Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 18879 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 18879 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/04/2024
SENTENZA
8
d.Igs.
sul ricorso proposto da
I
RAGIONE_SOCIALE l, nato al
omissis
diêi avverso la sentenza del 4/7/2023 della Corte d’appello di Torino
RAGIONE_SOCIALE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio con riferimento al primo, quarto e sesto motivo;
udito per il ricorrente l’AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 4 luglio 2023 la Corte d’appello di Torino, provvedendo sulle impugnazioni proposta dall’imputato e dalla parte civile nei confronti della sentenza del 25 luglio 2022 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Torino, con la quale, a seguito di giudizio abbreviato, RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE era stato condannato alla pena di cinque anni e quattro mesi di reclusione e al risarcimento dei danni in favore della parte civile RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE , in relazione a due contestazioni di violenza sessuale commesse abusando della propria veste di medico di base (capi A e B della rubrica, commessi nel marzo 2021 e in data 1/9/2021), ha dichiarato inammissibile per rinuncia l’appello della parte civile e ha eliminato le statuizioni civili, ha ridotto la pena inflitta all’imputato a qua anni, dieci mesi e venti giorni di reclusione, confermando nel resto la sentenza impugnata.
Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, mediante l’AVV_NOTAIO, che lo ha affidato a sei motivi.
2.1. Con il primo motivo ha denunciato l’errata applicazione di disposizioni di legge penale e un vizio della motivazione, con riferimento alla mancata riduzione dell’aumento di pena per la continuazione con il reato di cui al capo a) della rubrica.
Ha esposto che con l’atto d’appello aveva lamentato l’eccessività dell’aumento di pena disposto per la continuazione tra il reato di cui al capo b) e quello di cui a capo a), sottolineandone la sproporzione rispetto alla concreta gravità di tale fatto e anche delle conseguenze che ne erano derivate per la persona offesa, che non si era costituita parte civile, aveva accettato il risarcimento offertole dall’imputat e successivamente ai fatti si era presentata nuovamente presso lo studio medico del ricorrente per essere da questi visitata. Nonostante ciò, la Corte d’appello di Torino aveva confermato la misura di tale aumento di pena, pari a un anno e quattro mesi di reclusione, giudicandolo contenuto in quanto distante dall’aumento massimo applicabile, che, secondo la Corte territoriale, sarebbe stato pari a diciotto anni di reclusione.
Tale motivazione sarebbe, però, insufficiente, non essendo state, in realtà, indicate le ragioni che avevano determinato la Corte d’appello a confermare detta misura dell’aumento di pena, né correttamente considerato il limite sanzionatorio stabilito dall’art. 81, secondo e terzo comma, cod. pen., in considerazione del quale l’aumento non avrebbe potuto superare sei anni di reclusione.
2.2. In secondo luogo, ha denunciato una ulteriore errata applicazione di disposizioni di legge penale e un altro vizio della motivazione, con riferimento al mancato riconoscimento della configurabilità della ipotesi di minore gravità di cui all’art. 609-bis, terzo comma, cod. pen.
Ha esposto che la Corte d’appello aveva impropriamente ed erroneamente fondato il diniego del riconoscimento di tale circostanza sottolineando l’abuso da parte del ricorrente della sua veste di medico di base, in particolare per aver realizzato le condotte in occasione di visite ambulatoriali sulle persone delle vittime, giacché tale aspetto della condotta era già stato considerato a proposito della configurabilità della circostanza aggravante di cui all’art. 61, n. 11, cod. pen. con la conseguenza che a tale circostanza di fatto era indebitamente stata attribuita una doppia portata afflittiva, tra l’altro omettendo di considerare ch nell’indagine volta a verificare la minore lesività del fatto occorre avere riguardo al grado di compromissione del bene giuridico della libertà sessuale della vittima e non anche alle circostanze attinenti alla persona dell’agente; tale indagine era stata del tutto omessa, non essendo state valutate le condizioni fisiche e psichiche delle vittime, né l’entità della lesione della loro libertà sessuale, né, in particola il fatto che la RAGIONE_SOCIALE. successivamente all’abuso, si era nuovamente rivolta all’imputato, né i video pubblicati dalla C.D. sui social network, con la conseguente sussistenza del denunciato vizio di motivazione sul punto della configurabilità di tale circostanza attenuante speciale.
2.3. In terzo luogo, ha denunciato un vizio della motivazione, che sarebbe contraddittoria e illogica nella parte relativa alla valutazione della attendibilità de C.D. che non era stata sottoposta a visita ginecologica presso l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di Torino dove si era recata dopo aver subito la violenza da parte del ricorrente, benché la condotta le avesse provocato dolore e quindi avrebbero potuto esserne accertati i postumi. La mancata sottoposizione della persona offesa a visita specialistica era stata giudicata irrilevante dalla Corte d’appello sulla bas del rilievo che si sarebbe trattato di una scelta dei medici volta a non turbare ulteriormente la donna, ma tale affermazione sarebbe congetturale, in quanto dal verbale di dimissioni risulterebbe che la visita ginecologica non era stata eseguita in accordo con la paziente, che aveva riferito di tentato abuso sessuale, dunque detta visita non era stata eseguita sulla base del narrato della paziente e non già per scelta dei medici.
2.4. Con un quarto motivo ha denunciato la violazione di disposizioni di legge penale e un vizio della motivazione, nella parte relativa alla mancata riduzione della durata della sanzione accessoria della sospensione dall’esercizio della professione medica, stabilita dal primo giudice nella misura massima di cinque anni prevista dall’art. 79, n. 2, cod. pen., senza indicare le ragioni di un cos rilevante scostamento dal minimo edittale di tre mesi di cui all’art. 35 cod. pen., senza rapportarla alla entità della pena principale e senza specificare il quantum di pena accessoria stabilito per ogni reato.
La Corte d’appello, nel disattendere lo specifico motivo di gravame proposto su tale punto, aveva impropriamente fatto riferimento alla interdizione
temporanea dai pubblici uffici di cui all’art. 609 -nonies, comma 1, n. 4, cod. pen., confondendo la sospensione dall’esercizio della professione, di cui al n. 5 della medesima disposizione, con l’interdizione temporanea dai pubblici uffici e omettendo, di conseguenza, di pronunciarsi sull’eccezione difensiva, posto che l’interdizione temporanea dai pubblici uffici è determinata, dall’art. 609 -nonies, comma 1, n. 4, cod. pen., in misura fissa, mentre la durata di quella della sospensione dall’esercizio di una professione deve essere determinata dal giudice, secondo quanto emergente dagli artt. 35, 37, 77 e 79, n. 2, cod. pen., che non erano però stati considerati né dal primo giudice né dalla Corte d’appello.
2.5. Con un quinto motivo ha denunciato la violazione degli artt. 191 e 442, comma 1 -bis, cod. proc. pen. e un vizio della motivazione, con riferimento alla mancata declaratoria di inutilizzabilità degli atti acquisiti il 27/7/2022. Ha esposto che la Corte d’appello aveva dichiarato inutilizzabile l’annotazione della Squadra mobile della Questura di Torino del 25/7/2022, pervenuta all’Ufficio del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Torino il 27/7/2022, relativa all’analisi dei dati informatici estratti dai dispositivi elettronici sequest all’imputato, in quanto acquisiti agli atti dopo la pronuncia della sentenza di primo grado e, comunque, dopo l’ammissione al rito abbreviato. Tale decisione risultava, però, contraddittoria e carente, in quanto dalla difesa dell’imputato era stata eccepita anche l’inutilizzabilità di altri atti indebitamente inseriti nel fasci processuale il 27/7/2022 (i verbali delle operazioni di estrazione delle copie forensi relative a pendrive del 9/2/2022, ad iphone XS del 10/2/2022, ad hard disk e schede di memoria del 1/6/2022, a pc e notebook Asus del 3/3/2022, e il verbale di sommarie informazioni testimoniali della C.C. del 16/6/2022). Tali atti erano stati giudicati rilevanti dalla Corte d’appello, che aveva rigettato la richiesta d restituzione dei dispositivi elettronici sequestrati ritenendoli strumenti utilizz dall’imputato per contattare le sue vittime, dunque esaminando le suddette analisi informatiche e le dichiarazioni della C.C. benché indebitamente acquisiti. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.6. Con il sesto motivo ha lamentato la violazione e l’errata applicazione dell’art. 240, primo comma, cod. pen. e un vizio della motivazione, con riferimento alla mancata restituzione al ricorrente del materiale sequestratogli il 9/12/2021 e alla confisca di detto materiale.
Ha esposto che la Corte d’appello, come già evidenziato con il quinto motivo, aveva disatteso la richiesta di restituzione dei dispositivi elettronici sequestrati 9/12/2021, di cui aveva, anzi, disposto la confisca, in quanto utilizzati dall’imputato anche per contattare le vittime, pur non essendovi alcuna prova della utilizzazione di detti dispositivi per commettere i due reati contestati, non rilevando i contatti eventualmente intercorsi tra il ricorrente ed altre sue pazienti, estranee alle condotte contestate.
4 RAGIONE_SOCIALE
Dalla descrizione delle condotte addebitate al ricorrente emergeva, invece, la loro realizzazione senza l’ausilio di detti strumenti elettronici, in quanto l’accesso delle persone offese presso l’ambulatorio dell’imputato, dove erano state realizzate le condotte, non era avvenuto perché questi le aveva contattate, ma autonomamente, per loro esigenze sanitarie, cosicché l’affermazione della esistenza di un vincolo pertinenziale tra le cose sequestrate e i reati contestati risultava del tutto congetturale e priva di adeguata giustificazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato limitatamente al sesto motivo, relativo alla confisca dei dispositivi elettronici sequestrati al ricorrente.
Il quinto motivo, da esaminare, in ordine logico, preliminarmente, attenendo alla inutilizzabilità di alcuni atti, che sarebbero stati indebitamente acquisi successivamente alla ammissione al rito abbreviato, è inammissibile a causa della sua genericità.
Tale motivo di ricorso risulta, infatti, indeterminato e privo della necessaria specificità, perché consiste nella mera affermazione della acquisizione tardiva di alcuni verbali, disgiunta sia dal confronto con il complesso della motivazione della sentenza impugnata (necessario quando si eccepisca l’inutilizzabilità di una prova), sia, soprattutto, dalla illustrazione del contenuto di tali verbali, c l’evidenziazione delle parti di essi utilizzati ai fini della decisione su responsabilità, e dalla loro allegazione (essendo stati allegati al ricorso solamente il verbale delle sommarie informazioni rese dalla C.C. e il verbale di sequestro probatorio del 9/12/2021), allegazioni necessarie per poter apprezzare la fondatezza della censura, posto che, tra l’altro, la Corte d’appello di Torino ha, in accoglimento della corrispondente eccezione della difesa dell’imputato, dichiarato l’inutilizzabilità della annotazione della Squadra Mobile della Questura di Torino del 25/7/2022, relativa all’analisi dei dati estrapolati dai dispositivi informat sequestrato all’imputato.
Grava, infatti, sulla parte che deduce l’inutilizzabilità di un atto l’onere indicare specificamente i documenti sui quali l’eccezione si fonda e altresì di allegarli, qualora, come nel caso in esame, essi non facciano parte del fascicolo trasmesso al giudice di legittimità (Sez. 5, n. 23015 del 19/04/2023, COGNOME, Rv. 284519 – 01; Sez. 6, n. 18187 del 14/12/2017, dep. 2018, Nunziato, Rv. 273007 – 01; v. anche Sez. U, n. 39061 del 16/07/2009, COGNOME, Rv. 244329 – 01, secondo cui nel caso in cui una parte deduca il verificarsi di cause di nullità o inutilizzabilità collegate ad atti non rinvenibili nel fascicolo processuale, al general onere di precisa indicazione che incombe su chi solleva l’eccezione si accompagna
l’ulteriore onere di formale produzione delle risultanze documentali – positive o negative – addotte a fondamento del vizio processuale).
Nel caso in esame il ricorrente ha omesso qualsiasi riferimento al contenuto di detti verbali, né ne ha allegato copia, con la conseguente genericità della censura, che impedisce di apprezzarne il contenuto, posto che la stessa si risolve in una mera denunzia di tardività di acquisizione di atti, di cui non sono stati specificat contenuto e rilevanza (essendo, come notato, già stata dichiarata l’inutilizzabilità della annotazione della polizia giudiziaria del 25/7/2022).
La censura risulta, inoltre, priva della necessaria specificità anche a causa della mancata illustrazione della incidenza delle prove ritenute inutilizzabili sul complessivo compendio indiziario già valutato ai fini della affermazione di responsabilità, sì da potersene inferire la decisività in riferimento al provvedimento impugnato (Sez. U, n. 23868 del 23/04/2009, Fruci, Rv. 243416), in quanto nell’ipotesi in cui con il ricorso per cassazione si lamenti l’inutilizzabilità d elemento a carico, il motivo di impugnazione deve illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità, l’incidenza dell’eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta “prova di resistenza”, in quanto gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti e ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l’ident convincimento (Sez. 2, n. 30271 del 11/05/2017, De Matteis, Rv. 270303 – 01; Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv. 269218; Sez. 3, n. 3207 del 02/10/2014, dep. 2015, Calabrese, Rv. 262011).
Tale principio, tra l’altro, è stato correttamente applicato dalla Corte d’appello, che, dopo aver dichiarato l’inutilizzabilità di detta annotazione, ha evidenziato che ciò non incrina la solidità del convergente quadro probatorio emergente dagli atti utilizzabili, ritenuto idoneo a confermare la responsabilità dell’imputato.
Ne consegue, in definitiva, l’inammissibilità della censura a causa della sua genericità.
Il terzo motivo, relativo alla logicità della motivazione nella parte relativ alla valutazione della attendibilità della teste NOME.COGNOME. , anch’esso da esaminare, in ordine logico, preliminarmente, in quanto attiene alla affermazione di responsabilità, è inammissibile.
Mediante tale motivo si tende, infatti, a conseguire una rivisitazione sul piano del merito delle risultanze istruttorie, tra l’altro in modo generico, in assenza de necessario confronto, tantomeno critico, con il complesso degli elementi di prova e con tutta la motivazione della sentenza impugnata (considerata e criticata solo nella parte relativa al giudizio di irrilevanza della mancata sottoposizione della persona offesa a visita ginecologica, che inciderebbe sulla sua attendibilità), allo scopo di pervenire a una loro diversa considerazione, da contrapporre a quella dei
giudici di merito, con riferimento al giudizio di attendibilità della RAGIONE_SOCIALE CRAGIONE_SOCIALE e di genuinità delle sue dichiarazioni.
Va ricordato che l’attendibilità della persona offesa dal reato è una questione di fatto, la quale ha la sua chiave di lettura nell’insieme di una motivazione logica, che non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice sia incorso in manifeste contraddizioni (Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015 – dep. 19/02/2015, COGNOME, Rv. 262575; Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011 – dep. 25/05/2011, COGNOME, Rv. 250362).
Nel caso in esame il giudizio di attendibilità della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE C.D. RAGIONE_SOCIALE è stato fondato, in modo non manifestamente illogico, su una pluralità di elementi convergenti, consistenti nella irrilevanza, stante la mancanza di connessione processuale, delle valutazioni espresse sul conto della medesima C.D. in altri giudizi a carico di altri soggetti; nella coerenza, precisione e sovrapponibilità delle varie dichiarazioni rese dalla vittima; nelle risultanze del referto del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE dell’RAGIONE_SOCIALE di Torino, presso il quale la persona offesa si recò subito dopo l’aggressione sessuale avvenuta nello studio medico dell’imputato; nelle dichiarazioni delle persone con le quali la persona offesa si confidò subito dopo tale aggressione; nelle condizioni della vittima successive al fatto, allorquando era apparsa “scossa” e “tremante” sia al personale sanitario e alla polizia giudiziaria, sia ai propri familiari e alle educatrici.
A fronte di tale univoco e convergente complesso di elementi, ritenuto in modo logico dimostrativo della attendibilità della persona offesa e della genuinità delle sue dichiarazioni, la Corte d’appello ha ritenuto irrilevante la mancata sottoposizione della stessa a visita ginecologica (già evidenziata con l’atto d’appello a sostegno dei dubbi avanzati sulla attendibilità della vittima), evidenziando che i toccamenti nella vagina sono riportati nel verbale di dimissioni del RAGIONE_SOCIALE e che la scelta dei medici di non sottoporre la donna a visita ginecologica rientra nella loro discrezionalità ed è spiegabile con la volontà di non turbarla ulteriormente, stante il trauma subito in conseguenza degli approcci invasivi dell’imputato, considerando l’univocità di quanto emergente dalle sue dichiarazioni.
Ne consegue la manifesta infondatezza dei rilievi sollevati dal ricorrente a proposito della attendibilità della I C.D. I, volti a censurare una valutazione d merito giustificata in modo logico, non sindacabile sul piano del merito nel giudizio di legittimità.
Il secondo motivo, con cui è stato lamentato il mancato riconoscimento della circostanza attenuante speciale del fatto di minore gravità di cui all’art. 609-bis, terzo comma, cod. pen., non è fondato.
Va ricordato che secondo il consolidato orientamento interpretativo della giurisprudenza di legittimità ai fini della configurabilità di detta circostanz attenuante deve farsi riferimento a una valutazione globale del fatto, nella quale assumono rilievo i mezzi, le modalità esecutive, il grado di coartazione esercitato sulla vittima, le condizioni fisiche e mentali di questa, le caratteristich psicologiche valutate in relazione all’età, in modo da accertare che la libertà sessuale non sia stata compromessa in maniera grave e che non sia stato arrecato alla vittima un danno grave, anche in termini psichici (così, da ultimo, Sez. 3, n. 50336 del 10/10/2019, L., Rv. 277615; conf. Sez. 3, n. 19336 del 27/03/2015, G., Rv. 263516; Sez. 3, n. 23913 del 14/05/2014, C., Rv. 259196)
Nel caso in esame la Corte d’appello, al di là del riferimento all’abuso da parte dell’imputato della propria veste di medico per porre in essere entrambe le condotte contestate (realizzate nel suo ambulatorio in occasione di visite delle vittime), ha evidenziato sia la condizione di particolare vulnerabilità nella quale si trovavano le vittime, sia la invasività degli atti sessuali posti in esser dall’imputato, sottolineando che tali atti avevano profondamente scioccato entrambe le pazienti, che avevano riferito di essere state traumatizzate dall’esperienza vissuta.
Si tratta di motivazione certamente idonea a dar conto della non minima entità della compromissione della sfera di libertà sessuale delle vittime, e dunque della insussistenza dei presupposti per poter ritenere configurabile la circostanza attenuante speciale invocata dal ricorrente, risultando logica, sulla base di massime di comune esperienza (tra cui quelle relative ai rapporti che si instaurano tra medico e paziente nel corso di una visita ambulatoriale), la sottolineatura della più grave incidenza delle condotte a causa della condizione di soggezione nella quale si trovavano le due vittime, essendosi le condotte medesime verificatesi nel corso delle visite mediche alle quali l’imputato aveva ritenuto di sottoporle.
Ne consegue, in definitiva, l’infondatezza di detta censura.
Il primo motivo, mediante il quale è stata lamentata l’eccessività dell’aumento di pena disposto per la continuazione con il reato di cui al capo a), che sarebbe stato giustificato mediante motivazione insufficiente e sulla base di una errata applicazione dell’art. 81 cod. pen., non è fondato.
La Corte d’appello, nel rideterminare il trattamento sanzionatorio per effetto del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche in termini di equivalenza con la recidiva, ha stabilito la pena base per il più grave reato di cui al capo b) in sei anni di reclusione, pari al minimo edittale, applicando il medesimo aumento di un anno e quattro mesi di reclusione per la continuazione con il reato di cui al capo a) stabilito in primo grado, giudicandolo adeguato, alla luce della gravità della condotta, quale ampiamente descritta nella parte della motivazione relativa alla
affermazione di responsabilità, e della personalità negativa dell’imputato (già condannato per una condotta analoga realizzata nei confronti di una sua paziente nell’anno 2004).
Si tratta di motivazione idonea, anche in considerazione della misura contenuta di detto aumento, non essendo affatto errata l’affermazione della Corte d’appello, censurata dal ricorrente, secondo cui detto aumento avrebbe potuto essere pari a diciotto anni di reclusione, ossia al triplo della pena che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave, essendo tale affermazione conforme al disposto dell’art. 81, secondo comma, cod. pen. (v. Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226076 – 01, e Sez. 3, n. 46370 del 02/07/2019, COGNOME, Rv. 277298 – 01).
Ne consegue, pertanto, l’infondatezza anche di tale motivo di ricorso.
Il quarto motivo, relativo alla durata della pena accessoria della sospensione dall’esercizio di una professione, stabilita nella misura massima di cinque anni, è anch’esso infondato.
Le Sezioni Unite, con la sentenza Suraci (Sez. U, n. 28910 del 28/02/2019, Suraci, Rv. 276286 – 01), superando il precedente orientamento, secondo cui la durata delle pene accessorie per le quali la legge stabilisce, in misura non fissa, un limite di durata minimo ed uno massimo, ovvero uno soltanto di essi, deve essere rapportata alla durata della pena principale inflitta, ex art. 37 cod. pen. (Sez. U, n. 6240 del 27/11/2014, dep. 2015, B., Rv. 262328 – 01), hanno chiarito che detta durata va determinata in concreto dal giudice in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen. (nel medesimo senso Sez. 3, n. 41061 del 20/06/2019, Paternò, Rv. 277972 – 01, relativa a fattispecie in tema di pene accessorie di cui all’art. 12 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, secondo cui la durata delle pene accessorie per le quali è previsto un limite minimo e massimo, deve essere determinata in concreto, con adeguata motivazione, sulla base dei criteri stabiliti dall’art. 133 cod. pen., dovendo escludersi la necessaria correlazione con quella della pena principale).
Ora, nel caso in esame, il primo giudice ha stabilito la durata della sospensione dall’esercizio della professione di medico di cui all’art. 609 -nonies, primo comma, n. 5, cod. pen., nella misura massima di cinque anni. Tale durata è stata confermata dalla Corte d’appello, in considerazione della gravità dei fatti e della loro consumazione mentre l’agente rivestiva la qualifica di pubblico ufficiale.
La Corte d’appello, nel confermare la durata di tale pena accessoria, ha fatto erroneamente riferimento alla interdizione temporanea dai pubblici uffici, che è prevista dall’art. 609 -nonies, primo comma, n. 4, cod. pen., nella misura fissa di cinque anni nel caso di condanna alla reclusione da tre a cinque anni, ma ha anche fatto riferimento all’art. 609 -nonies, primo comma, n. 5, cod. pen., che prevede, appunto, la sospensione dall’esercizio di una professione o di un’arte, e ne ha
giustificato, come evidenziato, la conferma della durata con la sottolineatura della gravità dei fatti e della loro consumazione mentre l’agente rivestiva la qualifica di pubblico ufficiale.
Si tratta di motivazione sufficiente, essendo state indicate le ragioni della conferma della durata di tale sanzione accessoria, consistenti nella gravità delle condotte e nella loro realizzazione profittando dello svolgimento della professione medica, ampiamente illustrate, sia quanto alle modalità delle condotte, sia quanto alla loro gravità, nelle parti della motivazione relative alla ricostruzione del condotte e alla conferma della affermazione di responsabilità, nelle quali è stata sottolineata la invasività delle condotte e anche il precedente specifico da cui è gravato l’imputato.
Sono, dunque, stati indicati i criteri, tra quelli di cui all’art. 133 cod. pen., p a fondamento della valutazione di gravità delle condotte e del giudizio negativo sulla personalità del ricorrente, che hanno determinato i giudici di merito a determinare la durata di detta sanzione accessoria nella misura massima di cinque anni, derivante dal disposto dell’art. 79, comma 1, n. 2, cod. pen., dovendo presumersi, nel silenzio delle sentenze di merito, che la durata sia identica per ciascuno dei due reati contestati, ritenuti avvinti dal vincolo della continuazione, ossia due anni e sei mesi per ognuno.
Ne consegue, dunque, l’infondatezza anche di tale motivo di ricorso.
Il sesto motivo, relativo alla confisca dei dispositivi elettronici sequestrat all’imputato, è fondato.
La Corte d’appello ha disatteso la richiesta di restituzione dei dispositivi elettronici sequestrati all’imputato, disponendone, anzi, la confisca, ritenendoli cose pertinenti al reato “in quanto strumenti utilizzati dall’imputato anche per contattare le sue vittime” (pag. 14 della sentenza impugnata).
Si tratta, in considerazione delle modalità delle condotte, realizzate nell’ambulatorio medico dell’imputato presso il quale entrambe le persone offese si erano recate di loro iniziativa, di motivazione insufficiente, non essendo stati indicati i dispositivi elettronici sequestrati né la relazione che lì lega alle condott che non emerge neppure dalla ricostruzione della vicenda contenuta nelle sentenze di merito, nelle quali non v’è alcun riferimento all’utilizzo di detti dispositivi commettere i reati (o agevolarne la commissione), cosicché la statuizione di confisca di detti dispositivi deve essere annullata, onde consentire ai giudici di merito di illustrare il nesso di pertinenzialità esistente tra i beni in sequestro e reati ascritti all’imputato.
In conclusione la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente alla confisca dei dispositivi sequestrati, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad
altra sezione della Corte d’appello di Torino, e il ricorso deve essere rigettato nel resto, con la conseguente definitività della affermazione di responsabilità.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla confisca con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte d’appello di Torino.
Rigetta nel resto il ricorso.
Visto l’art. 624 cod. proc. pen. dichiara la irrevocabilità della sentenza in ordine all’affermazione della penale responsabilità dell’imputato.
In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalità e gli altri identificativi a norma dell’art. 52 d.lgs. 196/03 in quanto imposto dal legge.
Così deciso il 17/4/2024