Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 6584 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 6584 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME COGNOME nata a Catanzaro il 14/06/1964
avverso l’ordinanza del 11/07/2024 del G.i.p. del Tribunale di Catanzaro visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
letta la requisitoria redatta dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;
letta la memoria del difensore, avv. NOME COGNOME del foro di Catanzaro, che insiste per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnata ordinanza, decidendo quale giudice dell’esecuzione all’esito del procedimento camerale instaurato a seguito di opposizione ex art. 667, comma 4, cod. proc. pen., il G.i.p. del Tribunale di Catanzaro ha respinto la richiesta, avanzata nell’interesse di NOME COGNOME, di revoca della confisca di un impianto di prodotti petroliferi, disposta, ai sensi dell’art. 44 d.lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, con decreto di archiviazione emesso per prescrizione del reato nei confronti di NOME COGNOME, marito della ricorrente, già indagato per il reato di cui all’art. 40, comma 1, lett. c), dello stesso testo unico.
Avverso l’indicato provvedimento, NOME COGNOME quale terzo interessato, per il tramite del difensore di fiducia nonché procuratore speciale, propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
2.1. Con un primo motivo, deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 40, 44 d.lgs. n. 504 del 1995, 240, comma 2, n. 2, e 4, cod. pen., 301 d.P.R. n. 43 del 1973, 666, 667, 191 e 192 cod. proc. pen. Dopo aver ampiamente ricapitolato la vicenda processuale, premette il difensore che l’impianto confiscato è stato realizzato nel 1970 da NOME COGNOME, defunto padre dei germani NOME e NOME COGNOME, su un terreno di sua proprietà; ad avviso del difensore, il bene strumentale realizzato dal privato è quindi stato acquisito a titolo originario alla proprietà del fondo ai sensi dell’art. 934 cod. civ. Ciò posto, secondo la prospettazione difensiva, la confisca, da qualificarsi come sanzione penale, è stata disposta in assenza di accertamento di merito sulla sussistenza oggettiva e soggettiva del reato, a causa del mancato esercizio dell’azione penale; il g.i.p. non avrebbe tenuto adeguatamente conto dell’evoluzione normativa e giurisprudenziale in materia di confisca obbligatoria, violando il diritto della difesa di “difendersi provando” e i principi di legalità e di presunzione di innocenza, sanciti dalla Costituzione e dalla fonti sovranazionali, tanto più che il materiale indiziario posto a fondamento del provvedimento ablativo è stato raccolto unilateralmente dagli inquirenti, senza che l’incolpato abbia avuto la possibilità di esaminare i testimoni a carico e di citare quelli a discarico, né di rinunciare alla prescrizione, in violazione di quanto recentemente affermato sia dalla Corte costituzionale – si indica la sentenza n. 41 del 2024 -, sia dalla Sezioni Unite della Corte di Cassazione, secondo cui la confisca di cui all’art. 44, comma 2, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, può essere disposta anche in presenza di una causa estintiva del reato determinata dalla prescrizione, purché la sussistenza del fatto sia stata già accertata, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, nell’ambito di un giudizio che abbia assicurato il
pieno contraddittorio e la più ampia partecipazione degli interessati, fermo restando che, una volta intervenuta detta causa, il giudizio, in applicazione dell’art. 129, comma 1, cod. proc. pen., non può proseguire al solo fine di compiere il predetto accertamento (Sez. U, n. 13539 del 30/01/2020, Perroni, Rv. 278870), e considerando, infine, che il g.i.p. ha rigettato tutte le richieste istruttorie che erano state formulate ai sensi dell’art. 666, comma 5, cod. proc. pen.
2.2. Con un secondo motivo, lamenta la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 240, comma 2, n. 2, e 4, cod. pen., 301 d.P.R. n. 43 del 1973, 666, comma 5, cod. proc. pen. e 125 cod. proc. pen. Rappresenta il difensore che il bene immobile confiscato è confluito, sin dal 2008, nel fondo patrimoniale istituito per i bisogni della famiglia e di cui è parte la ricorrente. Orbene, la motivazione, laddove ha escluso la legittimazione attiva della ricorrente perché l’impianto non sarebbe mai appartenuto all’indagato NOME COGNOME, ma alla società fallita RAGIONE_SOCIALE, sarebbe illogica, perché si pone in contrasto con il provvedimento genetico di confisca, emesso nei confronti di NOME COGNOME in quanto proprietario, anche considerando che la penale responsabilità del COGNOME è stata posta a fondamento della confisca, mentre nessun addebito è stato mosso alla società. La motivazione, inoltre, sarebbe illogica laddove ha escluso la buona fede della ricorrente, posto che la prima iscrizione nel registro degli indagati del Boccuto è del 2009, mentre il fondo patrimoniale è stato costituito il 31 luglio 2008; sul punto, il giudice ha travisato il fatto storico che ha consentito agli indagati di venire a conoscenza dell’indagine, di cui l’indagato principale ebbe contezza solo nel 2011 in occasione della notifica del decreto di perquisizione e sequestro. Infine, ad avviso del difensore, il giudice ha disatteso, con motivazione apodittica, e quindi viziata, tutte le richieste probatorie avanzate dalla difesa, le quali, ove fossero state assunte, avrebbero dimostrato la buona fede della ricorrente. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
In ogni caso, la ricorrente chiede, in via preliminare, di sollevare questione di legittimità costituzionale degli artt. 40 e 44 d.lgs. n. 504 del 1995, in combinato disposto con l’art. 301 d.P.R. n. 43 del 1973, nella parte in cui si prevede l’obbligatorietà della confisca di un bene illecito anche in assenza dell’esercizio dell’azione penale, per contrasto con gli artt. 3, 24, 27, 41, 111, 117 Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6 CEDU.
In via subordinata, si chiede che sia sottoposta al vaglio delle Sezioni Unite la questione in merito alla possibilità di disporre la confisca ex artt. 40 e 44 d.lgs. n. 504 del 1995 contestualmente al provvedimento di archiviazione, ovvero
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Va premesso che, con sentenza n. 18294 emessa da questa Terza Sezione il 4 marzo 2020 – la cui analitica e approfondita motivazione è ampiamente riportata nel corpo del provvedimento impugnato -, è stato dichiarato inammissibile il ricorso proposto da NOME COGNOME allegando di essere proprietario dell’impianto confiscato, avverso il provvedimento emesso il 31 ottobre 2019 dal G.i.p. del Tribunale di Catanzaro, nella veste di giudice dell’esecuzione, che aveva rigettato la richiesta di revoca della confisca di un impianto di prodotti petroliferi, sottoposto a sequestro preventivo nell’ambito di un procedimento relativo al reato di cui all’art. 40, comma 1, lett. c), d.lgs. 26 ottobre 1995, n. 504 e confiscato, ex art. 44 dello stesso testo unico, con decreto di archiviazione del procedimento emesso per prescrizione del reato.
Ciò posto, nell’illustrare le sue tesi, la ricorrente non si confronta puntualmente con le rationes decidendi del provvedimento impugnato, con particolare riferimento alla ritenuta carenza di legittimazione a richiedere la restituzione dei beni fatti oggetto di confisca, che, come emerge dal provvedimento di archiviazione (cfr. p. 1), erano “di proprietà della società dei fratelli COGNOME“, circostanza, del resto, che trova conferma nei provvedimenti emessi da questa Sezione in ambito cautelare; si vedano, in particolare, le sentenze n. 16785 del 2012, cha ha rigettato il ricorso proposto da NOME COGNOME avverso l’ordinanza con cui il Tribunale per il riesame di Catanzaro ha confermato il decreto di sequestro preventivo del 17 febbraio 2012 emesso dal G.i.p. dello stesso Tribunale relativamente all’impianto di prodotti petroliferi della “RAGIONE_SOCIALE” e degli automezzi utilizzati nell’attività di vendita, nonché la sentenza n. 41274 del 2018, in cui si legge che “il sig. NOME COGNOME ricorre per l’annullamento dell’ordinanza del 12 ottobre 2017 del Tribunale di Catanzaro che ha rigettato l’appello avverso il provvedimento dell’Il aprile 2017 del G.i.p. di quel medesimo Tribunale che aveva respinto l’istanza di revoca del sequestro dell’impianto petrolifero della società RAGIONE_SOCIALE di cui è legal rappresentante, disposto a fini preventivi per la ritenuta sussistenza indiziaria del reato di cui all’art. 40, comma 1, lett. c), d.lgs. n. 504 del 1995″.
Orbene, a fronte di tale chiaro elemento, ossia che nell’ambito di tutto il procedimento – dalla fase cautelare siano a quella esecutiva – si è accertato che l’impianto petrolifero fosse di proprietà della società RAGIONE_SOCIALE –
prova ne è che la ricorrente, durante la fase cautelare, non ha mai avanzato alcuna richiesta di restituzione dei beni sequestrati – il giudice dell’esecuzione ha correttamente osservato l’inserimento di tale bene nel fondo patrimoniale non è circostanza idonea a dimostrare il diritto di NOME COGNOME a rivendicare quel bene rientrante nella disponibilità della società RAGIONE_SOCIALE e, comunque, non appartenente alla ricorrente.
A prescindere dal fatto che, correttamente evidenziato dal giudice, la prospettazione difensiva circa la riconducibilità del bene immobile nel fondo patrimoniale si pone in radicale contrasto con le argomentazioni addotte da NOME COGNOME, fratello di NOME COGNOME, al fine di giustificare la propria titolarità dei beni confiscati (si veda la nota 29 a p. 42 dell’ordinanza impugnata, da cui risulta che COGNOME NOME era proprietario al 50% con il fratello NOME dell’area su cui è ubicato l’impianto), il dato dirimente, evidenziato dal provvedimento impugnato, è costituito dal fatto che la documentazione difensiva è silente nello spiegare le ragioni di diritto che porterebbero la ricorrente a rivendicare la proprietà del bene, solo perché ricompreso nel fondo patrimoniale, posto che, come costantemente affermato da questa Corte di legittimità, sui beni inclusi in un fondo patrimoniale familiare grava unicamente un vincolo di destinazione ex art. 2645-ter cod. civ., che non comporta il trasferimento della titolarità del bene in capo al beneficiario dello stesso (cfr. Sez. 3, n. 557 del 18/10/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 283922; Sez. 3, n. 23621 del 17/07/2020, COGNOME, Rv. 279824; Sez. 3, n. 40362 del 06/07/2016, COGNOME, Rv. 268586).
Rispetto a tale punto decisivo, il ricorso omette di prendere posizione, non spiegando la ragioni, di fatto e, soprattutto, di diritto, in forza della quali sarebbe configurabile il diritto di proprietà della Cosentino rispetto al bene confiscato, anche considerando che l’eventuale messa a disposizione della società, da parte del fondo patrimoniale, di detto impianto avrebbe dovuto essere regolata da una qualche forma contrattuale (quale la locazione, il comodato, ecc.), che, ove fosse stato presente, la ricorrente non avrebbe avuto alcuna difficoltà a produrre nel procedimento di esecuzione, ciò che non è avvenuto.
Ebbene, con riferimento a tale aspetto, evidentemente preliminare a ogni altra questione relativa al merito della decisione, la ricorrente nulla eccepisce o deduce sicché non può non rilevarsi l’evidente genericità e aspecificità del ricorso e ribadirsi la carenza di legittimazione a domandare la restituzione dei beni confiscati.
Ad abundantiam, si osserva, inoltre, che il giudice dell’esecuzione ha spiegato, con una motivazione non manifestamente illogica, il difetto della buona
fede della ricorrente, posto che la costituzione del fondo patrimoniale, per atto pubblico, è avvenuta il 25 luglio 2008, e, quindi, in epoca successiva all’avvio dell’indagine, avvenuta il 22 gennaio 2008 con l’accesso dei militari della G.d.F. al deposito fiscale Eni di Vibo Valentia, e, comunque, alla commissione dell’illecita condotta da parte del coniuge, da ciò desumendo, in maniera non implausibile, il carattere strumentale dell’apposizione sul bene di un vincolo di destinazione, utile a sottrarlo a un’eventuale provvedimento ablativo.
L’inammissibilità del ricorso per carenza di legittimazione rende non rilevante la ventilata questione di legittimità costituzionale.
Essendo il ricorso inammissibile e ricorso e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 17/12/2024.