanze di correzione dell’errore materiale omissivo, relativo alla mancata restituzione dei beni non confiscati, dedotte da COGNOME con il motivo aggiunto e da COGNOME con il quarto motivo aggiunto, devono ritenersi assorbite nell’accoglimento
dei motivi relativi alla natura della confisca, in quanto gli elementi incerti emergenti dalle sentenze di merito non consentono a questa Corte di valutare quali beni siano ancora in sequestro e se si tratti o meno degli stessi beni confiscati: si tratta, dunque, di questione – inerente alla restituzione di beni eventualmente non confiscati – che dovrà essere valutata dal Giudice in sede di rinvio.
Per le stesse ragioni indicate nel precedente punto, nel riconoscimento della fondatezza di motivi principali deve ritenersi assorbito l’esame delle ulteriori questioni dedotte da COGNOME con i primi tre motivi aggiunti, riguardanti la quantificazione della confisca, ritenuta dal ricorrente per equivalente, e la revoca del sequestro.
È, invece, infondato il quinto motivo aggiunto del ricorso di Pretner Calore.
Il ricorrente, infatti, invoca erroneamente la giurisprudenza della Corte EDU sul tema del doppio binario sanzionatorio, muovendo dal presupposto, infondato, che la confisca di prevenzione e quella disposta a suo carico nel presente procedimento abbiano natura sanzionatoria.
Si è già innanzi chiarito come, nel caso di specie, sia possibile solo la conferma della confisca diretta, misura di sicurezza patrimoniale che, a differenza della confisca per equivalente, è priva di natura sanzionatoria, come recentemente riconosciuto dalla Corte EDU con la sentenza del 19 dicembre 2024, RAGIONE_SOCIALE
Quanto alla confisca di prevenzione disposta a carico di COGNOME, rileva il Collegio che si tratta di una misura di prevenzione patrimoniale priva di contenuto sanzionatorio, ma di natura sostanzialmente ripristinatoria, come è stato recentemente confermato dalla Corte EDU con la sentenza del 21 gennaio 2025, COGNOME e altri c. Italia, che ha ritenuto tale misura non punitiva, ove non attinga il prodotto del reato (situazione, questa, non ravvisabile nel caso di specie) e, pertanto, non rientrante nella sfera di tutela assicurata dall’art. 7 CEDU.
13. La questione di legittimità costituzionale, posta, peraltro, da COGNOME in termini assai generici, è irrilevante sia se riferita alla confisca per equivalente che, in base a quanto affermato al punto 8.1., non è applicabile ratione temporis al caso di specie, sia se riferita alla confisca diretta, trattandosi di un punto della decisione rimesso a nuovo giudizio in sede di rinvio.
14. Alla luce delle considerazioni sopra esposte, va disposto l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Roma che, nel nuovo giudizio, nel rispetto dei principi di diritto sopra enunciati, dovrà colmare le riconosciute lacune motivazionali, dando adeguata risposta alle specifiche allegazioni difensive, sui seguenti capi e punti: a) qualificazione giuridica della condotta contestata; b) possibilità di contestazione della circostanza aggravante di cui all’art. 61-bis cod. pen. e, in caso positivo, sussistenza dei suoi elementi costitutivi; c) individuazione del termine di prescrizione; d) sussistenza di elementi per pervenire ad un proscioglimento nel merito degli imputati, anche ai sensi dell’art. 530, comma 2, cod. proc. pen; e) nel caso in cui si pervenga ad una dichiarazione di estinzione per prescrizione del reato, ove questa sia maturata successivamente alla sentenza di primo grado, il Giudice del rinvio valuterà, secondo il criterio di giudizio del “più probabile che non” se confermare o meno le statuizioni civili disposte con la sentenza di primo grado, previa adeguata motivazione, alla luce delle deduzioni difensive, in merito al quantum liquidato a titolo di risarcimento dei danni; e1) alle medesime condizioni di cui al punto e), il Giudice del rinvio provvederà, previa individuazione dei beni eventualmente in sequestro e secondo il criterio di giudizio indicato dall’art. 578-bis cod. pen., in merito alla confisca diretta del denaro, previa adeguata motivazione, strettamente conseguenziale alla qualificazione giuridica del fatto, sulla sua natura di prezzo o di profitto del reato, sulla sua derivazione causale dal reato e sulla quota da porre eventualmente a carico di ciascun imputato in proporzione alla quantificazione, ove possibile, della rispettiva quota di arricchimento dal reato.
Quanto alla individuazione del Giudice del rinvio, ad avviso del Collegio, nel caso di specie non trova applicazione l’art. 622 cod. proc. pen., in quanto l’annullamento pronunciato non riguarda solamente le disposizioni o i capi concernenti l’azione civile, essendo stata cassata la decisione gravata anche agli effetti penali, con riferimento alla sussistenza degli elementi per escludere un proscioglimento nel merito, anche ai sensi dell’art. 530, comma 2, cod. proc. pen., dei due imputati; nonché al tema della configurabilità dell’aggravante ad effetto speciale, la cui esclusione, come già detto, potrebbe avere significative ricadute sul termine di prescrizione del reato e sulla individuazione del segmento processuale in cui la stessa è maturata, aspetto, questo, rilevante ai fini della valutazione delle censure sulle statuizioni civilistiche.
Va, pertanto, data continuità all’indirizzo ermeneutico secondo il quale, in tema di giudizio per cassazione, il rinvio al giudice civile, ai sensi dell’art. 622 cod. proc pen., non può essere disposto qualora l’annullamento delle disposizioni o dei capi
della sentenza impugnata concernenti l’azione civile dipenda dalla fondatezza del ricorso dell’imputato agli effetti penali (Sez. 3, n. 15216 del 24/01/2022, Sparta, Rv. 283229; Sez. 6, n. 31921 del 06/06/2019, COGNOME, Rv. 277285). Non apparendo, nella fattispecie, conferente il diverso indirizzo ermeneutico – secondo cui, laddove il giudice dell’appello, nel dichiarare non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato, abbia omesso di motivare sulla responsabilità dell’imputato ai fini della conferma delle statuizioni civili, l’annullamento va disposto a norma dell’art. 622 cod. proc. pen. (Sez. 5, n. 28848 del 21/9/2020, COGNOME, Rv. 279599; Sez. 5, n. 26217 del 23/7/2020, Rv. 279598-02) – perché tale orientamento si è formato con riferimento a situazioni processuali diverse da quella oggetto del presente processo, nel quale, come si è visto, le decisioni su quelle statuizioni accessorie sono condizionate dall’esito definitorio di altre questioni pregiudiziali di natura più strettamente penalistica.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Roma.
Così deciso il 9 gennaio 2025
SEZIONE VI PENALE