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Confisca diretta: la Cassazione sui proventi illeciti

La Corte di Cassazione ha stabilito che la confisca di denaro costituente profitto di reato si qualifica sempre come confisca diretta, data la natura fungibile del bene. Il caso riguardava una donna condannata per reimpiego di fondi illeciti che si opponeva alla confisca di 63.300 euro, sostenendola un’illegittima confisca per equivalente. La Corte ha respinto il ricorso, chiarendo che la misura ablativa colpisce l’aumento patrimoniale derivato dal crimine, rendendo la confisca diretta e pienamente legittima.

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Pubblicato il 13 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Confisca Diretta del Denaro: un Principio Incrollabile

La recente sentenza della Corte di Cassazione Penale, Sez. 1, n. 46791 del 2024, riafferma un principio cardine in materia di misure patrimoniali: la confisca di denaro che costituisce il profitto di un reato è sempre una confisca diretta. Questa pronuncia è fondamentale perché chiarisce, ancora una volta, la natura del denaro come bene fungibile e le conseguenze che ne derivano nell’aggressione ai patrimoni di provenienza illecita.

I Fatti del Caso

La vicenda processuale ha origine da un complesso quadro criminoso legato a reati fiscali e di associazione a delinquere, commessi dal coniuge della ricorrente e da altri soggetti. La donna, in qualità di amministratrice di fatto e di diritto di diverse società, era stata coinvolta nel reimpiego di ingenti somme di denaro di provenienza illecita.

Nello specifico, le veniva contestato di aver ricevuto e utilizzato circa 63.300 euro, frutto dei reati presupposto, per effettuare un investimento immobiliare per conto di una delle sue società. Per questi fatti, la donna aveva definito la sua posizione con una sentenza di patteggiamento per i reati di riciclaggio e impiego di denaro di provenienza illecita.

Nell’ambito del procedimento, era stato disposto un sequestro preventivo finalizzato alla confisca, inizialmente su alcuni immobili, poi trasferito sulle quote societarie della donna e, infine, sulla somma di 63.300 euro ricavata dalla vendita di tali quote. A distanza di anni dalla sentenza, la donna chiedeva la restituzione della somma, ma il giudice dell’esecuzione rigettava l’istanza e disponeva la confisca definitiva.

La Controversia Legale: una Questione di Confisca Diretta

Il ricorso in Cassazione si fondava su un’argomentazione principale: la confisca disposta sarebbe stata una confisca ‘per equivalente’ e non ‘diretta’. Secondo la difesa, tale misura si baserebbe sull’art. 648-quater c.p., norma introdotta in un’epoca successiva alla commissione dei fatti. L’applicazione di tale norma sarebbe stata quindi illegittima, violando il principio di irretroattività della legge penale più sfavorevole.

In subordine, la ricorrente sosteneva che la confisca avrebbe dovuto limitarsi al solo profitto da lei effettivamente tratto dall’operazione di reimpiego, e non all’intera somma proveniente dal reato presupposto, a cui lei era estranea.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, ritenendolo infondato. Il ragionamento dei giudici è stato lineare e si è basato su principi ormai consolidati in giurisprudenza.

In primo luogo, la Corte ha qualificato la misura come confisca diretta del profitto del reato contestato alla ricorrente, ovvero l’impiego di denaro di provenienza illecita (art. 648-ter c.p.). Il denaro, per sua natura, è un bene fungibile: una volta entrato illecitamente nel patrimonio di un soggetto, qualsiasi somma di pari valore che venga successivamente trovata rappresenta l’originario accrescimento patrimoniale. Pertanto, la confisca di tale somma non è ‘per equivalente’, ma colpisce direttamente l’oggetto del reato.

La Suprema Corte ha richiamato l’orientamento delle Sezioni Unite (sentenza n. 42415 del 2021), secondo cui ‘La confisca del denaro costituente profitto o prezzo del reato, comunque rinvenuto nel patrimonio dell’autore della condotta, va sempre qualificata come diretta’. Di conseguenza, non è necessario provare che le banconote sequestrate siano fisicamente le stesse ricevute illecitamente.

Questo approccio rende del tutto irrilevante la questione sull’applicabilità dell’art. 648-quater c.p., poiché tale norma disciplina esclusivamente la confisca per equivalente, un’ipotesi che non ricorre nel caso di specie.

Infine, anche il secondo motivo di ricorso è stato respinto. La Corte ha chiarito che il profitto conseguito dalla ricorrente tramite la sua condotta di illecito reimpiego coincideva esattamente con l’importo pervenuto nella sua disponibilità (63.300 euro) e interamente destinato all’investimento immobiliare. Il suo patrimonio si era accresciuto, per effetto della condotta illecita, in misura pari al valore delle cose che ne avevano costituito l’oggetto.

Le Conclusioni

La sentenza in commento rafforza un importante strumento di contrasto alla criminalità economica. Stabilendo che la confisca diretta del denaro è sempre possibile quando questo rappresenta il profitto di un reato, la Cassazione impedisce che i proventi illeciti possano essere ‘ripuliti’ semplicemente mescolandoli con fondi leciti. La fungibilità del denaro diventa così un’arma a favore dello Stato e non un ostacolo, garantendo che il crimine non paghi e che i patrimoni illecitamente accumulati vengano effettivamente recuperati, a prescindere dalle trasformazioni che hanno subito.

Quando la confisca di una somma di denaro è considerata ‘diretta’ e non ‘per equivalente’?
La confisca di una somma di denaro che costituisce il profitto o il prezzo di un reato è sempre qualificata come ‘diretta’. Ciò è dovuto alla natura fungibile del denaro: la misura non colpisce le specifiche banconote, ma l’aumento patrimoniale illecito che è entrato nella disponibilità del reo e che lì permane.

Perché la Corte ha ritenuto irrilevante la data di introduzione della norma sulla confisca per equivalente (art. 648-quater c.p.)?
Perché la norma sull’istituto della confisca per equivalente non era applicabile al caso di specie. La Corte ha stabilito che si trattava di una confisca diretta del profitto del reato, una misura già prevista dall’ordinamento e non soggetta ai limiti temporali della confisca per equivalente, introdotta successivamente.

Il profitto del reato di reimpiego di denaro illecito coincide con l’intera somma reinvestita?
Sì. Secondo la Corte, il profitto ottenuto dalla condotta di illecito reimpiego coincide con l’intero importo che è entrato nella disponibilità del soggetto e che è stato destinato all’attività economica o finanziaria. L’arricchimento patrimoniale è pari al valore delle cose che sono state oggetto del reimpiego.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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