Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 7388 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 7388 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 14/01/2025
SENTENZA
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2 4 FIO. 2025
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a NAPOLI il 20/06/1964
2 4 FIO. 2025
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avverso la sentenza del 02/07/2024 del TRIBUNALE di Napoli Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
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Luci:
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
letti i motivi aggiunti depositati dal difensore.
RITENUTO IN FATTO
P f 1. Con l’impugnata sentenza, il Tribunale di Napoli, su concorde richiesta delle parti a norma dell’art. 444 cod.proc.pen., ha applicato a COGNOME COGNOME la pena di mesi sei di reclusione, convertita nella pena pecuniaria di C 12.000,00, in relazione al reato di cui all’art. 10- ter d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, per avere, quale legale rappresentante pro tempore della RAGIONE_SOCIALE, omesso il versamento dell’IVA dovuta sulla base della dichiarazione annuale (Modello IVA 2019), entro il termine di legge, per l’importo di C 616.648,00, nonché in relazione al reato di cui all’art. 10-bis dello stesso decreto per aver omesso di versare le ritenute risultanti dalle certificazioni rilasciate ai sostituiti, e relativa ad emolumenti erogati nell’anno 2018, per l’importo di C 592.148,38.
Il Giudice ha disposto la confisca diretta nei confronti della società e per equivalente nei confronti dell’imputato della somma di C 1.208.796,38, detratti i pagamenti eseguiti, quale profitto dei reati.
Ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza il difensore di fiducia dell’imputato, articolando tre motivi che qui vengono sinteticamente enunciati.
2.1. Con il primo motivo deduce la mancanza di motivazione inerente ai presupposti relativi alla confisca obbligatoria del profitto del reato ex art. 12-bis del d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, e la violazione di legge in relazione all’art. 10-bis dello stesso decreto legislativo. Premessa l’ammissibilità dell’impugnazione non essendo stata la confisca oggetto dell’accordo, argomenta il ricorrente che la sentenza impugnata non avrebbe reso una motivazione sulla ricorrenza dei presupposti per la sua applicazione. Né il Giudice avrebbe argomentato in ordine alla sussistenza in concreto degli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 10 – bis d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, essendo carente l motivazione sul rilascio delle certificazioni ai sostituiti.
2.2. Con il secondo e terzo motivo deduce la violazione di legge e la mancanza di motivazione in relazione alla sentenza n. 126/2024 del 24.04.2024, emessa dalla VII sez. civile del Tribunale di Napoli, e all’art. 12-bis comma 2 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74. Il Giudice di merito non avrebbe valutato le risultanze della richiamata sentenza, nella quale si disponeva l’omologa del concordato preventivo proposto dalle società facenti parte del “RAGIONE_SOCIALE“, tra cui la “RAGIONE_SOCIALE“.
Tale mancanza, e conseguente applicazione della suddetta confisca, avrebbe dunque avuto l’effetto di impedire l’attuazione dello stesso concordato, pregiudicando la continuazione dell’attività sociale in corso, e dunque andando indirettamente ad inficiare la possibilità per l’Erario di conseguire i crediti di cui risulta essere titolare.
2.3. Con il terzo motivo, si deduce la violazione di legge relativa all’applicazione dell’art. 12-bis, comma 2 D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 che esclude la confisca per la parte che il contribuente si impegna a versare. Essendo tutti i beni del ricorrente vincolati al pagamento dei debiti tributari in ottemperanza della sentenza emessa dal Tribunale civile di Napoli, il Giudice avrebbe erroneamente applicato la confisca sui beni già destinati al pagamento del debito tributario. In ogni caso avrebbe dovuto tenere conto dei pagamenti effettuati.
Da ultimo osserva che il legislatore con il D.Lgs. 14 giugno 2024, n. 87, avrebbe apportato una modifica alla disciplina prevista originariamente ex art. 12-bis del D.Lgs 10 marzo 2000, n. 74, disponendo dunque che la misura “non è disposta” qualora “il debito tributario è in corso di estinzione mediante rateizzazione, anche a seguito di procedure conciliative o di accertamento con adesione”.
Il difensore ha depositato motivo nuovo con cui deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. c) cod.proc.pen. in relazione all’art. 552, comma 1, lett. d) e comma
2 cod.proc.pen. Nullità del decreto di citazione a giudizio per omessa indicazione dell’avvertimento all’imputato della possibilità di disporre la confisca in relazione al reato per cui si procede. Conseguente nullità della sentenza sul provvedimento che dispone la confisca.
CONSIDERATO IN DIRITTO
La questione di nullità sollevata con il motivo nuovo deve essere respinta in quanto manifestamente infondata.
L’art. 552 comma 1 lett. d), vigente al momento dell’emissione del decreto di citazione a giudizio, in data 17/10/2023, così disponeva: d) l’indicazione del giudice competente per l’udienza di comparizione predibattimentale nonché de/luogo, del giorno e dell’ora della comparizione, con l’avvertimento all’imputato che non comparendo sarà giudicato in assenza.
L’attuale formulazione dell’art. 552 comma 1 lett. d) cod.proc.pen. secondo cui “il decreto di citazione deve contenere, a pena di nullità, l’indicazione del giudice competente per l’udienza di comparizione predibattimentale nonché de/luogo, del giorno e dell’ora della comparizione, con l’avvertimento all’imputato che non comparendo sarà giudicato in assenza e potranno essere disposte, ove ne ricorrano le condizioni, le sanzioni e le misure, anche di confisca, previste dalla legge in relazione al reato per cui si procede”, deriva dalla modifica, ad opera dell’art. 4 del decreto legislativo 7 dicembre 2023, n. 2023, che ha apportato l’aggiunta in questione.
Il successivo l’art. 7 (Disposizione transitoria), ha previsto, tuttavia, che le disposizioni di cui all’articolo 4 non si applicano nei procedimenti in cui, alla data di entrata in vigore del presente decreto, gli avvisi di fissazione di udienza preliminare e i decreti che dispongono il giudizio o che citano l’imputato a giudizio sono stati già emessi.
Nel caso in esame il decreto di citazione è stato emesso il 17/10/2023, dunque nella vigenza della disciplina transitoria e la questione di nullità è manifestamente infondata.
Nel merito il primo motivo è inammissibile. A norma dell’art. 448, comma 2bis, cod.proc.pen., contro la sentenza di patteggiamento può essere proposto ricorso per cassazione «solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza». Come chiarito dalla Sezioni Unite Savin, la doglianza relativa alla mancata motivazione circa la confisca può essere oggetto di ricorso per cassazione, trattandosi di un’ipotesi di “illegalità della misura di sicurezza”, e comunque riguardando un aspetto della decisione estraneo all’accordo sull’applicazione della pena (cfr. Sez. U, n. 21368 del 26/09/2019, Savin, Rv. 279348).
Nel caso in esame, trattandosi di confisca non concordata dalle parti, il Tribunale ha richiamato gli elementi in atti e segnatamente gli esiti dei controlli automatizzati
dell’Agenzia delle Entrate e ritenuto sussistenti i reati, nel contesto della ritenuta assenza di elementi ex art. 129 cod.proc.pen. per un proscioglimento, elementi rispetto ai quali le parti hanno concordato l’applicazione della pena. Ha poi disposto la confisca diretta del profitto del reato. Segnatamente il Giudice ha disposto la confisca per equivalente sino alla concorrenza della somma di C 1.208.796,38 detratti i pagamenti parzialmente eseguiti.
La confisca è stata disposta ai sensi dell’art. 12-bis del D.Lgs. 10 marzo del 2000, n. 74, che prevede che, nel caso di condanna o di applicazione di pena ex art. 444 cod.proc.pen., debba sempre essere disposta la confisca dei beni che costituiscono il profitto del reato, e che nel caso in cui ciò non sia possibile, dei beni rientranti nell disponibilità del reo, per un valore corrispondente al profitto stesso, ed ha correttamente determinato il profitto del reato nella misura di C 1.208.796,38 pari alla somma dell’imposta Iva non versata (C 616.648,00) e dei contributi non versati (C 592.148,38) tenuto conto che nei reati tributari la giurisprudenza ha avuto infatti modo di precisare come tale profitto, sia costituito dal risparmio di spesa, ovvero dall’ammontare dell’imposta IVA evasa (Sez. 3, n. 6047 del 27/09/2016, COGNOME, Rv. 268829 – 01; Sez. 3, n. 31742 del 28/03/2013, Rv.) e che nel disporre la confisca per equivalente, non è tenuto ad individuare concretamente i beni da sottoporre alla misura ablatoria, ma può limitarsi a determinare la somma di denaro che costituisce il profitto o il prezzo del reato, o il valore ad essi corrispondente, stante la correlazione tra questa ipotesi speciale di confisca obbligatoria e l’art. 322-ter, co. 3 c.p. (Sez. 3, n. 18309 del 06/03/2014, Bompadre, Rv. 259660 – 01).
La motivazione sulla confisca è congruamente motivata in presenza dei presupposti di legge. Nessuna carenza di motivazione è pertanto sussistente.
Inammissibile è anche la censura svolta nel primo motivo di ricorso che si appunta sulla mancanza di motivazione in ordine alla sussistenza in concreto degli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 10 – bis d.lgs 10 marzo 2000, n. 74.
L’applicazione della pena su richiesta si fonda su un accordo tra l’imputato e il P.M., rispetto al quale il giudice ha solo funzioni di controllo del rispetto delle regole de procedimento. Ne consegue che la sentenza non contiene un vero e proprio giudizio, ma si limita a prendere atto dell’accordo e della richiesta congiunta delle parti, dandovi esecuzione con una motivazione che non contiene un accertamento e una valutazione dei fatti ma piuttosto un resoconto del controllo di legalità eseguito dal giudice, mediante l’identificazione del fatto, qual è delineato nell’imputazione, e la verifica della correttezz della qualificazione giuridica di esso, dell’inesistenza delle cause di non punibilità indicate nell’art. 129 cod.proc.pen. e della legittimità e della congruità della pena patteggiata, nel rispetto dell’art. 27 Cost. (Sez. 4, n. 34494 del 13/07/2006, P.G. in proc. Koumya, Rv. 234824).
Peraltro, la sentenza impugnata richiama i controlli automatizzati dell’Agenzia delle entrate da cui risultava l’omissione del versamento dei contributi risultanti dalle certificazione rilasciati ai sostituiti, sicchè il motivo è anche manifestamente infondato.
Il secondo motivo di ricorso risulta infondato.
Il ricorrente ha paventato il rischio di un impedimento alla positiva attuazione del concordato preventivo, omologato in sede civile in data 24/04/2024, e derivante dall’applicazione della confisca sui beni del ricorrente sul presupposto che quest’ultima, avendo ad oggetto i beni societari e personali del ricorrente, andrebbe a pregiudicare la prosecuzione dell’attività sociale in continuità, che il Tribunale avrebbe invece ritenuto opportuna nell’interesse anche del creditore Stato.
La questione come prospettata dal ricorrente è priva di fondamento perché fondata su un erroneo presupposto.
Intanto deve sgombrarsi un equivoco che ha rilievo dirimente:
Nei casi in cui non sia possibile agire direttamente sui beni costituenti il profitto o il prezzo del reato a causa del loro mancato reperimento è consentito, attraverso il trasferimento del vincolo dall’oggetto diretto all’equivalente, di apprendere utilità patrimoniali di valore corrispondente di cui il reo abbia comunque la disponibilità. Anzi, costituisce proprio una condizione di operatività della confisca per equivalente la circostanza che nella sfera giuridico- patrimoniale della persona colpita dalla misura non sia rinvenuto il prezzo o il profitto del reato per cui si procede, ma di cui sia ovviamente certa l’esistenza.
Il presupposto e la stessa ragion d’essere della confisca per equivalente risiedono nel fatto che quel prezzo o profitto non sia rinvenuto e tale circostanza autorizza lo spostamento della misura dal bene costituente prezzo o profitto del reato ad altro di valore equivalente ricadente sempre nella libera disponibilità dell’indagato (Sez. 5, n. 32797 del 03/07/2002, P.M. in proc. COGNOME, Rv. 222741; Sez. 3, n. 46709 del 28/03/2018, Rv. 274561 – 01): dunque la confisca per equivalente dovrà necessariamente colpire i beni di cui il reo ha comunque la disponibilità con esclusione dell’apposizione di un vincolo sui beni della società.
Consegue che non sono fondate le argomentazioni avanzate dalla difesa, in merito agli effetti pregiudizievoli, eventualmente arrecati dall’applicazione della misura ablativa alla capacità reddituale dell’impresa, e trasmodanti in un presunto impedimento alla possibilità di adempiere le condizioni fissate mediante la procedura di concordato preventivo.
Come già osservato dalla giurisprudenza di questa Sezione, infatti, tali argomentazioni, seppur astrattamente plausibili, devono nondimeno essere sempre riferite alla situazione concreta, non essendo automaticamente configurabile, anche in presenza di un accordo di ristrutturazione concluso nell’ambito di una procedura fallimentare, una situazione di incapacità dell’impresa di produrre reddito, quanto
piuttosto di attuale insolvenza (Sez. 3, n. 42470 del 13/07/2016, COGNOME, Rv. 26838). Ove così non fosse, seguendo l’opzione interpretativa del ricorrente, si giungerebbe a rinunciare all’applicazione del sequestro preventivo e alla successiva confisca sulla base dell’esistenza di altri strumenti idonei a perseguire il pagamento del debito tributario, considerato che tali strumenti (il concordato preventivo nel caso che ci occupa) potrebbero essere revocati o comunque resi inefficaci, senza alcuna possibilità di interlocuzione, in merito, da parte degli organi del processo penale. Peraltro, non può sottacersi che in relazione al profitto conseguito dei reati tributari, l’applicazione dell confisca ha, tuttora, carattere obbligatorio e che, pertanto, è sottratta al pubblico ministero e al giudice procedente la possibilità, in presenza dei presupposti di legge, di non provvedere alla applicazione della misura ablativa.
Quanto al caso concreto, mette conto rilevare che, ove anche dimostrata, cosa che non è nel caso in esame, l’identità tra il debito tributario e quello inserito nel pian concordatario del “gruppo RAGIONE_SOCIALE“, tra cui vi è la “RAGIONE_SOCIALE“., la confisca per equivalente disposta nei confronti dell’imputato colpisce i beni dello stesso fino alla concorrenza della somma individuata costituente il profitto del reato, e non già quelli dell’impresa di cui l’imputato è legale rappresentante, impresa che in quanto dotata di personalità giuridica e autonomina patrimoniale, è soggetto diverso dall’imputato.
La questione così come prospettata è priva di fondamento.
Il terzo motivo di ricorso risulta, anche per le ragioni sopra esposte infondato. La difesa ha infatti prospettato il vizio di legge inerente all’art. 12-bis, co. 2 del d.l 74/2000, in quanto il giudice avrebbe applicato la misura della confisca su beni già destinati al pagamento dei debiti tributari ed erariali, con le modalità stabilite da Tribunale civile. Come si è già detto, non risulta l’identità tra il profitto del reato colp da confisca e il debito tributario inserito nel piano concordatario. La censura si muove sul piano dell’astrattezza dei principi ed è pertanto inammissibile e non tiene comunque conto che già il Giudice, nel disporre la confisca del profitto del reato, ha indicato l’ammontare del profitto “detratti i pagamenti eseguiti” così da evitare una duplicazione sanzionatoria. Per le stesse ragioni non essendo allegata l’estinzione del debito tributario non può valutarsi l’incidenza dell’art. 12 bis come modificata dal D.Lgs. 14 giugno 2024, n. 87.
Il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 14/01/2025