Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 30534 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 30534 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 27/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da ·COGNOME NOMECOGNOME nato a Lecce il 19/7/1971
avverso l’ordinanza del 10/12/2024 della Corte d’appello di Lecce, Sezione distaccata di Taranto visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Presidente NOME COGNOME lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME ricorre per la cassazione dell’ordinanza del 10 dicembre 2024 con la quale la Corte d’appello di Lecce, Sezione distaccata di Taranto, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha rigettato la richiesta formulata dal ricorrente e volta a ottenere la revoca della confisca diretta del profitto del reato di cui all’art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000, statuizione confermata dalla Corte di appello di Lecce, Sezione distaccata di Taranto, con la sentenza dell’8 febbraio 2019, divenuta irrevocabile il 25 giugno 2019, dichiarativa della estinzione per prescrizione di tale reato e confermativa, appunto, della sola confisca diretta del profitto del delitto di cui all’articolo 10-ter decreto legislativo 10 marzo 2000 numero 74 perché, in qualità di rappresentante legale della RAGIONE_SOCIALE con sede in Statte, ometteva il versamento dell’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale per l’anno 2009 per un ammontare complessivo di 341.606 euro. In Taranto il 24 settembre 2010.
Avverso tale ordinanza il richiedente ha proposto ricorso per cassazione, mediante l’Avvocato NOME COGNOME che lo ha affidato a un unico articolato motivo, mediante il quale ha denunciato, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la violazione dell’art. 240 cod. pen.
In premessa, il ricorrente ha esposto che egli fu dichiarato responsabile dal Tribunale di Taranto del delitto di cui all’art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000, con la confisca, diretta e per equivalente, del profitto di tale reato, pari a euro 341.606,00; con sentenza dell’8 febbraio 2019 la Corte d’appello di Lecce, Sezione distaccata di Taranto, aveva dichiarato estinto per prescrizione tale reato e confermato le statuizioni in ordine alla confisca diretta del profitto; questa era stata eseguita il 3 marzo 2023, sottoponendo a vincolo la somma di euro 56.499,05, giacente su tre conti correnti bancari, e le quote di partecipazione al capitale sociale della RAGIONE_SOCIALE con istanza del 7 marzo 2023 era quindi stato chiesto l’annullamento della confisca per equivalente, in ragione della inapplicabilità alla vicenda del disposto dell’art. 578-bis cod. proc. pen., trattandosi di fatti commessi nel 2010; nel corso del procedimento di esecuzione il ricorrente aveva poi depositato i documenti da cui era possibile ricavare che, a suo dire, la somma rinvenuta costituiva il corrispettivo della vendita di un immobile in Ravenna di proprietà del ricorrente medesimo acquistato successivamente alla commissione del reato; nonostante ciò, la Corte d’appello aveva dichiarato inammissibile l’istanza di revoca della confisca; avverso tale provvedimento era stato proposto ricorso per cassazione, qualificato dalla Corte di cassazione come opposizione ai sensi dell’art. 667, comma 4, cod. proc. pen.; la Corte d’appello, nel decidere tale opposizione, aveva rigettato l’istanza, evidenziando che la confisca confermata era
solamente quella diretta e sottolineando l’irrilevanza, alla luce dei principi affermati dalle Sezioni Unite nelle sentenze COGNOME e COGNOME, della provenienza delle somme di denaro oggetto della confisca, senza considerare che l’omesso versamento Iva oggetto della contestazione risaliva all’anno 2010, né quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità successiva alle decisioni delle Sezioni Unite richiamate dalla Corte d’appello, che avevano ribadito la perdurante necessità di dimostrare il nesso eziologico tra il denaro rinvenuto nel patrimonio del destinatario della confisca e il reato.
Tanto premesso, il ricorrente ha censurato l’affermazione contenuta nell’ordinanza impugnata, in ordine alla irrilevanza della provenienza delle somme utilizzate per l’acquisto degli immobili successivamente alienati e il cui prezzo era stato riversato sui conti del ricorrente e poi confiscato, non essendo stata illustrata dalla Corte d’appello la provenienza delle somme impiegate per l’acquisto di tali immobili dal profitto del reato, essendo, per contro, stata fornita dal ricorrente la prova dell’acquisto di tali beni, il 14 novembre 2016, mediante accollo del mutuo su essi gravante e la stipula di altro mutuo e, dunque, con somme diverse dal profitto del reato.
Ha, pertanto, lamentato l’omessa considerazione da parte della Corte d’appello della provenienza lecita delle somme sequestrate e chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
Il Procuratore Generale ha concluso sollecitando il rigetto del ricorso, richiamando l’orientamento interpretativo di cui alle sentenze COGNOME e COGNOME delle Sezioni Unite secondo cui la confisca del denaro costituente profitto o prezzo del reato, comunque rinvenuto nel patrimonio dell’autore della condotta, e che rappresenti l’effettivo accrescimento patrimoniale monetario conseguito, va sempre qualificata come diretta, e non per equivalente, in considerazione della natura fungibile del bene, con la conseguenza che non è ostativa alla sua adozione l’allegazione o la prova dell’origine lecita della specifica somma di denaro oggetto di apprensione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato nei limiti e sulla base delle seguenti considerazioni.
Osserva il Collegio come la questione posta con il motivo di ricorso richieda alcune preliminari precisazioni, necessarie alla luce dell’evoluzione normativa e giurisprudenziale in materia, soprattutto a seguito di diverse pronunce delle Sezioni unite della Corte Suprema che si sono succedute sul tema della confisca diretta e per equivalente del profitto del reato.
2.1. Innanzitutto, occorre considerare che, nel caso in esame, si verte in tema di confisca per il reato tributario di cui all’art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000.
Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, il profitto dei reati tributari (e certamente ciò vale per il delitto ex art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000) deriva dall’inadempimento dell’obbligazione tributaria e si sostanzia, di regola, nel risparmio di spesa procurato al soggetto (persona fisica o, secondo i casi, giuridica) tenuto al pagamento dell’imposta.
La Corte ha infatti chiarito che, nei reati tributari, l’oggetto dell’ablazione può riguardare sia il risparmio di spesa cd. relativo, costituito dalla mancata diminuzione dell’attivo patrimoniale del soggetto tenuto al pagamento dell’imposta, e sia il risparmio di spesa cd. assoluto, costituito dal mancato aumento del passivo del soggetto tenuto al pagamento del tributo.
Tuttavia, come sarà più chiaro in seguito, la differenza tra risparmio di spesa cd. assoluto e risparmio di spesa cd. relativo rileva ai soli fini della qualificazione della forma della confisca (ossia se diretta o per equivalente con tutte le conseguenze che da tale qualificazione derivano).
La ragione per la quale, nei reati tributari, il profitto del reato è costituito d risparmio di spesa, sia assoluto che relativo, è normativa (Sez. 6, n. 3635 del 20/12/2013, dep. 2014. RAGIONE_SOCIALE, Rv. 257788 – 01).
La Legge Finanziaria 24 dicembre 2007, n. 244, art. 1, comma 143, e, in continuità normativa, l’art. 12-bis d.lgs. n. 74 del 2000 hanno stabilito che sono confiscabili (confisca diretta o in forma specifica) i beni che costituiscono il profitt (o il prezzo) dei reati tributari, salvo che detti beni appartengano a persona estranea al reato, e hanno reso praticabile, ex positivo iure, l’applicazione della confisca per equivalente (o di valore) anche nei confronti degli autori dei reati tributari soltanto nei casi in cui il ricorso alla confisca diretta non sia possibile, p qualunque causa (ontologica, perché il profitto non è rinvenibile e neppure rintracciabile o giuridica perché, come nel caso in esame, la confisca di valore, che dovrebbe essere disposta nei confronti dell’ente beneficiario del profitto in misura appunto equivalente al risparmio di spesa conseguito, non è consentita nei confronti della persona giuridica che abbia beneficiato del profitto non rinvenuto e non rintracciato).
Le richiamate norme – avendo espressamente assoggettato a sequestro e a confisca il profitto del reato tributario ed essendo detto vantaggio economico, sebbene non accrescitivo, costituito appunto da un risparmio – hanno ritenuto profitto del reato tributario il risparmio di spesa tout court senza alcuna distinzione tra risparmio di spesa relativo e risparmio di spesa assoluto.
Come detto, nei reati tributari, il profitto deriva dall’inadempimento di un’obbligazione – di regola, liquida, esigibile e quantificata in termini monetari preesistente o, al più, coincidente con il compimento della condotta che tipicizza il
fatto di reato, sicché il profitto si realizza, di regola, con il mancato pagamento del tributo. La conseguenza è che, essendo il profitto costituito dal risparmio economico da cui consegue l’effettiva sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale, di cui certamente beneficia il reo oppure la persona giuridica per la quale il reo ha agito, la confisca diretta o per equivalente è riferibil all’ammontare dell’imposta evasa, in quanto quest’ultima costituisce un indubbio vantaggio patrimoniale direttamente derivante dalla condotta illecita e, come tale, riconducibile alla nozione di “profitto” del reato tributario (Sez. 3, n. 1199 del 02/11″011, dep. 2012, COGNOME, Rv. 251893-01). Si tratta di un principio, convalidato dalle stesse Sezioni Unite, le quali hanno affermato che, in tema di reati tributari, il profitto, confiscabile anche nella forma per equivalente è costituit da qualsivoglia vantaggio patrimoniale direttamente conseguito alla consumazione del reato e può, dunque, consistere anche in un risparmio di spesa, come quello derivante dal mancato pagamento del tributo, interessi, sanzioni dovuti a seguito dell’accertamento del debito tributario. (Sez. Un., n. 18374 del 31/01/2013, Adami, Rv. 255036).
Non rileva perciò che il beneficiario del profitto fosse o meno finanziariamente capiente nel momento in cui avrebbe dovuto adempiere all’obbligazione tributaria e, quindi, è irrilevante se il risparmio.di spesa, conseguente al mancato pagamento del tributo, sia consistito nel mancato esborso di una somma di denaro della quale il beneficiario avesse la disponibilità (mancata diminuzione dell’attivo) o, in caso contrario, in un mancato aumento del passivo.
Ne deriva che il profitto confiscabile nei reati tributari attiene sia al risparmio di spesa relativo che a quello assoluto, con la specificazione che, nel caso di risparmio di spesa relativo, può farsi luogo, ricorrendone le condizioni, alla confisca diretta del profitto, mentre, nel caso di risparmio di spesa assoluto – essendo impossibile l’adozione della confisca diretta per assenza in rerum natura del bene al momento di consumazione del reato – la confisca può essere disposta solo per equivalente, ricorrendo uno dei casi previsti dalla clausola (“… quando essa non è possibile …”) presente nel corpo dell’art. 12-bis d.lgs. n. 74 del 2000, che configura la confisca di valore come sussidiaria rispetto alla confisca diretta del profitto ed alla quale si deve ricorrere solo quando la confisca diretta non sia possibile.
2.2. In secondo luogo, nel caso in esame, occorre precisare che il reato è stato commesso da una persona fisica (il ricorrente) che ha agito in qualità di legale rappresentante di una persona giuridica (la RAGIONE_SOCIALE).
Il reato di cui all’art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000 non rientra nel novero di quelli che, ai sensi della legge 8 giugno 2001 n. 231, consentono l’adozione della confisca per equivalente nei confronti dell’ente.
Ciò significa che, quanto all’autore del reato, può essere disposta nei suoi confronti la confisca per equivalente ma soltanto nel caso di impossibilità di ricorrere a quella in via diretta nei confronti della RAGIONE_SOCIALE
Tuttavia, come si evince dal testo del provvedimento impugnato, la confisca per equivalente nei confronti del ricorrente è stata comunque correttamente esclusa dal giudicato, in presenza della dichiarata prescrizione del reato e in considerazione del carattere eminentemente sanzionatorio di tale forma di confisca, circostanza che comporta l’adozione delle garanzie stabilite dallo statuto penalistico, anche in materia di applicazione della legge penale nel tempo (art. 2 cod. pen. in relazione all’art. 578-bis cod. proc. pen.).
Maturato il giudicato, questa questione non rientra, comunque, tra quelle devolute alla Corte con l’impugnazione.
Tanto precisato, essendo quindi in gioco esclusivamente la confisca diretta, quest’ultima non può che colpire beni, i quali, derivando dal reato .di omesso versamento dell’Iva, siano rimasti nella disponibilità del beneficiario del profitto (ossia della persona giuridica: la RAGIONE_SOCIALE) poiché, in caso contrario, si sarebbe in presenza di una confisca per equivalente, che però è stata rimossa dal giudicato.
Se allora il profitto dei reati tributari si risolve in un risparmio economico (s risparmia, cioè, una somma di denaro) e se il profitto del reato si identifica con il vantaggio derivante in via diretta ed immediata dalla commissione dell’illecito, allora occorre, nel caso in esame, la prova che la somma di euro 56.499,05, giacente su tre conti correnti bancari del ricorrente, e le quote di partecipazione al capitale sociale della RAGIONE_SOCIALE, siano diretta derivazione di provviste economiche che la società, in epoca posteriore e prossima alla consumazione del reato, abbia destinato al patrimonio privato del ricorrente, che ne era anche l’amministratore.
Va cioè applicato il principio di diritto, che pure il giudice dell’esecuzione mostra di ritenere applicabile, secondo il quale nella nozione di profitto funzionale alla confisca in forma specifica rientrano non soltanto i beni appresi per effetto diretto ed immediato dell’illecito, ma anche ogni altra utilità che sia conseguenza, anche indiretta o mediata, dell’attività criminosa e, quindi, anche le somme di danaro illecitamente risparmiate dalla persona giuridica e successivamente da questa reinnpiegate a vantaggio del reo, quando l’impiego del denaro sia causalmente collegabile al reato e sia soggettivamente attribuibile all’autore di quest’ultimo (v. Sez. U, n. 10280 del 25/10/2007, dep. 2008, COGNOME, Rv. 238700 – 01 e in motivazione).
4. Nondimeno, per quanto affermato in precedenza, ciò implica che, nella specie, si verta – e la motivazione censurata non lo chiarisce – in una ipotesi di risparmio di spesa relativo, perché nel caso di risparmio di spesa assoluto (ossia nel caso che all’epoca della commissione del reato, ossia in data 24 settembre 2010, la società fosse incapiente, essendo del tutto priva di attivo e di liquidità) sarebbe stato impossibile sequestrare o confiscare, in via diretta , il profitto del reato tributario, cosicché eventuali somme di denaro entrate nel patrimonio sociale dopo la commissione del reato sarebbero, in questo caso, prive del nesso di pertinenzialità e, quindi, di derivazione causale del bene rispetto al reato, non potendo perciò rientrare pacificamente nella nozione di profitto confiscabile in via diretta.
Di conseguenza, deve ritenersi che la confisca in forma diretta del profitto derivante dal delitto di omesso versamento dell’Iva, di cui all’art. 10-ter, d.lgs. n. 74 del 2000, commesso dall’amministratore di una persona giuridica, può avere ad oggetto le disponibilità monetarie e comunque il saldo attivo presente sul conto corrente sociale al momento della consumazione del reato, coincidente con la presentazione della dichiarazione Iva relativa all’anno interessato, tanto sul rilievo che le disponibilità monetarie non siano diminuite per il risparmio di spesa (cd. relativo) conseguito con il mancato versamento dell’imposta, restando onere della difesa allegare circostanze specifiche da cui desumere che, alla data di consumazione del reato, non fossero disponibili somme di denaro o non vi fossero sul predetto conto somme liquide a disposizione del contribuente o che il denaro successivamente incamerato dalla persona giuridica o confluito sul conto sia frutto di accrediti con causa lecita effettuati dopo la consumazione del reato.
5. Ora, nel caso in esame, la Corte d’appello, nel richiamare i principi espressi dalle sentenze COGNOME e COGNOME delle Sezioni unite, ha escluso la rilevanza di quanto dedotto dal ricorrente circa la provenienza delle somme confiscate (secondo cui dalla vendita degli immobili acquistati dal ricorrente medesimo nel 2016 sarebbero state ricavate le somme rinvenute sui suoi conti correnti bancari e acquistate le quote della RAGIONE_SOCIALE), sottolineando che “la somma di euro 245.000,00 era stata ricavata dalla vendita di due immobili acquistati il 20.07.2016, , acquisto avvenuto sei anni dopo l’omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto di cui al capo d’imputazione, per cui essendo successivo e ritenendo che il profitto del delitto è consistito in un risparmio di spesa conseguente all’omesso versamento delle imposte, è lecito ritenere che quel risparmio illecito si sia confuso con patrimonio lecito del COGNOME e sia stato impiegato per l’acquisto dei due immobili”; si afferma, dunque, che “il fulcro del ragionamento non è la provenienza delle somme confiscate, ma la provenienza delle somme utilizzate per l’acquisto dei due immobili nel 2016. Pertanto, se è qualificabile quale confisca diretta quella
avente ad oggetto i beni acquistati con il denaro profitto del reato, altrettanto è a dirsi per le somme ricavate dalla vendita degli stessi beni”.
Nel pervenire a tale conclusione, però, la Corte distrettuale è partita dal presupposto, del tutto immotivato, che le somme di denaro risparmiate dalla persona giuridica per l’omesso pagamento dell’Iva siano confluite nel patrimonio del COGNOME; che, con quelle somme (le quali si sarebbero confuse nel suo patrimonio), quest’ultimo abbia acquistato gli immobili e che, dalla vendita di detti immobili, egli abbia acquistato quote sociali e implementato l’attivo dei suoi conti correnti.
Tuttavia, la confisca, dovendo essere eseguita in forma specifica e non per equivalente, deve colpire la persona giuridica (la beneficiaria del profitto) e non il suo legale rappresentante (ossia l’autore del reato), salvo il caso in cui la persona giuridica sia uno schermo fittizio attraverso il quale il reo agisca come effettivo titolare dei beni.
La qual cosa risulta essere stata esclusa dalla sentenza di primo grado (pag. 5) ed essendosi formato il giudicato sul punto.
Perciò, in questo caso, occorre la prova rigorosa che non ci sia soluzione di continuità tra somma di denaro risparmiata, con conseguente mancato decremento dell’attivo, e suo reimpiego, in tutto o in parte, in qualsiasi altra forma ad essa causalmente collegata.
Occorre cioè che si sia in presenza di una “metamorfosi” del profitto o del prezzo del reato, cioè si sia in presenza di una utilità economica mediata e indiretta acquisita successivamente al reato (surrogato, reimpiego), ma, in ogni caso, collegata eziologicamente all’illecito e, soprattutto, all’uso del profitto o del prezzo derivante dal reato: occorre, cioè, la prova che la somma di denaro o il bene utilizzato per il reimpiego siano derivanti dal reato; sussista la prova, sulla base delle concrete circostanze di tempo e di luogo, che proprio il denaro che costituisce il prezzo o il profitto del reato – versato sul conto – sia poi stato prelevato utilizzato per l’impiego e per l’acquisto di un ulteriore bene (Sez. U, n. 13783 del 26/09/2024, dep. 2025, COGNOME, in motivazione par. 18).
In assenza di motivazione a sostegno dell’assunto sostenuto dall’ordinanza impugnata, e cioè che la società abbia veicolato verso il suo legale rappresentate il profitto del reato, con conseguente reimpiego di esso da parte del ricorrente, l’ablazione nei confronti di quest’ultimo, mancando la prova dell’assunto, sarebbe surrettiziamente diretta, ma nella sostanza si risolverebbe in una confisca per equivalente e, pertanto, illegittima.
Alla luce di ciò, si rende, pertanto, necessario un nuovo esame della istanza di revoca della confisca “diretta” avanzata dal ricorrente.
Il giudice del rinvio dovrà tenere conto che il giudicato sulla confisca diretta del profitto del reato di omesso versamento dell’Iva si è formato nei confronti della
società e non del ricorrente.
Di conseguenza, sul presupposto che, in tema di esecuzione, non sussiste un onere probatorio a carico del soggetto che invochi un provvedimento
giurisdizionale favorevole, ma solo un onere di allegazione, cioè un dovere di prospettare e di indicare al giudice i fatti sui quali la sua richiesta si basa
incombendo poi alla autorità giudiziaria il compito di procedere ai relativi accertamenti (Sez. 1, n. 34987 del 22/09/2010, COGNOME, Rv. 248276 – 01), il
giudice di rinvio verificherà, anche attraverso richieste di atti e informazioni, se, alla data di consumazione del reato, la società, beneficiaria del profitto, aveva o
meno liquidità (e ciò indipendentemente dalla tesi difensiva, puntualmente disattesa dai giudici di merito, circa l’impossibilità da parte della persona giuridica
di adempiere all’obbligazione tributaria a causa del mancato incasso di fatture emesse nei confronti di committenti pubblici e privati rimaste insolute e con una
parte dell’attivo impiegata per il pagamento dei lavoratori), traendo da ciò le necessarie conseguenze secondo i principi di diritto enunciati nei precedenti paragrafi e in particolare ai paragrafi 3, 4 e 5 del considerato in diritto e spiegando sulla base di quali elementi fattuali e logici sia possibile ritenere che le somme utilizzate per l’acquisto dei due immobili nel 2016 e/o confluite su conti correnti del COGNOME provengano dal risparmio di spesa della RAGIONE_SOCIALE, conseguente all’omesso versamento dell’Iva per l’anno 2009.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte d’appello di Lecce, Sezione distaccata di Taranto in diversa composizione. Così deciso il 27/05/2025