Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 1272 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 1272 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 05/11/2024
SENTENZA
Sui ricorsi proposti da NOMECOGNOME nato a Cavarzere il 16/10/1952 NOME nato a Rimini il 2/12/1979
avverso il decreto del 24/11/2023 della Corte di appello di Venezia
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dl dichiarare l’inammissibilità dei ricorsi
RITENUTO IN FATTO
Con decreto del 24 novembre 2023 la Corte di Appello di Venezia ha rigettato i ricorsi proposti nell’interesse di NOME COGNOME e NOME COGNOME e ha confermato il decreto adottato dal Tribunale di Venezia – Sezione Misure di Prevenzione il 3 maggio 2023, con cui è stata disposta la confisca di prevenzione
della società RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE e di alcuni beni intestati a tale società e a RAGIONE_SOCIALE
Avverso l’anzidetta sentenza ha proposto ricorsi per cassazione il difensore di NOME COGNOME e NOME COGNOME
Nell’interesse di NOME COGNOME sono stati dedotti i motivi di seguito indicati.
3.1. Violazione di legge in relazione alla dichiarazione di pericolosità di NOME COGNOME avendo la Corte di appello esorbitato dai poteri riconosciutile, avendo dichiarato la pericolosità sociale del ricorrente slegata dall’applicazione di una misura di prevenzione personale o patrimoniale.
3.2. Violazione di legge, per avere la Corte di appello ritenuto NOME COGNOME soggetto pericoloso, visti i precedenti penali e giudiziari e l’assenza di dichiarazioni di redditi per oltre due decenni, senza considerare che il ricorrente ha riportato solo due condanne risalenti al 1988 e al 2007 e ha subito nel 2017/2018 un procedimento penale per truffa aggravata ed estorsione dai contorni nebulosi, così che difetterebbero elementi di fatto apprezzabili in ordine alla realizzazione non episodica di attività delittuose.
Nell’interesse di NOME COGNOME sono stati dedotti i motivi di seguito indicati.
4.1. Violazione dell’art. 24 d.lgs n. 159/2011 in merito ai presupposti applicativi della misura di prevenzione patrimoniale. Secondo il ricorrente, la Corte veneziana ha formulato il giudizio di pericolosità sociale sulla base degli atti del fascicolo del Pubblico ministero relativi a un procedimento penale per i reati di truffa aggravata (commessa nel maggio 2017) ed estorsione aggravata (commessa tra il 6 giugno 2017 e il 15 maggio 2018), senza attendere la formazione della prova in giudizio, come proceduralmente prescritto, e, quindi, senza la valutazione delle prove che saranno fornite dalla difesa. Tale procedimento è frutto di un’indagine svolta nei confronti del defunto fratello del ricorrente, nell’ambito del quale l’odierno proposto sarebbe stato coinvolto per condotte non chiare, non emergendo che dalla truffa contestata il ricorrente avesse percepito somme di denaro né, in generale, vantaggi economici. Le fattispecie di reato si sarebbero realizzate mediante la dazione di denaro da parte della persona offesa a NOME COGNOME mediante bonifici bancari e postali, ma dall’analisi dei conti correnti del ricorrente e della stessa persona offesa non vi sarebbe alcun trasferimento di denaro al ricorrente né dalla presunta persona offesa né da parte di NOME COGNOME. Inoltre, le due condanne riportate dal ricorrente, risalenti agli anni 2001- 2007, non consentono di affermare che il ricorrente stesso abbia posto in essere attività delittuose non episodiche.
B) La Corte veneziana avrebbe errato nel ritenere i beni riconducibili a proventi dell’attività illecita, oggetto del procedimento penale pendente presso la Procura di Padova, non essendovi prova di ciò. Per di più, la menzionata Corte avrebbe presunto non solo la provenienza lecita ma la stessa esistenza delle somme di denaro, utilizzate per l’edificazione del complesso residenziale sottoposto a confisca.
C) La Corte di appello ha ritenuto che la difesa non avesse fornito prova della provenienza lecita delle somme impiegate. Posto che la giurisprudenza consolidata sul punto ritiene che, per l’assolvinnento dell’onere probatorio, posto a carico del soggetto inciso, è sufficiente la nnera allegazione di fatti, situazioni o eventi che, ove riscontrabili, siano idonei ragionevolmente e plausibilmente ad indicare la lecita provenienza dei beni (Sez. U, n. 4880 del 26 giugno 2014, COGNOME e altro, Rv. 262607), il ricorrente ha dedotto di avere adempiuto a tale onere e, laddove la Corte territoriale avesse avuto dei dubbi sulle allegazioni, avrebbe avuto l’obbligo di disporre un’integrazione probatoria mediante l’audizione delle ditte e degli artigiani, intervenuti nell’edificazione. In particolare, l’acquisto della soci non dovrebbe rilevare, poiché effettuato in un periodo antecedente a quello che il Collegio ha ritenuto rilevante ai fini del giudizio di pericolosità del ricorrent Quanto all’edificazione dei villini, le somme iniziali, impiegate per il pagamento degli oneri di costruzione, sarebbero derivate dall’attività molto remunerativa svolta dal ricorrente con il padre e, comunque, tale attività sarebbe avvenuta in un periodo in cui il soggetto non era ancora ritenuto pericoloso, atteso che la pericolosità sociale viene individuata dal maggio 2017. Per la seconda parte delle attività di costruzione sarebbero stati utilizzati gli acconti versati da due acquirent che, nel maggio 2021, avevano sottoscritto i preliminari di vendita. Quanto al terreno di Montegrotto Terme, si sarebbe trattato di un acquisto effettuato con somme derivanti dalla vendita della prima unità immobiliare di Teolo, INDIRIZZO. Inoltre, mentre l’ingegner COGNOME, direttore dei lavori dei villini, avev affermato che molteplici ditte e artigiani non erano stati pagati, in quanto gli accordi erano di un pagamento a fine lavori, come comprovato anche da un decreto ingiuntivo emesso in favore della ditta COGNOME, che aveva partecipato all’edificazione delle bifanniliari, la Corte territoriale ha ipotizzato, invece, ch società costruttrice fosse stata pagata, ponendo così una presunzione che il d.lgs. n. 159 del 2011 non consente, in quanto la presunzione possibile è quella in merito alla provenienza illecita di somme non giustificate dal proposto e non sull’esistenza di somme di denaro, di cui non solo non è accertata l’esistenza ma addirittura vi sono molteplici prove della loro non esistenza. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
D) L’organo proponente non avrebbe motivato in ordine alla sproporzione tra la disponibilità e il reddito del proposto e i beni in questione.
In sintesi, secondo il ricorrente:
mancherebbe un impianto probatorio comprovante che i non esistenti proventi illeciti di delitti fossero stati utilizzati per l’acquisto della soc l’edificazione delle bifamiliari;
l’acquisto della società e l’edificazione delle bifanniliari sarebbero avvenuti con somme di provenienza lecita: infatti, l’acquisto della società sarebbe stato eseguito con provvista derivante dalla signora NOME COGNOME che solo in un secondo momento avrebbe coinvolto il ricorrente. Tale provvista non sarebbe stata derivata dall’estorsione perpetrata ai danni del signor COGNOME oggi oggetto di procedimento penale, in quanto l’acquisto sarebbe avvenuto prima del presunto profitto da reato ipotizzato; la costruzione delle due bifamiliari sarebbe avvenuta regolarmente.
4.2. Violazione di legge, avendo la Corte di appello applicato la presunzione di esistenza di ulteriori pagamenti, nonostante le prove contrarie addotte (accordi tra le parti, atti di rec:upero credito realizzati dalle ditte/artigiani, testimonia dell’ing. COGNOME).
Il 30 ottobre 2024 è pervenuta memoria di replica alla requisitoria scritta del Sostituto Procuratore generale, con cui nell’interesse di entrambi i ricorrenti sono state sostanzialmente ribadite le argomentazioni formulate nei ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono inammissibili.
Va ricordato che, nel procedimento di prevenzione, il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge, nozione in cui va ricompresa la motivazione inesistente o meramente apparente del provvedimento, che ricorre quando il provvedimento omette del tutto di confrontarsi con un elemento potenzialmente decisivo, nel senso che, singolarmente considerato, sarebbe tale da poter determinare un esito opposto del giudizio (Sez. 6, n. 21525 del 18/06/2020, Mulè, Rv. 279284 – 01).
Tanto premesso, deve rilevarsi, innanzitutto, che è manifestamente infondata la doglianza con cui NOME COGNOME ha censurato l’applicazione della misura di prevenzione patrimoniale disgiunta da una misura di prevenzione personale.
In proposito occorre ricordare che il legislatore, con le novelle del 2008 e del 2009, ha modificato aspetti non marginali della disciplina normativa della prevenzione, affermando il principio della cosiddetta “autonomia della misura
patrimoniale di prevenzione” rispetto a quella personale, stabilendo che “le misure di prevenzione personali e patrimoniali possono essere richieste e applicate disgiuntamente” (L. n. 575 del 1965, art. 2-bis, comma 6-bis, introdotto dal D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 luglio 2008, n. 125).
Nella previgente disciplina, invece, le misure di prevenzione personali e quelle patrimoniali formavano un binomio tendenzialmente inscindibile, poiché di regola queste ultime potevano esser disposte solo nell’ambito di un procedimento per l’applicazione di una misura di prevenzione personale, oppure in un momento successivo all’applicazione, ma comunque anteriore alla cessazione della misura di prevenzione personale. Pertanto, la confisca presupponeva l’irrogazione (contemporanea o anteriore) di una misura di prevenzione personale.
La nuova disciplina, introdotta dall’art. 10 D.L. n. 92/2008 ha spezzato definitivamente il nesso di necessaria presupposizione tra i due tipi di misure, con la conseguenza che il procedimento di prevenzione patrimoniale può essere avviato a prescindere da qualsiasi proposta relativa all’adozione di misure personali. Tale particolare regolamentazione ha poi trovato definitiva conferma nel nuovo testo organico in tema di misure di prevenzione adottato con il citato D.Lvo n. 159 del 2011, che all’art. 18 prevede espressamente che le misure personali e patrimoniali possono essere applicate disgiuntamente.
Ciò comporta, comunque, che il giudice accerti in via incidentale l’inquadrabilità del proposto nelle categorie dei soggetti che possono essere destinatari dell’azione di prevenzione, ancorché, come precisa la seconda parte del comma 1 dell’art. 18 cit., l’applicazione della misura patrimoniale prescinda da ogni valutazione in ordine alla “attuale” pericolosità sociale del suo destinatario (Sez. 6, n. 10153 del 18/10/2012, Coli, Rv. 254547 – 01, in motiv.).
Non sono consentiti, invece, i motivi dei ricorsi con cui entrambi i ricorrenti hanno censurato il giudizio di pericolosità sociale, formulato nei loro confronti ai sensi dall’art. 1, comma 1, lett. b), del d.lgs. n. 159 del 2011.
Al riguardo, giova ricordare che con la sentenza n. 24 del 2019 la Corte costituzionale ha ritenuto la figura delineata dall’art. 1, comma 1, lett. b), de d.lgs. cit. – a differenza di quella di cui alla lett. a) della medesima disposizione – costituzionalmente legittima, in quanto la locuzione «coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose» è oggi suscettibile di essere interpretata come espressiva della necessità di predeterminazione non tanto di singoli “titoli” di reato, quanto di specifiche “categorie” di reato.
Il Giudice delle leggi ha puntualizzato che «le “categorie di delitto”, che possono essere assunte a presupposto della misura, sono in effetti suscettibili di trovare concretizzazione nel caso di specie, esaminato dal giudice, in virtù del triplice requisito – da provarsi sulla base di precisi “elementi di fatto”, di cui tribunale dovrà dare conto puntualmente nella motivazione (art. 13, secondo comma, Cost.) – per cui deve trattarsi di: a) delitti commessi abitualmente (e, dunque, in un significativo arco temporale) dal soggetto; b) che abbiano effettivamente generato profitti in capo a costui; c) i quali, a loro volta costituiscano – o abbiano costituito in una determinata epoca – l’unico reddito del soggetto, o quanto meno una componente significativa di tale reddito».
In linea con le indicazioni della Corte costituzionale, la giurisprudenza di legittimità si è assestata sul principio di diritto in forza del quale, in tema di misu di prevenzione, alla luce della menzionata sentenza n. 24 del 2019, le “categorie di delitto”, legittimanti l’applicazione di una misura fondata sul giudizio di cd pericolosità generica al sensi dell’art. 1, lett. b), del d.lgs. n. 159 del 2011, devon presentare il triplice requisito – da ancorare a precisi elementi di fatto, di cui i giudice di merito deve rendere adeguatamente conto in motivazione – per cui deve trattarsi di delitti commessi abitualmente, ossia in un significativo arco temporale, che abbiano effettivamente generato profitti in capo al proposto e che costituiscano, o abbiano costituito in una determinata epoca, l’unica, o quantomeno una rilevante, fonte di reddito per il medesimo (Sez. 5, n. 182 del 30/11/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280145 – 03; Sez. 2, n. 27263 del 16/04/2019, COGNOME, Rv. 275827 – 01; conf. Sez. 6, n. 21513 del 9/04/2019, COGNOME, Rv. 275737 – 01).
Di tali principi è stata fatta corretta applicazione nel caso in esame.
La Corte di appello, infatti, si è conformata al giudizio di pericolosità sociale espresso dal Tribunale e basato su plurime e riscontrate risultanze documentali.
In particolare, quanto alla pericolosità di NOME COGNOME il Tribunale ha affermato che i precedenti penali e giudiziari dello stesso davano «contezza della familiarità e della propensione del medesimo a commettere delitti contro il patrimonio e della professionalità dimostrata nell’azione delittuosa sistematicamente perpetrata in totale spregio della legge e dei diritti altrui: delit dai quali egli ha ricavato profitti che plausibilmente sono stati messi a disposizione del numeroso gruppo familiare, composto dai quattro proposti e dai vari soggetti a loro collegati, con cui di volta in volta l’attività delittuosa è stata perpetrata»
Il Tribunale ha anche sottolineato che dal 1997 al 2021 il proposto non aveva mai dichiarato alcun reddito, ad esclusione di somme esigue per pensioni di invalidità, riferite agli anni 2012 e 2013 (rispettivamente euro 3.485 ed euro 3.479).
Quanto a NOME COGNOME il Tribunale, richiamati i precedenti penali, giudiziari e di polizia, ha osservato che il prevenuto aveva partecipato insieme con il padre con un ruolo preminente all’associazione per delinquere finalizzata, a partire dall’anno 2001, a commettere truffe in danno di compagnie assicuratrici, per cui era stato attinto da misura cautelare custodiale e poi da sentenza di applicazione della pena, emessa dal Tribunale di Rovigo il 17 gennaio 2007. Inoltre, si era reso responsabile nei medesimi anni di ulteriori reati contro il patrimonio, a dimostrazione della sistematicità e abitualità dell’azione criminosa, che gli aveva sicuramente consentito di vivere, quantomeno in parte, con i proventi di tali delitti. Nel 2007 era stato deferito per insolvenza fraudolenta e tra la fine del 2006 e i primi anni del 2007 si era reso protagonista dell’estorsione in danno della ditta edile, cui aveva tentato di estorcere denaro, accampandosi nei pressi del cantiere con le roulotte del proprio clan e la minaccia di restarvi stabilmente.
Da questo momento e fino all’anno 2017 non risultavano fatti ascrivibili al prevenuto, che, però, negli anni 2017 – 2018 si era reso nuovamente autore insieme al padre e al fratello NOME di delitti di truffa ed estorsione, che gli avevano reso un profitto pari a circa 1.300.000 euro. Dal 2007 al 2001 NOME COGNOME non aveva mai dichiarato alcun reddito, salvo 1,19 euro.
Il Tribunale, quindi, ha ritenuto che i ricorrenti avessero abitualmente commesso delitti, che avevano generato ingenti profitti e avevano costituito per i medesimi una rilevante fonte di reddito, quantomeno in una determinata epoca, non avendo essi dichiarato redditi, così che era evidente come essi avessero tratto da tali illeciti in buona misura i mezzi economici per sostentarsi.
A fronte di tali argomentazioni, i ricorrenti si sono limitati a rimarcare di avere subito procedimenti penali non apprezzabili al fine di ritenere realizzate non episodiche attività delittuose e hanno censurato la valorizzazione degli elementi tratti da un procedimento penale non ancora definito.
In tal modo, essi, per un verso, hanno trascurato di considerare che, in tema di misure di prevenzione, il giudice, ai fini del giudizio di pericolosità, può valutar non solo gli elementi di fatto accertati con sentenza di condanna, ma anche quelli emergenti da procedimenti penali pendenti per reati a tal fine significativi, nell’ambito dei quali siano stati formulati giudizi non escludenti la responsabilità del proposto (Sez. 2, n. 37849 del 30/05/2024, COGNOME, Rv. 287063 – 01); per altro verso, hanno sollevato censure relegabili nell’ambito della critica alla motivazione adottata dai giudici e non evidenzianti il vizio di violazione di legge, unico scrutinabile nella materia che ci occupa.
5. Anche le altre censure, sollevate nei ricorsi, non sono consentite.
La Corte veneziana ha ritenuto che, in ragione della cospicua illecita provvista di cui al procedimento penale pendente alla Procura della Repubblica di Padova, dell’assenza di qualsivoglia dichiarazione dei redditi, del difetto di prova di risorse finanziarie lecite, dell’evidente sproporzione tra la mancanza di qualsiasi lecita fonte di reddito e il valore delle proprietà immobiliari realizzate, sussisteva la ragionevole presunzione che quanto oggetto di confisca fosse stato acquisito con i proventi di attività illecita.
La menzionata Corte ha poi illustrato le ragioni per cui non era convincente la tesi della difesa relativa alla realizzazione del complesso residenziale con i proventi delle caparre confirnnatorie, corrisposte dai promissari acquirenti (vedi pagine 17, 18, 19 e 20), e ha concluso sottolineando che, nella fattispecie, mentre la sproporzione tra valore dei cespiti nella disponibilità del proposto e la totale assenza di redditi, dichiarati dallo stesso e dai suoi familiari, era stata dimostrata, non era stata fornita valida dimostrazione in ordine alla percezione di redditi da attività lecite. In ogni caso, anche le parziali e insufficienti dimostrazioni relat ad (assente) attività lavorative, svolte dal proposto, non potevano essere prese in considerazione, tenendo conto che ex art. 24 d.lgs. 159/2011, «in ogni caso il proposto non può giustificare la legittima provenienza dei beni adducendo che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reinnpiego dell’evasione fiscale».
Ha aggiunto che vi era, inoltre, correlazione tra l’epoca di manifestazione della pericolosità del proposto e di suo padre e l’acquisto della totalità delle quote di Porta Savonarola, la successiva realizzazione del complesso edilizio, sito in Teolo, l’acquisto del terreno di Montegrotto Terme e l’accensione di rapporti bancari nella diretta disponibilità di NOME COGNOME.
A fronte di tali argomentazioni, con cui la Corte territoriale ha ritenuto provata sia la sproporzione tra il valore dei beni, di cui i proposti avevano la titolarità o disponibilità, e il loro reddito o l’attività economica espletata, sia la correlazio temporale tra la loro pericolosità sociale e l’acquisto dei beni, tutte le censure avverso il provvedimento impugnato finiscono per refluire nell’alveo di un non consentito sindacato della motivazione del provvedimento impugnato e del merito, come tale non riconducibile al vizio di violazione di legge, che, come prima ricordato, è l’unico devolvibile a questa Corte in materia di misure di prevenzione.
Deve aggiungersi che il Collegio ha ritenuto di non potere accogliere l’istanza del difensore dei ricorrenti di trattazione orale del procedimento, dovendosi applicare, nel caso in esame, l’art. 611 cod. proc. pen., che prevede la non partecipazione delle parti e il contraddittorio cartolare.
Al riguardo, questa Corte ha già precisato che il procedimento per la trattazione in sede di GLYPH legittimità dei GLYPH ricorsi GLYPH in materia di misure
•
di prevenzione deve svolgersi nella forma ordinaria dell’udienza camerale non partecipata, prevista dall’art. 611 cod. proc. pen., anche in caso di istanza di procedere nelle forme dell’udienza pubblica o del rito camerale partecipato, in quanto il principio di pubblicità dell’udienza, qualora l’interessato ne abbia fatto richiesta, affermato dalla Corte cost. con la sentenza n. 93 del 2010 e dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo con la sentenza del 13 novembre 2007, nella causa COGNOME RAGIONE_SOCIALE Rizza RAGIONE_SOCIALE Italia, si riferisce esclusivamente alla fase di merito (Sez. 6, n. 50437 del 28/09/2017, Vissicchio, Rv. 271500 – 01).
7. In definitiva, i ricorsi sono inammissibili e a ciò consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, secondo quanto previsto dall’art. 616, comma 1, cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 5 novembre 2024.