LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Confisca diretta reati tributari: somme future

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6576 del 2024, ha stabilito che la confisca diretta per reati tributari si applica a tutte le somme di denaro presenti sul conto di una società, anche se depositate dopo la commissione del reato. Il ‘risparmio di spesa’, derivante dal mancato pagamento delle imposte, è considerato profitto del reato. Data la natura fungibile del denaro, qualsiasi somma trovata nel patrimonio dell’ente fino all’ammontare dell’imposta evasa può essere sequestrata direttamente, senza che sia necessario dimostrare un nesso causale diretto.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 31 ottobre 2025 in Diritto Penale, Diritto Tributario, Giurisprudenza Penale

Confisca diretta per reati tributari: la Cassazione conferma il sequestro anche sulle somme successive al reato

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato un tema cruciale in materia di misure ablative: è possibile applicare la confisca diretta per reati tributari anche su somme di denaro affluite sul conto corrente di una società in un momento successivo alla consumazione del reato? La risposta, affermativa, consolida un orientamento giurisprudenziale rigoroso, fondato sulla natura fungibile del denaro e sul concetto di profitto come ‘risparmio di spesa’.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine dal ricorso presentato da una società cooperativa in liquidazione, dichiarata fallita, contro un’ordinanza del Tribunale di Caltanissetta. Quest’ultimo aveva confermato il provvedimento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca su somme di denaro presenti sui conti correnti della società. Il reato contestato era quello di indebita compensazione di crediti fiscali, un illecito che genera un profitto consistente in un ‘risparmio di spesa’, ovvero il mancato versamento delle imposte dovute.

La difesa della società sosteneva che le somme oggetto di sequestro non potevano essere considerate profitto diretto del reato, in quanto erano state accreditate sui conti in un’epoca successiva all’ultima compensazione illecita. Di conseguenza, secondo la tesi difensiva, tali somme non avendo un legame diretto con il crimine, avrebbero potuto, al più, essere oggetto di una confisca per equivalente e non di una confisca diretta.

La Questione Giuridica: Confisca Diretta o per Equivalente?

Il cuore della controversia risiede nella distinzione tra confisca diretta e confisca per equivalente nel contesto dei reati tributari. La confisca diretta colpisce i beni che sono il prodotto o il profitto immediato del reato. Quella per equivalente, invece, interviene quando non è possibile aggredire i beni originari e si rivolge a beni di valore corrispondente nel patrimonio del reo.

La società ricorrente, facendo leva su un precedente orientamento, argomentava che il ‘risparmio di spesa’ non comporta un ‘ingresso’ di denaro nel patrimonio, ma una ‘mancata decurtazione’. Pertanto, il denaro successivamente entrato nelle casse sociali sarebbe ‘nuovo’ e non direttamente collegato all’illecito, rendendo inapplicabile la confisca diretta.

L’Analisi della Corte e la confisca diretta reati tributari

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, aderendo all’orientamento giurisprudenziale prevalente, consolidato da diverse pronunce delle Sezioni Unite. I giudici hanno chiarito che, ai fini della confisca diretta per reati tributari, il profitto derivante dal risparmio di spesa è un’utilità economica che entra a far parte del patrimonio della società.

Il punto cardine della decisione risiede nella natura fungibile del denaro. Il denaro è l’archetipo del bene fungibile: una banconota o una moneta è perfettamente sostituibile con un’altra di pari valore. Per questo motivo, una volta che il vantaggio economico (il risparmio d’imposta) è stato conseguito, qualsiasi somma di denaro presente nel patrimonio dell’ente, fino a concorrenza dell’importo evaso, rappresenta quel profitto e può essere oggetto di confisca diretta.

Non è quindi necessario dimostrare che le specifiche banconote o le somme accreditate sul conto siano le stesse ‘risparmiate’ grazie al reato. Ciò che rileva è che il patrimonio dell’autore del reato si è ingiustamente arricchito di un valore monetario corrispondente all’imposta non pagata. Qualsiasi denaro rinvenuto successivamente non è altro che la rappresentazione fisica di quel valore.

L’irrilevanza della successiva dichiarazione di fallimento

La Corte ha inoltre ribadito un altro principio fondamentale: la procedura fallimentare non osta al sequestro preventivo finalizzato alla confisca. I beni che costituiscono il profitto di un reato non possono essere considerati ‘appartenenti a persona estranea al reato’, nemmeno se attratti alla massa fallimentare a tutela dei creditori. L’interesse dello Stato al recupero dei proventi dell’illecito prevale sui diritti di credito vantati sul medesimo bene.

Le Motivazioni

La motivazione della Corte si fonda su una lettura sistematica delle norme e dei principi elaborati dalle Sezioni Unite. In primo luogo, viene ribadito che il profitto confiscabile nei reati tributari è costituito da qualsiasi vantaggio patrimoniale, incluso il risparmio di spesa. In secondo luogo, richiamando la sentenza delle Sezioni Unite n. 42415 del 2021, si sottolinea che la confisca di denaro che costituisce profitto del reato è sempre ‘diretta’, proprio per la natura fungibile del bene. Non rileva, quindi, che le somme trovate sul conto corrente siano state acquisite lecitamente o in un momento successivo al reato: esse rappresentano comunque l’accrescimento patrimoniale illecito.

La Corte osserva che un’interpretazione diversa svuoterebbe di significato la confisca diretta per tutti i reati il cui profitto consiste in un risparmio di spesa, poiché per definizione non vi è un ‘flusso fisico’ di denaro che entra nel patrimonio. Il legislatore stesso, con l’art. 12-bis del d.lgs. 74/2000, ha previsto la confisca diretta come misura ‘ordinaria’ per i reati tributari, riconoscendo implicitamente che il risparmio di spesa è suscettibile di tale forma di ablazione.

Le Conclusioni

La sentenza in esame rafforza un importante strumento di contrasto all’evasione fiscale. Le implicazioni pratiche sono significative: le imprese non possono eludere le misure di sequestro e confisca semplicemente movimentando i propri conti correnti o sostenendo che i fondi disponibili sono frutto di attività lecite successive al reato. Per lo Stato, è sufficiente dimostrare l’esistenza del reato e l’ammontare del profitto (l’imposta evasa) per poter aggredire direttamente qualsiasi somma liquida presente nel patrimonio della società responsabile, fino a quel valore. Questa decisione fornisce certezza giuridica e rende più efficaci le azioni di recupero dei proventi derivanti da illeciti tributari.

È possibile la confisca diretta di somme depositate su un conto corrente dopo la commissione di un reato tributario?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, a causa della natura fungibile del denaro, qualsiasi somma presente nel patrimonio dell’autore del reato, fino a concorrenza del profitto illecito (il ‘risparmio di spesa’), è soggetta a confisca diretta, indipendentemente dal momento in cui è stata accreditata.

Qual è la differenza tra ‘profitto da risparmio di spesa’ e ‘profitto accrescitivo’ ai fini della confisca?
Ai fini dell’applicabilità della confisca diretta del denaro, la Corte ha stabilito che non vi è alcuna differenza rilevante. Sia il profitto che incrementa il patrimonio (accrescitivo), sia quello che ne evita la diminuzione (risparmio di spesa), costituiscono un vantaggio economico che, se rappresentato da denaro, è sempre confiscabile in forma diretta.

La dichiarazione di fallimento di una società impedisce il sequestro finalizzato alla confisca per reati tributari?
No. La Corte ha confermato il principio secondo cui la procedura fallimentare non impedisce l’adozione o il mantenimento del sequestro preventivo finalizzato alla confisca. I beni che costituiscono profitto del reato non sono considerati appartenenti a terzi estranei, e la pretesa dello Stato prevale sui diritti dei creditori concorsuali.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati