Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 2137 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 2137 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/09/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: NOME COGNOME nato a ROMA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a ROMA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 23/01/2023 del TRIBUNALE di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni scritte del AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO doti:. NOME COGNOME, il qual ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Ritenuto in fatto
Con sentenza n. 31900 del 25/05/2022, la I sezione di questa Corte ha annullato con rinvio l’ordinanza del 3 maggio 2021, con la quale il Tribunale di Roma aveva rigettato la richiesta di revocazione proposta, nell’interesse di NOME COGNOME e di NOME COGNOME, in relazione al decreto emesso dal Tribunale di Roma il 19 giugno 2000, riformato con decreto emesso dalla Corte di appello di Roma il 6 luglio 2005: provvedimenti in forza dei quali risultava disposta la confisca di prevenzione di beni che erano stati ritenuti riconducibili al deceduto NOME COGNOME, dante causa delle richiedenti, raggiunto da giudizio di pericolosità sociale.
1.1. La richiesta di revocazione era fondata sulla dedotta illegittimità della confisca scaturente dalla sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2019, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle disposizioni che consentivano la confisca di beni appartenenti a persone dedite ad attività delittuose – categoria ora prevista dall’art. 1, lett. a), d.lgs. n. 159 del 2011 – mantenendo ferma solo la disposizione che consente la confisca di beni appartenenti a persone che vivono abitualmente con i proventi di attività delittuose – categoria ora prevista dall’art. 1, lett. b), d.lgs. n. 159 del 2011.
1.2. Il Tribunale di Roma, con l’ordinanza del 3 maggio 2021, aveva ritenuto che i provvedimenti ablativi sopra citati avessero disposto la confisca in relazione alla seconda ipotesi, ravvisando a carico del soggetto, cui i beni confiscati erano ritenuti riconducibili, la qualità di persona che viveva abitualmente con i proventi di attività delittuose.
1.3. La I sezione di questa Corte, come accennato, ha annullato l’ordinanza appena citata, rilevando: a) che il provvedimento impugnato non recava motivazione convincente in ordine alle ragioni in base alle quali – alla luce delle statuizioni e delle osservazioni contenute non solo nel decreto del Tribunale di Roma del 19 giugno 2020, ma anche nel decreto della Corte di appello di Roma del 6 luglio 2005 – potesse concludersi che la pericolosità generica di NOME fosse stata affermata ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. b) , d, Igs. 6 settembre 2011, n. 159, ossia ritenendo a suo carico che egli vivesse abitualmente con i proventi di attività delittuose, e non ai sensi del solo art. 1, comma 1, lett. a), dello stesso d.lgs., ossia ritenendo che egli fosse persona dedita ad attività delittuose; b) che a tale mancanza di idonea spiegazione non potevano sopperire, perché logicamente insufficienti, le considerazioni richiamate nell’ordinanza impugnata, secondo le quali nei precedenti provvedimenti era stata ritenuta la provenienza illecita dei guadagni investiti da NOME nell’acquisto dei beni poi confiscati; c) che, infatti, a tal riguardo, doveva essere valorizzata la differenza tra le valutazioni concernenti la sfera oggettiva e riguardanti il rapporto fra
determinati beni e la provenienza del denaro necessario per acquistarli, e le valutazioni attinenti alla sfera soggettiva, circa la qualificazione di una persona come abitualmente vivente con i proventi di attività delittuose.
1.4. Con ordinanza del 23 – 30 gennaio 2023 il Tribunale di Roma ha respinto la richiesta di revoca della confisca, affermando che, avuto riguardo alle circostanze, agli elementi e alle considerazioni rinvenibili nei decreti ablativi, doveva ritenersi che, al di là del dato testuale e letterale delle singole espressioni utilizzate, tanto NOME quanto il padre, NOME, fossero stati ritenuti pericolosi, in quanto soggetti che vivevano abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose.
Nell’interesse di NOME COGNOME e di NOME COGNOME è stato proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo di seguito enunciato nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen., con il quale si denuncia violazione di legge, per avere il Tribunale trascurato di considerare come sia la proposta del P.M. del 18 maggio 2008 sia i provvedimenti ablativi avessero fatto riferimento, in termini non equivoci, alla pericolosità di cui all’art. 1, n. 1, I. 1423 del 1956, ritenendo che NOME COGNOME fosse abitualmente dedito a traffici delittuosi.
Sono state trasmesse, ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. 28/10/2020, n. 137, conv. con I. 18/12/2020, n. 176, le conclusioni scritte del AVV_NOTAIO, il quale ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso, nonché memoria di replica nell’interesse delle ricorrenti con la quale si insiste per l’accoglimento del ricorso.
Considerato in diritto
Le censure prospettate dalle ricorrenti sono inammissibili, perché sviluppano critiche all’apparato motivazionale del provvedimento impugnato che, oltre a non essere meramente apparente, non presenta alcun profilo di illogicità.
La sentenza di annullamento della I sezione di questa Corte aveva demandato al giudice del rinvio la valutazione in ordine al se l’originario provvedimento ablativo fosse stato adottato nel confronti del proposto in ragione di una pericolosità generica fondata sul presupposto che egli vivesse abitualmente con i proventi dì attività delittuose.
Ora, l’ordinanza impugnata, all’esito di una compiuta disamina del titolo genetico, quale risultante dalla motivazione del decreto del Tribunale e della Corte d’appello, ha razionalmente sottolineato come il proposto fosse dedito in modo
abituale a specifiche attività delittuose (furti, rapine, traffico di stupefacenti e scommesse clandestine) produttrici di profitti che, per un consistente arco temporale, avevano rappresentato l’unico reddito del primo, non essendo emerse altre lecite fonti idonee a garantire mezzi di sostentamento.
D’altra parte, l’originaria richiesta della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma, all’esito di una disamina delle risultanze acquisite, aveva appunto concluso nel senso che doveva ritenersi che i vari soggetti ivi indicati «vivano dei proventi delle attività illegali di cui sopra», con la c:onseguenza che, coerentemente (ossia nel rispetto del principio di correlazione tra proposta e decisione), il Tribunale, nel decreto del 19 giugno 2000, ha richiamato anche siffatto presupposto nella sua motivazione.
Anche nel decreto della Corte d’appello (che, per quanto qui rileva, ossia per quanto concerne i presupposti della misura della quale si tratta, ha confermato la decisione del primo giudice), si rinviene, nonostante una valoriz2:azione anche del n. 1 dell’art. 1 della I. n. 1423 del 1956, applicabile all’epoca, un richiamo al n. 2. Ma, indipendentemente da ciò, proprio la necessaria integrazione dei due apparati motivazionali convince della logicità, come detto, dell’interpretazione fornita dal provvedimento impugnato, quanto al presupposto dell’adozicne della misura ablativa.
Non condivisibilmente le ricorrenti insistono nel valorizzare solo alcuni rilievi argomentativi svolti dal decreto della Corte territoriale che, come detto, fa prevalente riferimento al n. 1 dell’art. 1 della I. n. 1423 del 1956. Invero, non essendo dato cogliere alcuna riforma sul punto da parte del giudice di secondo grado, che ha confermato, in parte qua, il decreto del Tribunale, deve ritenersi che le puntualizzazioni che la Corte territoriale dedica all’indicato parametro normativo non abbiano carattere esclusivo e non ”algano a superare le puntuali considerazioni del primo giudice. Del resto, la stessa sentenza di annullamento impone anche l’esame di quest’ultima decisione, a riprova della necessità di un’analisi congiunta dei due provvedimenti.
Pertanto, il rigetto della richiesta è coerente con le conclusioni questa Corte (Sez. U, n. 3513 del 16/12/2021, dep. 2022, Fiorentino, Rv. 282474 – 01), che ha rilevato come, nei casi in cui la confisca risulti disposta sulla base di un “doppio titolo”, ossia sulla base della attribuzione al proposto sia della categoria soggettiva di cui alla lett. a), del comma 1 dell’art. 1, d. Igs. n. 159 del 2011, sia in quella di cui alla lett. b), sia necessario verificare se il “titolo” di cui alla lett. b) cit rispetto allo specifico provvedimento di confisca che viene in rilievo, autonomo e autosufficiente, ossia svincolato dal sostegno giustificativo correlato alla figura di pericolosità sociale dichiarata incostituzionale da Corte cost., seni:. n. 24 del 2019, e idoneo – nella prospettazione del giudice di merito – a offrire integrale
fondamento al provvedimento ablatorio, in tutte le componenti patrimoniali che ha preso ad oggetto. Qualora tale verifica dia esito positivo, la confisca non può essere revocata, basandosi su un titolo non colpito dalla declaratoria di illegittimità.
Alla pronuncia di inammissibilità consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, in ragione delle questioni dedotte, appare equo determinare in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende
Così deciso il 29/09/2023