Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 26926 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 26926 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 27/03/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME NOME a TORINO il DATA_NASCITA
COGNOME NOME NOME a TORINO il DATA_NASCITA
avverso il decreto del 15/09/2023 della CORTE APPELLO di TORINO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette: a) le conclusioni scritte del AVV_NOTAIO, AVV_NOTAIO quale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso; b) distinte memorie di repli nell’interesse del COGNOME e della COGNOME.
Ritenuto in fatto
Con sentenza del 24 novembre 2022 – 4 maggio 2023, n. 18755 la I sezione di questa Corte ha annullato, nei limiti che si diranno subito infra, il decreto del 23 dicembre 2021 con il quale la Corte d’appello di Torino aveva disposto, nei confronti di NOME COGNOME e della compagna dello stesso, NOME COGNOME, la confisca di un imponente compendio immobiliare e aziendale.
1.1. In particolare, per quanto riguarda la COGNOME, la sentenza di annullamento ha censurato la decisione impugnata per avere operato una commistione di titoli giustificativi, tra loro incompatibili, della misura ablatoria: da un lato, essere la donna portatrice di autonoma pericolosità sociale – secondo quanto cristallizzato nel provvedimento di primo grado che aveva disposto la confisca – e, dall’altro, essere la stessa mera intestataria fittizia della quota del 50% della RAGIONE_SOCIALE Ne era derivato un pregiudizio delle prerogative difensive della ricorrente, la quale, avendo orientato l’atto di appello sulla confutazione delle argomentazioni sottese al positivo apprezzamento della sua pericolosità sociale, si era legittimamente astenuta dall’affrontare funditus i temi afferenti all’interposizione incidentalmente configurata soltanto con l’originario decreto di sequestro ma esclusa, in chiave, innanzitutto, di consequenzialità logica, sia dal pubblico ministero che dal Tribunale con il provvedimento di confisca.
1.2. Con riferimento alla posizione del COGNOME, la I sezione, dopo avere rigettato i restanti motivi di ricorso, ha annullato il decreto della Corte d’appello sopra citato, limitatamente alla confisca della quota del 50% della RAGIONE_SOCIALE, rilevando come la Corte di appello avesse omesso di precisare, da un canto, se i versamenti in contanti utilizzati potessero essere ritenuti, quantomeno da un punto di vista logico (stante l’assenza di evidenze documentali della loro provenienza), frutto delle attività illecite attribuite al COGNOME (e, in particolare delle dazioni che NOME COGNOME, vittima dell’imponente attività truffaldina della quale il proposto si era reso autore, aveva iniziato ad effettuare da qualche mese) e, dall’altro, se la destinazione al fine indicato di una somma di denaro relativamente modesta (soprattutto in confronto ai, ben più rilevanti, incrementi patrimoniali che si sarebbero registrati a partire dall’anno seguente) potesse o meno giustificarsi, in via alternativa, in considerazione dei redditi leciti, nella misura emergente dalla dichiarazione dei redditi, percepiti nel 2008, da vagliarsi in combinazione con quelli, certamente sperequati, dell’anno successivo.
La Corte d’appello di Torino, decidendo quale giudice del rinvio, con decreto del 15 settembre 2023 – 30 ottobre 2023, ha confermato il decreto del giudice di primo grado.
Con riferimento alla posizione del COGNOME, la Corte territoriale ha rilevato: a) che, quanto ai versamenti in contanti ricordati dalla sentenza di annullamento con rinvio ed effettuati tra luglio e agosto 2009 su conti del COGNOME, della RAGIONE_SOCIALE e delle società riconducibili alla loro operatività, essi, nel primo semestre del 2009 erano stati contenuti in somme modeste, mentre, a partire dal giugno 2009, due mesi dopo la conclusione dell’accordo con la RAGIONE_SOCIALE, erano divenuti cospicui e costanti e non avevano trovato alcuna ragionevole e verificabile spiegazione da parte del COGNOME e della COGNOME; b) che il versamento, in data 27 luglio 2009, della somma di 1.250,00 euro a titolo di conferimento di parte del capitale della RAGIONE_SOCIALE – peraltro da parte della COGNOME e non del COGNOME ove pure ritenuto riconducibile a quest’ultimo, non avrebbe potuto trovare giustificazione nelle disponibilità dello stesso; b) che, infatti, oltre a dover considerare il contestuale versamento della somma, sempre di euro 1.250,00 per la costituzione, in data 27 luglio 2009, della RAGIONE_SOCIALE, si doveva tener conto dei modestissimi redditi dichiarati dal COGNOME nel 2009 (euro 7.435,00); c) che, nel 2009, secondo gli esiti dell’accertamento peritale, si era registrato un’eccedenza degli impieghi sulle fonti di 195.358,00, talché, anche considerando il reddito netto dichiarato nell’anno precedente (euro 62.364,00), persisteva una sproporzione che non giustificava l’esborso effettuato per la costituzione della RAGIONE_SOCIALE (e della RAGIONE_SOCIALE).
Con riferimento alla posizione della COGNOME, la Corte d’appello, muovendo dalla veste di “proposta” attribuitale dal provvedimento di primo grado, ha respinto le doglianze che erano state prospettate con l’atto di impugnazione, giungendo ad inquadrare la donna nella categoria di cui all’art. :1, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 159 del 2011.
In sintesi, la Corte d’appello ha rilevato: a) che gli elementi acquisiti comprovavano l’abituale commissione, da parte della COGNOME, di delitti che hanno effettivamente generato profitti costituenti componente significativa del reddito; b) che infatti risultava dimostrato, indipendentemente dal fatto che la COGNOME non fosse mai stata indagata, il suo concorso nella truffa continuata perpetrata in danno dell’COGNOME tra il 2009 e il 2012 e che aveva fruttato euro 5.402.000,00 (somma versata con assegni e bonifici), a cui andavano aggiunte le quote della società RAGIONE_SOCIALE e i versamenti in contanti’ quantificati dal perito in complessivi euro 2.103.190.
Sono stati proposti distinti ricorsi per cassazione nell’interesse del COGNOME e della COGNOME, affidati ai motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
4. Ricorso COGNOME
Il ricorso è affidato ad un unico motivo, con il quale si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 125, 606, comma 1, lett. b) e 627 cod. proc. pen., nonché degli artt. 1, comma 1, lett. b) , e 24 d.lgs. n. 159 del 2011, per difetto di motivazione in ordine al requisito della correlazione temporale tra l’acquisizione della provvista finanziaria versata per la sottoscrizione del capitale sociale della RAGIONE_SOCIALE e la presunta truffa sulla quale era fondata la ritenuta pericolosità sociale del proposto.
Si osserva, al riguardo: a) che, mentre l’indicazione del termine finale della truffa (giugno 2012) era aderente al dato contabile delle erogazioni cessate in tale data, il riferimento iniziale all’aprile 2009 rappresentava un’assunzione del tutto apodittica, non rinvenendosi nel corpo del provvedimento alcun elemento di fatto dimostrativo del dato; b) che la Corte territoriale aveva valorizzato, a tal fine, il fatto che, a partire dal giugno 2009, si era registrata una maggiore disponibilità di contanti del proposto, fornendo una risposta apodittica (la disponibilità, da parte della vittima, di una provvista in contanti) all’obiezione per la quale non emergeva la prova di corrispondenti prelievi dai conti dell’COGNOME; c) che l’COGNOME, mai sentita dai giudici della prevenzione, sia nell denuncia – querela del 17 luglio 2015, sia nelle s.i.t. del 9 marzo 2016 non aveva mai fatto alcuno specifico riferimento al tempo in cui avrebbe versato del denaro contante; d) che il primo versamento documentato risaliva al 16 settembre 2019 (valuta 18 settembre 2019), in epoca successiva alla costituzione della RAGIONE_SOCIALE; e) che anche il giudizio di sproporzione collideva con il reddito dichiarato congiuntamente nel 2008 dal COGNOME e dalla COGNOME (euro 62.634 il primo ed euro 32.364 il secondo); f) che, nel calcolo della sperequazione tra impieghi e entrate del proposto nel 2009, il perito aveva tenuto conto delle fonti accertate al netto delle rimesse da parte dell’COGNOME e dei versamenti in contanti; g) che, in relazione alla RAGIONE_SOCIALE, nel 2009, erano risultati impieghi finanziari soltanto per euro 24.950,00; h) che, in definitiva, la società citata era stata costituita prima del manifestarsi della pericolosità sociale del proposto; i) che la stessa perizia utilizzata dai giudici della prevenzione aveva rivelato l’esistenza di un’economia aziendale della RAGIONE_SOCIALE indipendente dalle provviste provenienti dalla COGNOME; I) che la società aveva acquisito la proprietà del
complesso edilizio di Bozzole in data 11 gennaio 2017 e dell’immobile sito in Asti, alla INDIRIZZO, in data 3 agosto 2015, in epoche estranee al manifestarsi della pericolosità; m) che, secondo quanto emerso dalla perizia, il complesso edilizio di Bozzole era stato acquisito con provvista non correlata alle dazioni dell’COGNOME e l’immobile di Asti era stato acquisito con provviste derivanti dall’COGNOME solo per il 27,17% del costo.
5. Ricorso COGNOME
Il ricorso lamenta violazione degli artt. 5 e 10 d.lgs. n. 159 del 2011 nonché degli artt. 597, comma 3, 623, 624 e 627 cod. proc. per., rilevando, in primo luogo, che l’azione di prevenzione, esercitata nei confronti della COGNOME quale proposta, si era consumata nel momento in cui il primo decreto della Corte d’appello, che aveva ritenuto la confisca giustificata dall’essere la donna intestataria fittizia dei beni, non era stato impugNOME dalla Procura AVV_NOTAIO. Pertanto, la Corte territoriale, nel momento in cui, con il decreto oggi impugNOME, aveva fondato la misura ablatoria sulla pericolosità della COGNOME, aveva agito in difetto di giurisdizione e, nella sostanza, aveva operato una reformatio in pejus del provvedimento di primo grado.
In secondo luogo, si lamenta violazione dell’art. 24 d.lgs. n. 159 del 2011 per carenza dei presupposti giustificativi della ritenuta pericolosità generica della COGNOME e, in particolare: a) dell’abitualità, dal momento che la donna è soggetto totalmente incensurato; b) del profilo reddituale, avendo la COGNOME prodotto negli anni un significativo reddito personale.
In terzo luogo, si lamenta erronea applicazione dell’art. 29 d.lgs. n. 159 del 2011, sottolineando che l’unico reato attribuito alla COGNOME, quale concorrente del compagno, non era stato oggetto di alcun accertamento giurisdizionale, essendo decorso il termine di prescrizione. D’altra parte, non era stato possibile porre domanda alcuna all’COGNOME, mai sentita nel giudizio di prevenzione, nonostante le richieste svolte in tale senso dalla difesa della COGNOME, che la prima mai aveva indicato nelle sue denunce.
6. Sono state trasmesse, ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. 28/10/2020, n. 137, conv. con I. 18/12/2020, n. 176: a) le conclusioni scritte del AVV_NOTAIO, il quale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso; b) distinte memorie di replica nell’interesse del COGNOME e della COGNOME.
Considerato in diritto
1. L’unico, articolato motivo del ricorso proposto nell’interesse del COGNOME è inammissibile.
Va, innanzi tutto, ribadito che, in tema di procedimento di prevenzione, il ricorso per cassazione, anche a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, è ammesso soltanto per violazione di legge, nozione in cui va ricompresa la motivazione inesistente o meramente apparente del provvedimento, che ricorre quando il decreto omette del tutto di confrontarsi con un elemento potenzialmente decisivo nel senso che, singolarmente considerato, sarebbe tale da poter determinare un esito opposto del giudizio (v., ad es., Sez. 6, n. 21525 del 18/06/2020, Rv. 279284 – 01).
Ora, già la sentenza della I sezione di questa Corte ha rigel:tato le doglianze concernenti la mancata audizione della COGNOME e l’idoneità del suo narrato a ricostruire i fatti, confermando la linearità della ricostruzione del primo decreto della Corte d’appello nella parte in cui colloca i versamenti frutto delle condotte truffaldine delle quali si tratta nell’arco temporale che va dal 3 aprile 2009 al 2 aprile 2012.
La ricapitolazione operata dal decreto impugNOME serve a ribadire la logicità di una ricostruzione che riposa sulla improvvisa e non giustificata crescita di liquidità disponibile in correlazione temporale con le varie dazioni, tutte autonomamente rilevanti al fine di cogliere l’abitualità della condotta.
D’altra parte, alla luce dei limiti fissati dalla sentenza di annullamento, il giudice del rinvio ha appunto sottolineato come, tenuto conto dell’accertamento peritale, anche considerando i redditi del 2008, persistesse la sproporzione rilevata nel 2009 tra impieghi e fonti.
Le generiche critiche indirizzate dal ricorrente a siffatto accertamento non consentono di rilevare alcuna apparenza dell’impianto argomentativo, con la conseguenza che si collocano al di fuori dell’ambito del sindacato consentito al giudice di legittimità.
Solo per completezza si osserva che il rinvio aveva riguardo alla somma versata dal COGNOME a titolo di sottoscrizione del capitale sociale della RAGIONE_SOCIALE e non attinge la successiva operatività della società e i suoi acquisti.
2. La prima articolazione del ricorso proposto nell’interesse della COGNOME è manifestamente infondata, dal momento che la pronuncia di secondo grado, alla quale si intende assegnare efficacia preclusiva rispetto all’individuazione della ricorrente come proposta, è stata annullata dalla I sezione di questa Corte, proprio sul rilievo che la sovrapposizione di figure soggettive operata dal giudice di secondo grado aveva finito per travalicare l’ambito di cognizione del giudizio di appelo, quale tracciato non dalla non equivoca scelta del Tribunale, che aveva colto una autonoma pericolosità della donna. In tal modo, la Corte d’appello aveva finito per non affrontare le doglianze dirette contro l’attribuzione della veste processuale, ormai cristallizzata (questo l’aggettivo adoperato dalla sentenza rescindente) per effetto della decisione di primo grado.
Manifestamente infondata e aspecifica sono anche le restanti articolazioni dello stesso ricorso. Fermo quanto sopra rilevato a proposito della mancata audizione della COGNOME, si aggiunge quanto segue.
Ribaditi i limiti sopra ricordati del sindacato di legittimità in tema di misure di prevenzione, si osserva che il giudice, attesa l’autonomia tra procedimento penale e procedimento di prevenzione, può valutare i fatti accertati in sede penale, al fine di giungere ad un’affermazione di pericolosità generica del proposto ex art. 1, comma 1, lett. b) , d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, non solo in caso di intervenuta declaratoria di estinzione del reato o di pronuncia di non doversi procedere, ma anche a seguito di sentenza di assoluzione ai sensi dell’art. 530, comma 2, cod. proc. pen., ove risultino delineati con sufficiente chiarezza e nella loro oggettività quei fatti che, pur ritenuti non sufficienti – nel merito o per preclusioni processuali – per una condanna penale ben possono essere posti alla base di un giudizio di pericolosità (Sez. 2, n. 33533 del 25/06/2021, Rv. 281862 – 01).
Ciò posto, si rileva che, nel caso di specie, con motivazione articolata e tutt’altro che apparente, è stata ricostruita la piena consapevolezza e il conseguente cosciente contributo fornito dalla COGNOME, attraverso la messa a disposizione di conti correnti e la condivisione degli investimenti, al disegno criminoso realizzato dal COGNOME, inducendo la COGNOME a plurime dazioni di denaro in un arco temporale ampio (non casualmente il decreto impugNOME fa riferimento alla “truffa continuata”) che rende del tutto fuori fuoco le critiche sull’assenza di abitualità della condotta illecita. Anche il tema della sproporzione, oggetto di critiche assertive, è affrontato dal decreto impugNOME attraverso una analitica disamina delle risultanze peritali, che consente di escludere il carattere meramente apparente della motivazione.
Alla pronuncia di inammissibilità consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento, in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende, di una somma che, in ragione delle questioni dedotte, appare equo determinare in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso il 27/03/2024