Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 198 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 198 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 25/10/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME nato a CUNEO il 06/07/1973
COGNOME nato a CHIVASSO il 09/09/1978
avverso il decreto del 27/01/2023 della CORTE APPELLO di TORINO udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del procuratore generale, nella persona del ,,,ostituto procuratore NOME COGNOME che ha chiesto, con requisitoria scritta, il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con decreto emesso in data 27 gennaio 2023 la Corte di appello di Torino, sezione misure di prevenzione, quale giudice di rinvio, ha rigettato l’appello proposto da NOME COGNOME e NOME COGNOME avverso il decreto con cui il Tribunale di Torino aveva respinto la richiesta di revoca della confisca di prevenzione disposta con decreti emessi in data 24 maggio 2010 dal Tribunale di Torino e in data 07 ottobre 2010 dalla Corte di appello di Torino.
La confisca era stata disposta su numerosi beni della coppia, nell’ambito di una più vasta confisca disposta nei confronti di un gruppo di sinti legati da rapporti familiari, essendo stata ritenuta la pericolosità del COGNOME per le condanne riportate e le denunce pendenti, e alla luce della sproporzione tra il valore dei beni posseduti, in particolare il terreno e l’immobile ivi costruito, e totale assenza di redditi, nonché essendo state la figlia e la convivente dell’uomo ritenute terze interessate. Il provvedimento era stato confermato dalla Corte di appello, e poi dalla Corte di cassazione, divenendo definitivo in data 18/07/2011.
La difesa aveva proposto richiesta di revoca, anche alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 24/2019, contestando la sussistenza della pericolosità del COGNOME ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. b), d.lgs. n 159/2011, e chiedendo di perimetrare la pericolosità, collegandola ai profitti ricavati dai delitti accertati. La richiesta, già respinta dal Tribunale di Torino, c riteneva contestata di fatto la pericolosità ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. b d.lgs. n. 159/2011 e qualificava peraltro la COGNOME come proposta e non come terza interessata, era stata respinta anche dalla Corte di appello, affermando che la declaratoria di incostituzionalità della norma non poteva travolgere quel giudicato.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8974/2022 emessa in data 18 novembre 2021, ha annullato tale decisione, richiamando il principio dettato da Sez. Unite n.3513 del 16/12/2021, dep. 2022, Rv. 282474, circa la revocabilità del provvedimento di confisca ai sensi dell’art. 28 d.lgs. n. 159/2011 qualora la pericolosità sia fondata solo sul presupposto di cui all’art. 1, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 159/2011, e non anche su quello di cui all’art. 1, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 159/2011 dotato di autosufficienza.
La Corte di appello, nel giudizio di rinvio, ha ritenuto che la confisca sia stata operata anche secondo il presupposto di cui all’art. 1, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 159/2011, poiché motivata non solo dall’essere il proposto dedito a traffici illeciti, ma anche dal vivere egli abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose. Il provvedimento richiama, infatti, i numerosi reati contro patrimonio commessi dal proposto, reiterati nel tempo e corrispondenti
temporalmente all’acquisizione dei beni confiscati, ed afferma che egli trae da questi i mezzi di sussistenza, non essendo né lui né i familiari dediti ad alcuna attività lavorativa. La Corte di appello ha respinto le altre questioni poste dall’appellante, quali la valutazione della effettiva sussistenza di profitti, de perimetrazione e della corrispondenza temporale tra gli acquisti e i reati, essendo il tema del decidere limitato al tipo di pericolosità alla base del provvedimento.
Avverso il decreto hanno proposto ricorso, con un unico atto, NOME COGNOME e NOME COGNOME per mezzo del loro difensore avv. NOME COGNOME articolando due motivi.
2.1. Con il primo motivo deducono la violazione di legge, con riferimento all’art. 1, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 159/2011.
La Corte di cassazione, nel pronunciare l’annullamento con rinvio, ha ritenuto che la misura di prevenzione fosse stata disposta sulla base di un doppio titolo, cioè dell’art. 1, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 159/2011, e dell’ar comma 1, lett. b), d.lgs. n. 159/2011, e ha disposto che il giudice di rinvio valutasse l’integrale fondamento del provvedimento ablatorio. Il giudice del rinvio ha eluso tale giudizio, interpretando la confisca come disposta solo ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 159/2011. Inoltre, tale base giustificati non è stata valutata alla luce della sentenza n. 2412019 della Corte Costituzionale e della successiva sentenza n. 3513/2022 delle Sezioni Unite, che ha enucleato un triplice requisito (delitti commessi abitualmente, che hanno generato profitti, costituenti reddito unico o principale del proposto), da accertare attraverso precisi elementi di fatto. La Corte di appello, invece, ha omesso tale verifica, affermando di dover verificare solo il tipo di pericolosità su cui era basata la misura adottata, e non ha quindi verificato la effettiva produzione di redditi illeciti derivanti dai reati per i quali il propost condannato.
2.2. Con il secondo motivo deducono la mancanza di motivazione. La Corte di appello ha ritenuto valide le argomentazioni in base alle quali fu disposta la confisca, nonostante riconosca la genericità del provvedimento originario, mentre avrebbe dovuto verificare “ora per allora” la loro fondatezza, alla luce della interpretazione “tassativizzante” dell’art. 1, comma 1, lett. b), d.lgs. n 159/2011 introdotta dalla Corte Costituzionale per ritenere la norma legittima. In realtà il provvedimento originario ritenne sufficiente, per disporre la confisca di prevenzione, la commissione di reati contro il patrimonio reiterata nel tempo, senza analizzare se essi avessero prodotto un profitto illecito, e se il ricorrente avesse acquistato i beni confiscati con tale profitto. Non è stato tenuto conto
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delle doglianze della difesa, che nella richlesta di revoca del provvedimento ablatorio aveva evidenziato che i delitti per i quali il COGNOME era stat condannato non avevano prodotto redditi tali da consentire l’acquisto dei beni immobili confiscati.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha chiesto il rigetto de ricorso, perché l’ordinanza rispetta i limiti del giudizio di rinvio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso, con cui si contesta il mancato rispetto della sentenza rescindente e l’errore nella individuazione della sussistenza del presupposto di cui all’art. 1, comma 1, lett. b) d.lgs. n. 159/2011 come interpretato dalla sentenza Sez. U. n. 3513/2022, è infondato.
Gli artt. 627 e 628 cod.proc.pen. limitano chiaramente l’ambito del giudizio di rinvio, dopo un annullamento da parte della corte di cassazione, ai punti oggetto dell’annullamento, che devono essere decisi con pieno rispetto dei principi di diritto stabiliti dalla sentenza rescindente.
Nel presente caso la sentenza n.8974 emessa il 18 novembre 2021 dalla Corte di cassazione ha annullato la precedente decisione affermando che l’ordinanza impugnata aveva respinto la richiesta di revoca della confisca, ai sensi dell’art. 28 d.lgs. n. 159/2011, senza conformarsi al principio di diritto stabilito dalla sentenza Sez. U. n. 3513 del 16/12/2021, dep. 2022, Fiorentino, Rv. 282474-02, secondo cui «In tema di misure di prevenzione, la Corte di cassazione, investita del ricorso in materia di confisca di prevenzione definitiva, adottata in relazione alle ipotesi di pericolosità generica ai sensi dell’art. comma 1, lett. a) e lett. b), d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, per far valere gl effetti della declaratoria di illegittimità costituzionale pronunciata con sentenza n. 24 del 2019, è tenuta all’annullamento senza rinvio della sola misura fondata, in via esclusiva, sull’ipotesi di cui all’art. 1, comma 1, lett. a)». La sentenza annullamento, conformandosi alla parte motiva di tale pronuncia, ha quindi disposto che il giudice del rinvio valutasse con precisione i presupposti su cui era fondata la dichiarazione di pericolosità alla base del provvedimento di confisca impugnato, perché la misura della confisca è revocabile, per la sopravvenuta declaratoria di incostituzionalità da parte della sentenza n. 24/2019 della Corte costituzionale, solo se «fondata, in via esclusiva, sull’ipotesi di cui all’art. comma 1, lett. a)», mentre non è revocabile, per il principio di intangibilità del
giudicato, se fondata sull’ipotesi di cui all’art. 1, comma 1,, lett. b), d.lgs 159/2011 ovvero se, essendo fondata su entrambi i presupposti, il «titolo» di cui all’art. 1, comma 1, lett. b), I.cit. risultasse «autonomo e autosufficiente, ossi svincolato dal sostegno giustificativo correlato alla figura di pericolosità sociale dichiarata incostituzionale e idoneo – nella prospettazione del giudice di merito a offrire integrale fondamento al provvedimento ablatorio».
Il giudice di rinvio era quindi tenuto a valutare se il provvedimento di confisca di prevenzione impugnato resistesse alla verifica di legittimità alla luce della sentenza n. 24/2019 della Corte costituzionale, in quanto fondato, in modo autonomo e autosufficiente, anche sul presupposto di cui all’art. 1, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 159/2011. La sua verifica in merito alla sussistenza del solo presupposto indicato è quindi corretta, dal momento che solo l’esito negativo di tale verifica renderebbe accoglibile la richiesta di revoca della misura ablatoria.
La relativa decisione, qui impugnata, è approfondita, non illogica e conforme ai parametri valutativi precisati dalla sentenza Sez. U. n. 3513/2022. Essa, in primo luogo, non contrasta con la sentenza rescindente quanto all’essere stata la confisca disposta sulla base di un doppio titolo, ed anzi ribadisce che essa, al di là della terminologia usata, è stata operata «anche secondo i presupposti di cui alla lettera b)», dal momento che i decreti applicativi fanno riferimento non solo alla pericolosità del proposto dovuta all’abituale dedizione a traffici illeciti, be «anche, in modo autonomo e autosufficiente», alla categoria di pericolosità del vivere abitualmente, anche in parte, dei proventi di attività delittuose. Questa valutazione risulta fondata sul contenuto dei provvedimenti di confisca, nei quali si evidenziano i precedenti penali del Lagaren, citando tre condanne per delitti contro il patrimonio (furti e una truffa, commessi tra il 1995 e il 1999) e svariate denunce di polizia, l’ultima delle quali per un altro furto in abitazione, l’assenza, invece, di condanne definitive per la COGNOME, benché coinvolta anch’ella in indagini relative a reati contro il patrimonio. Si evidenziano altresì mancanza di redditi di lecita provenienza, stante la «totale assenza di attività lavorativa» da parte dell’intero nucleo familiare, e per conseguenza la sproporzione del valore dei beni immobili, in particolare un terreno e la villa costruita su questo, rispetto «ai redditi, inesistenti, della famiglia». provvedimento impugnato ripercorre tale motivazione dei decreti applicativi della confisca, precisando anche che il decreto emesso dalla Corte di appello di Torino in data 07 ottobre 2010 evidenziava la sistematicità dei delitti contro il patrimonio commessi dal COGNOME il quale veniva perciò definito come dedito alla loro consumazione, e la coincidenza tra detti reati e l’acquisizione dei beni di cui il proposto e i suoi familiari risultavano avere la disponibilità.
L’affermazione dell’essere stata la misura ablativa disposta anche, in modo autonomo e autosufficie,nte, perché il proposto COGNOME viveva abitualmente con i proventi di attività delittuose è quindi fondata sui presupposti richiesti dal sentenza n. 24/2019 della Corte costituzionale, cioè sulla accertata commissione abituale, in quanto protratta nel tempo, di delitti contro il patrimonio, sul idoneità di tali delitti a generare profitti, e sull’essere stati tali profi componente significativa del reddito del proposto e del suo nucleo familiare, essendo del tutto assenti redditi provenienti da un’attività lavorativa lecita, ed essendo stati accertati, secondo i decreti originari, solo occasionali introiti, qual un risarcimento assicurativo per diecimila euro e imprecisate regalie da parte della nonna.
Il primo motivo di ricorso è, quindi, infondato non solo nella parte in cui deduce il mancato rispetto della sentenza rescindente, ma anche nella parte in cui deduce la mancata verifica della sussistenza del presupposto applicativo della misura di prevenzione di cui all’art. 1, comma 1, lett. b), d.lgs. n 159/2011, perché questa verifica è stata effettuata, ritenendo che tale presupposto fosse stato sia enunciato, sia correttamente valutato.
3. Anche il secondo motivo di ricorso è infondato, sulla base delle ragioni già esposte.
La Corte di appello ha correttamente valutato che la confisca fosse stata disposta anche in base al presupposto di cui all’art. 1, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 159/2011, individuando gli elementi precisi fondanti tale giudizio, come sopra indicati. Tale valutazione esclude la revocabilità della confisca ai sensi dell’art 28 d.lgs. n. 159/2011, rendendo pertanto intangibile il giudicato circa la sussistenza dei presupposti per l’applicazione della misura di prevenzione. La norma in questione, infatti, prevede la revocabilità della confisca solo a seguito della scoperta di nuove prove decisive, dell’essere stata la misura fondata su atti falsi, e dell’essere stati accertati, con sentenze penali successive, fatti che escludono la sussistenza dei presupposti applicativi. L’art. 28, comma 2, d.lgs. n. 159/2011 prevede che la revocazione possa essere richiesta, in ogni caso, anche al fine di dimostrare il difetto originario dei presupposti legittimanti confisca, ma detta norma deve essere interpretata, anche nella forma meno restrittiva accolta dalla sentenza Sez. U. n. 3513 del 16/12/2021, dep. 2022, COGNOME, nel senso che tale dimostrazione deve fondarsi su fatti sopravvenuti o quanto meno non conosciuti dall’istante senza sua colpa, come deducibile dal successivo art. 28, comma 3, I.cit. e dal generale principio di intangibilità del giudicato, il quale non può essere travolto solo per fornire una diversa
valutazione nel merito dei medesimi fatti posti a base di una decisione irrevocabile.
Il giudice di rinvio non doveva, quindi, rivalutare nel merito la declaratoria di sussistenza del presupposto di cui all’art. 1, comma 1, lett. b), d.lgs. n 159/2011, una volta verificato che esso era stato ritenuto sussistente sulla base dei parametri interpretativi forniti dalla sentenza n. 24/2019 e richiamati nella sentenza rescindente. Secondo questa Corte, infatti, la revocazione della confisca costituisce un rimedio straordinario’ incompatibile con il mero riesame dei medesimi elementi fattuali che hanno portato a disporre la misura, con la conseguenza che sono inammissibili le doglIanze sull’esistenza dei presupposti per l’applicazione della confisca, come il rapporto di pertinenzialità tra il bene e le attività illecite ascritte al proposto, perché «già vagliati nel momento in c essa era stata disposta» (vedi Sez. 1, n. 29990 del 07/06/2023, Rv. 284973). Un esame di tali elementi, inoltre, sarebbe estraneo al perimetro di valutazione demandato dalla sentenza rescindente al giudice del rinvio. Peraltro, nel presente caso, il provvedimento impugnato sottolinea che il decreto della Corte di appello di Torino emesso il 07 ottobre 2010 rilevò la corrispondenza temporale tra i reati per i quali il COGNOME era stato condannato e l’acquisto dei beni confiscati, ed effettuò quindi, indirettamente, anche una valutazione del collegamento esistente tra questi ultimi e detti reati, che impedisce un nuovo esame di tale elemento in sede di revocazione, trattandosi ich una questione già esaminata e valutata.
Sulla base delle considerazioni che precedono i ricorsi devono pertanto essere respinti, e i ricorrenti devono essere condannati al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 25 ottobre 2023
Il Consigliere estensore
Il Presidente