Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 26155 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 26155 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI POTENZA
nel procedimento a carico di:COGNOME NOME NOME a PIETRAPERTOSA( ITALIA) il
24/07/1970
COGNOME NOME NOME a PIGNOLA il DATA_NASCITA
COGNOME NOME NOME a WINTERTHUR ( SVIZZERA) il DATA_NASCITA
avverso il decreto del 02/11/2023 della CORTE APPELLO di POTENZA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette:
la requisitoria scritta del Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione NOME COGNOME, che ha chiesto l’annullamento con rinvio del provvedimento impugNOME;
le memorie di replica presentate rispettivamente, dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME, e dall’avvocato NOME COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME, i quali hanno chiesto di dichiarare inammissibile o rigettare il ricorso; nonché dall’avvocato NOME COGNOME che, nell’interesse di NOME COGNOME, ha chiesto che il decreto impugNOME venga dichiarato definitivo nei confronti di quest’ultimo;
RITENUTO IN FATTO
Con decreto del 2 novembre 2023 la Corte di appello di Potenza – all’esito del gravame presentato dal proposto NOME COGNOME e dai terzi NOME COGNOME e NOME COGNOME (rispettivamente figlio e moglie del proposto) ha annullato il decreto in data 9 marzo 2023 con il quale il Tribunale di Potenza aveva disposto la confisca ex art. 24 d. Igs. 159/2011 dei beni intestati ai medesimi soggetti e ritenuti tutti nella disponibilità del primo.
Avverso il decreto di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore generale presso la Corte di Appello di Potenza, che ha formulato un unico motivo (di seguito esposto nei limiti di cui all’art. 173, comma q, d. att. cod. proc. pen.), articolato in più punti, con il quale ha dedotto che la motivazione del provvedimento impugNOME sarebbe mancante o apparente, in quanto la Corte di merito:
avrebbe erroneamente affermato che né la Procura della Repubblica proponente né il Tribunale avrebbero introdotto elementi nuovi a sostegno della confisca rispetto alla pregressa adozione del sequestro in data 22 ottobre 2020, (contraddistinto dal n. 13/2020), quantunque non risulti alcun sequestro precedente a quello reso nel presente procedimento n. 10/2021 (in cui la prima proposta è stata avanzata il 6 maggio 2021, quindi in data successiva) al quale è stato riunito quello n. 28/2022;
avrebbe erroneamente, e senza argomentare, ridotto da sei a tre anni il periodo di pericolosità del proposto (tra marzo 2005 e dicembre 2008) nonostante il primo reato posto a fondamento della pericolosità medesima si collochi nel 2004 e l’ultimo fatto abbia avuto luogo nel 2010; avrebbe evidenziato l’irrilevanza della contravvenzione di cui all’art. 660 cod. pen., cui tuttavia non era stato attribuito rilievo sotto il profilo della correlazione temporale tra pericolosità e impieghi, argomentando con riguardo alla sola data di costituzione della RAGIONE_SOCIALE (rispetto alla data degli illeciti posti in essere dal proposto, come prospettato, oggetto di erroneo apprezzamento) e non anche all’abitazione de qua, non considerando neppure che tale correlazione non richiede la necessaria contestualità tra manifestazione di pericolosità e acquisto di beni (che può ricorrere, invece, anche per beni acquisiti successivamente;
avrebbe erroneamente ritenuto illogica la ricostruzione del profitto illecito (segnatamente, delle imposte evase), argomentando in maniera apparente per il tramite del richiamo alla pluralità di soci degli enti in discorso e valorizzando, in materia di prevenzione, l’entità dello specifico provento di ciascun reato;
avrebbe negato apoditticamente la sproporzione tra le entrate lecite e ‘acquisto dell’immobile da parte di NOME COGNOME, richiamando il mutuo che
comunque ha coperto solo una parte del prezzo ed affermato – senza indicare i dati a sostegno – che le rate sarebbero state pagate con i proventi dell’attività aziendale, senza confortarsi con quanto emerso dagli accertamenti peritali.
Il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione ha chiesto l’annullamento con rinvio del provvedimento impugNOME in ragione della fondatezza del ricorso.
Con le memorie presentate nell’interesse di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, si è dato conto dello svolgimento dei giudizi di merito (segnatamente, alla luce dei motivi di appello da ciascuno presentati) e, rispettivamente; :
si è eccepito il maturare del giudicato interno del capo del decreto inteso ad accertare l’assenza di proventi derivante dalla contestazione di cui alla sentenza n. 04/2012 emessa dal G.u.p. del Tribunale di Sala Consilina, da cui conseguirebbe l’inammissibilità del ricorso, di cui, comunque, si è chiesto il rigetto (cfr. memoria della difesa di NOME COGNOME);
si è addotto che non sussisterebbero elementi atti a sostenere la disponibilità da parte del proposto dei beni della moglie (che avrebbe provato la proporzione tra i propri redditi e gli impieghi e, segnatamente, l’acquisto immobiliare e la corresponsione delle rate del mutuo acceso), come correttamente affermato dalla Corte distrettuale. chiedendo di dichiarare inammissibile o rigettare il ricorso (cfr. memoria della difesa di NOME COGNOME);
si è assunto che il Giudice di appello avrebbe accertato che l’acquisto dei «beni merce» è sempre avvenuto in maniera lecita (senza l’accesso a forme di credito, bensì con dilazioni di pagamento e, in particolare, mediante l’utilizzo dei ricavi della vendita), deducendo che il punto non sarebbe stato oggetto di ricorso e, dunque, chiedendo di dichiarare definitivo il decreto impugNOME nei confronti di NOME COGNOME (cfr. memoria della difesa di NOME COGNOME).
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato, nei termini di seguito chiariti.
1. Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità:
nel procedimento di prevenzione il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge ai sensi degli artt. 10, comma 3, e 27, comma 2, D. Lgs. 159 del 2011; dunque, è escluso dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimità il vizio di motivazione (art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.), potendosi esclusivamente denunciare con il ricorso il caso di motivazione inesistente o meramente apparente poiché qualificabile come violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al giudice d’appello
(dagli artt. 7, comma 1, e 10, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011, in combiNOME disposto con l’art. 125, comma 3, cod. proc. pen.; Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, COGNOME, Rv. 260246 – 01; nonché Sez. 5, n. 11325 del 23/09/2019, dep. 2020, COGNOME; Sez. 6, n. 33705 del 15/06/2016, COGNOME, Rv. 270080 01; Sez. 6, n. 20816 del 28/02/2013, COGNOME, Rv. 257007 – 01);
– la motivazione del tutto mancante oppure apparente e, dunque, inesistente, è ravvisabile soltanto quando essa sia del tutto avulsa dalle risultanze processuali o si avvalga di argomentazioni di puro genere o di asserzioni apodittiche o di proposizioni prive di efficacia dimostrativa, cioè, in tutti i casi in cui il ragionamento espresso dal giudice a sostegno della decisione adottata sia soltanto fittizio e perciò sostanzialmente inesistente (Sez. 5, n. 9677 del 14/07/2014, dep. 05/03/2015, Rv. 263100 – 01; Sez. 3, n. 11292 del 13/02/2002, Salerno Rv. 221437 – 01); in altri termini, «il vizio di motivazione apparente sussiste solo quando il giudice non dia in realtà conto del percorso logico seguito per pervenire alla conclusione che adotta, argomentando per clausole di stile o affermazioni generiche non pertinenti allo specifico caso sottoposto alla sua valutazione» (Sez. 6, n. 31390 del 08/07/2011, COGNOME, Rv. 250686), ossia «allorché la motivazione adottata non risponda ai requisiti minimi di esistenza, completezza e logicità del discorso argomentativo su cui si è fondata la decisione, mancando di specifici momenti esplicativi anche in relazione alle critiche pertinenti dedotte dalle parti» (Sez. 1, n. 4787 del 10/11/1993, dep. 1994, COGNOME, Rv. 196361 – 01; cfr. pure Sez. 6, n. 49153 del 12/11/2015, COGNOME, Rv. 265244).
Tanto premesso, il decreto impugNOME è viziato sotto diversi punti di vista
In primo luogo, il decreto è erroneo nella parte in cui ha addotto, a sostegno della riforma della decisione di primo grado, la mancata allegazione di ulteriori elementi atti a «far ritenere superata la precedente valutazione di pericolosità del proposto» (cfr. decreto impugNOME). Anzitutto, consta in atti che il decreto n. 13/20 del 22 ottobre 2020 del Tribunale di Potenza non è un provvedimento ablativo emesso nell’ambito di un precedente procedimento, bensì uno dei decreti di sequestro che lo stesso Tribunale ha emesso ex art. 20 d. Igs. n. 159 del 2011, in maniera del tutto rituale, anteriormente a quello di confisca che ha definito il giudizio di primo grado (ex art, 24 d. Igs. 159 cit.): ragion per cui non si comprende dall’apodittico asserto che si legge nel provvedimento impugNOME in che termini il Proponente e il Tribunale avrebbero dovuto addurre, al fine della confisca, ulteriori elementi rispetto al decreto che ha disposto la cautela; tanto più se si considera che, in maniera del tutto erronea, la Corte di merito ha
ritenuto che non potrebbero considerarsi elementi di novità i reati che il proposto avrebbe commesso prima dell’emissione del decreto di sequestro perché «evidentemente valutat ovvero valutabili» in tale sede decisionale, asserto in contrasto con i principi posti dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui, «in tema di procedimento di prevenzione, nel giudizio d’appello possono essere utilizzati nuovi elementi probatori, preesistenti o sopravvenuti, introdotti anche dal pubblico ministero, purché nell’ambito del devolutum e nel rispetto del principio del contraddittorio» (Sez. 5, n. 5749 del 23/11/2021 – dep. 2022, COGNOME, Rv. 282780 – 01; cfr. pure Sez. 6, n. 51061 del 13/09/2017 lusco Rv. 271375 – 01: «in tema di procedimento di prevenzione, sussistendo, anche nella vigenza del d.lgs. n.159 del 2011, il principio del costante adeguamento della situazione di diritto a quella di fatto, il giudice di appello può fondare il suo convincimento su elementi non esaminati in primo grado, dei quali può sempre disporne l’acquisizione, ai sensi dell’art. 666, comma 5, cod. proc. pen.»).
In secondo luogo, la motivazione è in effetti apparente nella parte in cui ha ridotto da tre a sei anni il periodo in cui il proposto avrebbe espresso la propria pericolosità, indicando il tempus del più recente dei reati da lui commessi nel dicembre del 2008, a fronte di un reato commesso nel dicembre dell’anno successivo indicato nel decreto di primo grado.
Ancora, con riferimento ai profitti illeciti attribuiti al proposto, sub specie della perimetrazione degli acquisti rispetto alla sua pericolosità, il decreto impugNOME – richiamando Sez. U, n. 4880 del 26/06/2014 – dep. 2015, Spinelli, Rv. 262605 – 01 – ha affermato che sono suscettibili di ablazione soltanto i beni acquistati nell’arco di tempo in cui si è manifestata la pericolosità del proposto.
Tuttavia, vero è che la pericolosità sociale del proposto oltre ad essere presupposto ineludibile della confisca di prevenzione, è anche «misura temporale del suo ambito applicativo e, quindi, della sua efficacia acquisitiva (Sez. U, n. 4880 del 26/06/2014 – dep. 2015, cit.); ma la giurisprudenza ha chiarito che, anche «in tema di confisca di prevenzione disposta nei confronti di soggetto cd. pericoloso generico, è legittimo disporre la misura ablativa su beni acquisiti in periodo successivo a quello, individuato nel provvedimento, di manifestazione della pericolosità sociale, ove ricorra una pluralità di indici fattuali altamente dimostrativi della diretta derivazione causale delle acquisizioni patrimoniali dalla provvista formatasi in detto periodo» (Sez. 1, n. 12329 del 14/02/2020, COGNOME, Rv. 278700 – 01; cfr. pure Sez. 5, n. 1543 del 23/11/2020 – dep. 2021, COGNOME, Rv. 280667 – 02).
Inoltre, il decreto impugNOME è apodittico nella parte in cui esclude che i profitti che il proposto avrebbe tratto dai reati da lui commessi siano stati erroneamente quantificati, poiché non offre alcuna puntuale indicazione al
riguardo, e peraltro non considera che la confisca di prevenzione si caratterizza per «un allentamento del rapporto tra l’oggetto dell’ablazione e il singolo reato» e soprattutto per «un affievolimento degli oneri probatori gravanti sull’accusa», in funzione dell’esigenza di «superare i limiti di efficacia della confisca penale “classica”: limiti legati all’esigenza di dimostrare l’esistenza di un nesso di pertinenza – in termini di strumentalità o di derivazione – tra i beni da confiscare e il singolo reato per cui è pronunciata condanna» (Corte cost., n. 24 del 2019, che richiama Corte cost. n. 33 del 2018). Ed ha negato la sproporzione sia rispetto alla costituzione della RAGIONE_SOCIALE sia rispetto all’acquisto immobiliare da parte della moglie del proposto (che avrebbe pagato le rate del mutuo contratto all’uopo i ricavi dell’attività di impresa), profilo rispetto al quale – per vero – occorre anche considerare che in materia di preneiozne è prevista la possibilità di sottrarre al proposto i beni che siano frutto di attività illecita ovvero ne costituiscano il reimpiego (Sez. 1, n. 13242 del 10/11/2020 – dep. 2021, Fortuna, Rv. 280986 – 01) e, dunque, non può giovare – ad escludere i presupposti della confisca – la provvista tratta da attività imprenditoriali avviate con denaro di provenienza illecita, profilo che – dunque – non può dirsi oggetto di una motivazione dotata della necessaria efficacia dimostrativa (e perciò non apparente).
Non occorre dilungarsi per osservare che le allegazioni (in misura preponderante di fatto) contenute nelle memorie presentate nell’interesse del proposto e dei terzi non consentono di pervenire a una decisione diversa e che, contrariamente, a quanto assunto dalla difesa il Procuratore distrettuale ha impugNOME in toto il decreto di secondo grado, con particolare riguardo alla esclusione dei presupposti per l’ablazione, non ricorrendo alcuna preclusione o alcun giudicato.
Si impone, pertanto, l’annullamento del provvedimento impugNOME con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Salerno.
P.Q.M.
Annulla il provvedimento impugNOME con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Salerno.
Così deciso il 07/03/2024.