Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 43428 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 43428 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a San Cipriano D’Aversa il DATA_NASCITA
avverso il decreto del 04/04/2019 della Corte di appello di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con il decreto in epigrafe indicato la Corte di appello di Napoli ha confermato il decreto del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere del 19/11/2015 con il quale è stata rigettata la proposta applicazione a NOME COGNOME della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno nel Comune di residenza, per difetto dell’attualità della pericolosità sociale, ed è stata disposta la confisca del fabbricato ivi indicato intestato al proposto.
Avverso il suddetto decreto ha proposto ricorso per cassazione il difensore del proposto denunciando un unico, articolato motivo di annullamento, per violazione di legge in relazione agli artt. 166 cod. pen., 125 cod. proc. pen., 2-ter, 7 e 24 d.lgs. 159/2011, relativamente alla confisca del bene.
2.1. Si deduce, in primo luogo, che la Corte, violando il disposto dell’art. 166, comma 2, cod. pen., ha desunto la pericolosità del proposto dagli elementi probatori acquisiti nel procedimento penale che ha portato all’applicazione nei suoi confronti, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., della pena di anni due di reclusione, con il beneficio della sospensione condizionale.
Si aggiunge che l’applicazione di una pena oggettivamente esigua e condizionalmente sospesa è indice di assenza di pericolosità o di forti legami con la compagine criminale e non può fondare il giudizio di pericolosità.
2.2. Si rileva, in secondo luogo, che la motivazione è apparente in relazione alla correlazione tra manifestazione della pericolosità del proposto e acquisizioni patrimoniali. Anche a voler ritenere il ricorrente pericoloso nel periodo di partecipazione all’RAGIONE_SOCIALE (ossia fino al 2003, secondo la contestazione), non si può sostenere che le risorse successivamente impiegate per la realizzazione dell’immobile confiscato siano state il frutto della illecita attività svolta, in qu periodo, nel RAGIONE_SOCIALE camorristico.
Difetta anche la sproporzione tra il costo del bene oggetto di confisca e i redditi dichiarati e l’attività svolta. Il proposto ha ricevuto una quota del fabbricato in eredità nel 1979, ha successivamente acquistato le altre quote (nel 1998 e nel 2004) e, infine, ha proceduto alla demolizione e nuova edificazione (dal 2004 al 2006). Dal 1995 al 2006 ha lavorato presso la RAGIONE_SOCIALE, sottoposta a sequestro e poi confiscata, sicché le retribuzioni venivano pagate dall’amministratore giudiziario; ha beneficiato di elargizioni periodiche di un parente e di una vincita e ha, inoltre, contratto due mutui (nel 2004 e nel 2006). Da ciò consegue che la sua capacità economica era proporzionata ai costi sostenuti per la realizzazione dell’immobile, come risulta anche dalla consulenza tecnica prodotta.
Disposta la trattazione scritta del procedimento, in mancanza di richiesta nei termini ivi previsti di discussione orale, il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO ha depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
2. Giova premettere che, nel procedimento di prevenzione, il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge, secondo il disposto dell’art. 10, comma 3, d.lgs. 159/2011, richiamato, per le impugnazioni dei provvedimenti di confisca, dal successivo art. 27, comma 2. Ne consegue che, in tema di sindacato sulla motivazione, è esclusa dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimità l’ipotesi di cui all’art. 606, lett. e), cod. proc. peri., poten esclusivamente denunciare con il ricorso, poiché qualificabile come violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al giudice d’appello dall’art. 10, comma 2, d.lgs. 159/2011, il caso di motivazione inesistente o meramente apparente, che ricorre quando il decreto omette del tutto di confrontarsi con un elemento potenzialmente decisivo nel senso che, singolarmente considerato, sarebbe tale da poter determinare un esito opposto del giudizio (cfr. Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246, che, ir motivazione, ha ribadito che non può essere proposta come vizio di motivazione , mancante o apparente la deduzione di sottovalutazione di argomenti difensivi che, in realtà, siano stati presi in considerazione dal giudice o comunque risultino assorbiti dalle argomentazioni poste a fondamento del provvedimento impugnato).
3. La prima censura è inammissibile perché manifestamente infondata.
Va precisato che, secondo il condivisibile orientamento di questa Corte richiamato nel provvedimento impugnato, la disposizione di cui all’art. 166, comma 2, cod. pen., relativa al divieto di fondare unicamente sulla condanna a pena condizionalmente sospesa l’applicazione di misure di prevenzione, non impedisce al giudice di valutare gli elementi fattuali desumibili dal giudizio penale conclusosi con la sospensione della pena, unitamente ad ulteriori profili di pericolosità acquisiti nel corso del procedimento (Sez. 6, n. 50343 del 13/09/2018, COGNOME, Rv. 275718).
La Corte di appello ha fatto corretta applicazione di tali principi, rilevando che, dalle risultanze delle indagini svolte nel procedimento penale, emerge che il proposto ha avuto un rapporto fiduciario con NOME COGNOME, di cui è cugino di primo grado, e ha partecipato attivamente all’RAGIONE_SOCIALE capeggiata da quest’ultimo e da NOME COGNOME, con compiti di natura “finanziaria”, avendo provveduto a una operazione di trasferimento di una ingente somma da Casapesenna a Parma, su disposizione di NOME COGNOME, per reimpiegare il denaro in operazioni immobiliari. Egli, inoltre, ha avuto un duraturo rapporto di lavoro con la RAGIONE_SOCIALE riconducibile a NOME COGNOME, anche se poi sottoposta a sequestro, e persistenti contatti con esponenti del sodalizio criminoso accertati dalla polizia giudiziaria fino ad epoca prossima al suo arresto, avvenuto il 22 giugno 2006.
Anche la seconda censura non supera il vaglio di ammissibilità perché non evidenzia in concreto alcuna violazione di legge, ma si limita a prospettare un non consentito vizio di motivazione.
Il decreto impugnato ha fatto buon governo del principio di diritto secondo cui, in tema di confisca di prevenzione disposta nei confronti di soggetto appartenente a una RAGIONE_SOCIALE mafiosa, è legittimo disporre la misura ablativa su beni acquisiti in periodo successivo a quello di cessazione della pericolosità qualificata a condizione che ricorra una pluralità di indici fattuali altamente dimostrativi della diretta derivazione causale delle acquisizioni patrimoniali dalla provvista formatasi nel periodo di manifestazione della pericolosità sociale (Sez. 6, n. 36421 del 06/09/2021, Rv. 281990; Sez. 6, n. 5778 del 16/05/2019, COGNOME, Rv. 278328). Si è, infatti, evidenziato che il parametro della “ragionevolezza temporale” non preclude la possibilità che siano acquisiti elementi di univoco spessore indiziante atti a ricondurre gli acquisti compiuti in un momento successivo a detta perimetrazione ad arricchimenti precedenti, atteso che, diversamente argomentando, il dato temporale finirebbe per divenire un possibile strumento di elusione della domanda di applicazione di una misura di prevenzione patrimoniale.
Nel caso di specie è stato escluso che il bene immobile realizzato dal proposto in un periodo coincidente e prossimo a quello di manifestazione della pericolosità qualificata (anni 2004-2006) sia ascrivibile a proventi esistenti prima del suo coinvolgimento nell’RAGIONE_SOCIALE e, anche, che sia frutto dei proventi della propria attività lavorativa o di redditi leciti.
La piena proprietà del fabbricato, ricevuto pro quota in eredità, è stata acquisita nel 2004, nello stesso anno sono iniziate le operazioni di demolizione e ricostruzione in economia, per un costo quantificato nel computo metrico in 150.037,04 euro (mentre mancano le spese necessarie per la demolizione e lo smaltimento, che vanno aggiunte alla cifra appena indicata).
Il Tribunale, nel decreto confermato dalla Corte, ha ritenuto che le modeste entrate del proposto e del nucleo familiare fossero del tutto inadeguate all’acquisto delle quote del preesistente fabbricato, alla sua demolizione e alla nuova edificazione e ha ricondotto l’acquisizione della relativa provvista ai proventi percepiti come partecipe del RAGIONE_SOCIALE.
Né sono idonei a dimostrare la provenienza lecita delle somme utilizzate per la realizzazione del bene i mutui di 52.000 euro (ottenuto nel marzo 2005) e di 10.000 euro (ottenuto nell’aprile 2006), in quanto essi rappresentano un onere finanziario molto gravoso, che il proposto, con sue entrate, non avrebbe potuto
permettersi (i suoi redditi, infatti, non gli avrebbero consentito di pagare le rate che ammontavano, dal 2005, a 426 euro mensili e, dal 2006, a 680 euro mensili).
Inoltre, la determinazione secondo gli indici ISTAT delle spese di mantenimento, nell’ambito della formulazione del giudizio di sproporzione, appare conforme al principi espressi sul punto dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. 2, n. 36833 del 28/09/2021, Caroppo, Rv. 282361) e non è incisa dalle deduzioni difensive, già oggetto di valutazione anche con riferimento al contenuto della consulenza di parte.
Infine, il decreto impugnato evidenzia che la vincita al superenalotto nel 2007 è di importo irrisorio (10.000 euro) così come sono modeste le elargizioni di un parente; in ogni caso sia l’una che l’altra sono successive rispetto alla realizzazione del bene.
Alla declaratoria di inammissibilità consegue la condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.