Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 7421 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 7421 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 28/11/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a SEREGNO il 26/09/1973
COGNOME NOME nato a MILANO il 21/07/1981
avverso il decreto del 21/06/2024 della CORTE APPELLO di BRESCIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del PG NOME COGNOME che chiesto il rigetto dei ricorsi.
Ritenuto in fatto
Con decreto del 21 giugno 2024, la Corte di appello di Brescia ha dichiarato inammissibile l’istanza di revocazione avanzata dal proposto COGNOME NOME e dalla terza COGNOME NOME avverso il provvedimento del 9 aprile 2014, con cui il Tribunale di Milano, parzialmente riformato dalla Corte d’appello di Milano con decreto in data 21 aprile 2015, aveva disposto la confisca di diversi immobili loro intestati, nell’ambito di un procedimento di prevenzione a carico, tra gli altri, del medesimo COGNOME ritenendo sussistente la pericolosità in relazione alle ipotesi di cui all’art. 1, lett. a) e b), d.lgs. n. 159 del 2011.
L’istanza di revisione era fondata sulla sopravvenuta sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2019, che aveva dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 1,
lett. a), e aveva fornito un’interpretazione costituzionalmente orientata della lett. b) della medesima disposizione.
La Corte d’appello ha escluso che la richiamata sentenza della Corte costituzionale consentisse la revoca del provvedimento in relazione alla ritenuta pericolosità ai sensi della lett. b) dell’art. 1, nonché la necessità della rivalutazione degli elementi posti a sostegno di tale giudizio di pericolosità. Ha, inoltre, ritenuto l’istanza di revocazione tardiva, in quanto proposta oltre il termine di decadenza stabilito dall’art. 28, comma 3, d.lgs. n. 159 del 2011. Invero, le due sentenze con cui il Tulli era stato assolto nell’ambito di due procedimenti, in relazione alla cui instaurazione era stato fondato il giudizio di pericolosità, intervenute successivamente alla definitività del provvedimento che aveva disposto la confisca, risalivano a circa sei anni prima rispetto alla presentazione dell’istanza di revocazione.
Avverso tale provvedimento COGNOME NOME e COGNOME NOME hanno proposto ricorso tramite il comune difensore, avv. NOME COGNOME
2.1. Il primo motivo denuncia vizio di violazione di legge, in relazione all’art. 28 d.lgs. n. 159 del 2011 e 125, comma 3, cod. proc. pen. Ad avviso dei ricorrenti, il decreto impugnato non avrebbe tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2019, che, pur non avendo dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 159 del 2011, attraverso una decisione interpretativa di rigetto, ne avrebbe circoscritto i confini applicativi con effetti erga omnes. Tale pronuncia, invero, doveva ritenersi «rafforzata dall’evidente ratio di dare seguito alle valutazioni della sentenza 23 febbraio 2017, de Tommaso c. Italia, della Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo». In tal senso si sarebbero espresse talune pronunce di legittimità, le quali avevano ritenuto proponibile l’istanza di revocazione volta ad ottenere l’applicazione dei principi espressi dalla richiamata sentenza della Corte costituzione (vengono citate Sez. 1, n. 20156 del 22/04/2021, Rv. 281367 – 01; Sez. 1, n. 20827 del 08/04/2021, Rv. 281544 – 01).
2.2. Il secondo motivo denuncia vizio di violazione di legge, in relazione all’art. 28, d.lgs. n. 159 del 2011 e 125, comma 3 cod. proc. pen. La Corte territoriale, nel ritenere l’istanza tardiva, avrebbe omesso di motivare in ordine alla deduzione difensiva con cui si era rilevato che la notifica delle sentenze assolutorie, poste a fondamento della richiesta di revocazione, era stata effettuata solo al difensore domiciliatario, sicché i ricorrenti non ne avevano avuto conoscenza fino a quando non avevano conferito incarico al nuovo difensore.
Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso.
Considerato in diritto
I ricorsi sono inammissibili.
Il primo motivo è manifestamente infondato.
2.1 Conviene premettere che COGNOME NOME è stato destinatario della misura di prevenzione della confisca perché ritenuto appartenere alle categorie di soggetti di cui all’art. 1, comma 1, lett. a) e b), d.lgs. n. 159 del 2011, in quanto abitualmente dedito a traffici delittuosi e abitualmente sostenuto nelle sue esigenze di vita da proventi di attività delittuose.
2.2. La richiamata disposizione è stata oggetto di vaglio da parte della Corte costituzionale, che con la sentenza n. 24 del 2019, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della lett. a), dell’art. 1. È stata invece ritenuta non fondata la questione di costituzionalità della lett. b) della citata disposizione, la quale individua tra i destinatari delle misure di prevenzione «coloro che per la condotta e il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose». Ciò in quanto, ad avviso del giudice delle leggi, a tale disposizione, per come interpretata negli arresti più recenti di questa Corte di legittimità successivi alla decisione della Corte EDU, Grande Camera, 23 febbraio 2017, De Tommaso c. Italia, è possibile assicurare in via interpretativa «contorni sufficientemente precisi alla fattispecie», in modo da consentire ai consociati di prevedere ragionevolmente in anticipo in quali casi e in quali modi essi potranno essere sottoposti alla misura di prevenzione. Le «categorie di delitto» che possono essere assunte a presupposto della misura sono in effetti suscettibili di trovare concretizzazione in virtù del triplice requisito – da provarsi sulla base di precisi «elementi di fatto», di cui il giudice dovrà dare conto puntualmente nella motivazione (art. 13, secondo comma, Cost.) – per cui deve trattarsi di: a) delitti commessi abitualmente (e dunque in un significativo arco temporale) dal soggetto; b) che abbiano effettivamente generato profitti in capo a costui; c) i quali a loro volta costituiscano – o abbiano costituito in una determinata epoca – l’unico reddito del soggetto, o quanto meno una componente significativa di tale reddito. Per tale ragione la Consulta ha ritenuto non fondata la questione di costituzionalità di detta disposizione.
2.3. Le Sezioni unite di questa Corte, nell’esaminare le conseguenze di tale pronuncia, hanno rilevato come, anche a volerla inquadrare nella categoria delle
sentenze interpretative di rigetto, come tali caratterizzate, tra le pronunce di non accoglimento, da «una maggiore “forza conformativa” rispetto al giudice comune», essa non ha efficacia erga omnes, di tal che non determina un vincolo giuridico nei confronti dei giudici comuni diversi da quello a quo che ha sollevato la questione di costituzionalità, bensì assume solo «valore persuasivo» in ordine alla interpretazione adeguatrice dalla medesima avallata (Sez. U, n. 3513 del 16/12/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282474). Ne hanno tratto la conclusione che l’interpretazione data dalla richiamata sentenza n. 24 del 2019 all’art. 1, lett. b) è priva «di attitudine ad incidere sul giudicato formatosi in relazione al provvedimento che dispone la confisca di prevenzione» e dunque a rimetterlo in discussione.
Con specifico riguardo all’ipotesi – che ricorre nella specie – in cui la confisca sia stata disposta sulla base di un doppio titolo, avendo inquadrato la pericolosità sociale del proposto tanto nella categoria di cui alla lett. a), che in quella di cui alla lett. b) del comma 1 dell’art. 1, d.lgs. n. 159 del 2011, la misura non può essere revocata qualora il titolo di cui alla lett. b) risulti autonomo e autosufficiente rispetto alla figura di pericolosità dichiarata incostituzionale, e idoneo a fondare il provvedimento ablatorio. Nel caso in cui tale verifica dia esito positivo, «la confisca non può essere revocata, basandosi su un titolo non colpito dalla declaratoria di illegittimità». Le Sezioni unite hanno altresì precisato che in tal caso il giudice della revocazione non è chiamato a rivalutare gli elementi posti a fondamento della misura ablatoria alla luce dei criteri interpretativi delineati dalla sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2019, e dunque a verificare se il provvedimento applicativo della misura sia fornito di adeguata motivazione circa la sussistenza del triplice requisito (delitti commessi abitualmente dal proposto che abbiano effettivamente generato profitti per il predetto, costituenti l’unico suo reddito o, quantomeno, una componente significativa dello stesso) necessario, alla luce della richiamata sentenza del giudice delle leggi, affinché le condotte sintomatiche di pericolosità possano rientrare in via esclusiva nella lett. b) dell’art. 1 del d.lgs. n. 159 del 2011. Ciò in quanto, a ritenere diversamente, si finirebbe per attribuire alla richiamata pronuncia n. 24 del 2019 quella efficacia erga omnes di cui essa, in quanto sentenza di rigetto, è invece priva.
2.4. Le Sezioni unite Fiorentino hanno quindi concluso affermando che il giudice della revocazione, investito del ricorso avverso un provvedimento applicativo di misura emessa ai sensi dell’art. 1, lett. a) e lett. b), emesso prima della dichiarazione di incostituzionalità di tale disposizione, non è tenuto ad effettuare una nuova valutazione del materiale probatorio, che è già stato delibato nel contraddittorio delle parti e ritenuto sufficiente a ricavarne la ricorrenza dei presupposti delle misure di prevenzione, per essere il proposto annoverabile anche
nella categoria criminologica di cui alla citata lett. b); fermo restando che il fondamento giustificativo della confisca basato sulla categoria criminologica non investita dalla declaratoria di illegittimità costituzionale deve connotarsi in termini di autonomia e autosufficienza (si veda, in senso conforme, Sez. 1, n. 24709 del 11/01/2023, COGNOME, Rv. 284772 – 01).
3. Alla luce di tali affermazioni, risultano inconferenti le pronunce richiamate dai ricorrenti, atteso che, oltre ad essere antecedenti rispetto all’intervento delle Sezioni unite, esse concernevano la diversa questione del rimedio esperibile avverso il provvedimento definitivo di confisca fondato sulla pericolosità generica, ex art. 1, comma 1, lett. a) e b), d.lgs. n. 159 del 2011, a seguito della sopravvenuta sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2019, nonché l’individuazione del giudice funzionalmente competente.
Nel caso di specie, la Corte d’appello di Brescia si è puntualmente attenuta ai principi espressi dalle Sezioni unite Fiorentino, rilevando che la misura di prevenzione patrimoniale era stata disposta sul presupposto della sussistenza della pericolosità di cui alle lett. a) e b) dell’art. 1, d.lgs. n. 159 del 2011 e che questa Corte di cassazione (con sentenza n. 42817 del 2016) aveva rigettato il ricorso proposto dal Tulli avverso detta misura, affermando che essa era fondata sulla circostanza che egli era abitualmente sostenuto nelle proprie esigenze di vita, anche in parte, dai proventi di attività delittuose.
Pertanto, la sussistenza degli elementi per inquadrare il proposto tra i soggetti socialmente pericolosi ai sensi dell’art. 1, lett. b) è già stata delibata nel contraddittorio delle parti ed è stata ritenuta sufficiente a fondare la confisca, sicché secondo il richiamato insegnamento delle Sezioni unite, questa Corte regolatrice, pur a seguito della sentenza della Corte costituzionale, non è tenuta a disporre l’annullamento del provvedimento che ha applicato la misura di prevenzione.
4. Anche il secondo motivo è manifestamente infondato.
A giustificazione della mancata proposizione tempestiva dell’istanza di revocazione, i ricorrenti hanno dedotto di aver avuto conoscenza delle sentenze assolutorie poste a fondamento di tale istanza solo pochi mesi prima della sua proposizione e che il provvedimento impugnato non aveva motivato in ordine a tale circostanza, pur se puntualmente dedotta con l’atto di impugnazione.
L’art. 28, al comma 3, d.lgs. n. 159 del 2011, nel delimitare l’ambito temporale di ammissibilità della revocazione della confisca di prevenzione, stabilisce che la richiesta deve essere proposta entro sei mesi dalla data in cui si verifica uno dei casi previsti dal comma 1, per i quali il rimedio è consentito, salvo
che l’interessato dimostri di non averne avuto conoscenza per causa a lui non imputabile.
La Corte d’appello ha fatto corretta applicazione di tale disposizione, rilevando che la sentenza di revisione emessa dalla Corte d’appello di Milano in data 9.12.2017, irrevocabile il 29.1.2028 nei confronti di COGNOME NOMECOGNOME nonché la sentenza di assoluzione del Tribunale di Milano del 29/01/2018, irrevocabile il 27/03/2018, risalivano a più di sei anni prima della presentazione dell’istanza di revisione, sicché doveva ritenersi ormai decorso il termine posto a pena di decadenza dal citato art. 28.
Trattasi di conclusione ineccepibile, dal momento che certamente non costituisce ipotesi di ignoranza non imputabile all’istante la circostanza – dedotta dai ricorrenti – che dette sentenze fossero state notificate al difensore di fiducia domiciliatario e non ai medesimi personalmente. È invero onere dell’interessato, il quale abbia eletto domicilio presso il proprio difensore, quello di tenersi informato della celebrazione del processo a suo carico, sicché la mancata conoscenza del suo esito è attribuibile a colpa, ed è come tale inidonea ad escludere una ignoranza incolpevole tale da giustificare il mancato rispetto del termine di decadenza prescritto dal richiamato comma 3 dell’art. 28, d.lgs. n. 159 del 2011.
Alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione consegue ex lege, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma determinata, equamente, in euro 3.000,00.
PQM
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 28 novembre 2024.