Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 24675 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 24675 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 07/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME COGNOME nato in Albania il 25/10/1968
NOME COGNOME nata a Lushnje (Albania) il 16/01/1970
NOME NOME nata a Salonicco (Grecia) il 09/11/1995
avverso la ordinanza del 13/09/2024 della Corte di appello di Brescia visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi; lette le memorie dei difensori, Avv. NOME COGNOME per COGNOME e Avv. NOME COGNOME per NOME COGNOME e COGNOME NOME, a sostegno dell’accoglimento dei rispettivi ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con il decreto in epigrafe la Corte di appello di Brescia, a seguito di gravame interposto dal proposto NOME COGNOME e dai terzi interessati NOME COGNOME e NOME COGNOME avverso il decreto emesso in data 9 giugno 2023 dal locale Tribunale, in parziale riforma della decisione ha disposto la restituzione agli aventi diritto di una quota, corrispondente alla somma di finanziamento di euro 27.500, dell’immobile sito a Torbole Casaglia (BS), intestato a NOME COGNOME e NOME COGNOME nonché di alcuni beni mobili, confermando nel resto il decreto avente ad oggetto la confisca di ulteriori beni mobili e immobili.
Avverso la decisione hanno proposto ricorso per cassazione, a mezzo dei rispettivi difensori, il proposto e i predetti terzi interessati.
Nell’interesse del proposto NOME COGNOME si deducono i seguenti motivi.
3.1. Con il primo motivo, violazione di legge in relazione alla ritenuta pericolosità sociale di cui agli artt. 1, comma 1, lett. b), 4 comma 1 lett. c) e 16, comma 1, lett. a) d. legs. n. 159/2011.
Pur limitando il periodo di pericolosità agli anni 2007/2012, i soli due precedenti ascritti al ricorrente non consentono di affermare che le condotte delittuose dello stesso possano definirsi abituali, risultando tra le due condanne uno stacco temporale che, in mancanza di elementi concreti, non individua tra le due condotte l’asserito filo conduttore. Inoltre, manca qualsiasi evidenza in ordine alla circostanza per cui le condotte ascritte abbiano effettivamente generato profitti in capo al ricorrente e, comunque, la loro incidenza sul reddito a sua disposizione.
Né vale a smentire la occasionalità delle condotte il richiamo alla vicenda triestina, terminata con il giudicato assolutorio e, pertanto, priva di qualsiasi legittimo connotato indiziante la abitualità nella commissione dei delitti lucrogenetici.
3.2. Con il secondo motivo violazione dell’art. 24 d. legs. n. 159/2011 in relazione alla ritenuta sproporzione per euro 136.289, conteggiando le movimentazioni relative al periodo successivo alla cessazione della pericolosità generica. Non emerge in capo al ricorrente alcuna accumulazione di risorse con riferimento sia al periodo antecedente all’anno 2007, sia con riferimento al periodo successivo all’anno 2012, data in cui la pericolosità sociale del predetto è definitivamente scemata.
Nell’interesse delle terze interessate si deducono i seguenti motivi.
4.1. Con il primo motivo violazione dell’art. 26 d. legs. n. 159/2011 e mera apparenza della motivazione con riferimento alla ritenuta intestazione fittizia.
A fronte di una acquisizione dei diritti di proprietà sui beni da parte dei terzi avvenuta ben prima dei due anni connotanti la presunzione di fittizietà dell’intestazione, la Corte di appello ha erroneamente applicato la disposizione di legge basando la presunta apparenza dell’intestazione sull’unico elemento dell’insufficienza di provviste per finanziare l’acquisto dei beni o dei conti all stesse intestati, nonostante sia stato provato lo svolgimento di attività lavorativa da parte della s.ra COGNOME e medesimo ragionamento può essere applicato nei confronti della figlia NOMECOGNOME che all’epoca (2015-2017) era da poco maggiorenne.
4.2. Con il secondo motivo violazione dell’art. 52, comma 3, D. leg. vo n. 159/2011 nella parte in cui non è stato riconosciuto il requisito della buona fede in capo alle terze interessate, tenuto conto della parziale restituzione della somma impiegata per l’acquisto dell’immobile e la riduzione del periodo di pericolosità sociale. All’atto di acquisto dell’immobile la S.ra NOME risultava in totale buona fede, non essendovi in quel momento alcun dato a sua conoscenza del coinvolgimento del marito in affari illeciti; medesimo ragionamento è spendibile per valutare l’apertura dei conti correnti utilizzati dalla famiglia per le spes quotidiane e per il versamento di fondi sul conto risparmio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso nell’interesse del proposto è inammissibile.
1.1. Il primo motivo è genericamente proposto per ragioni in fatto. Il decreto impugnato ha delimitato il periodo di pericolosità sociale dal 2007 al 2012 sulla base di due sentenze di condanna per reati in materia di stupefacenti commessi nel 2007/2008 e nel 2012, del tutto correttamente ritenuti espressivi della non occasionalità delle attività illecite del proposto e valorizzando – sempre al fine di giustificare la non occasionalità – i perduranti rapporti con persone dedite al traffico di stupefacenti di cui alla vicenda triestina terminata con assoluzione ai sensi dell’art. 530, comma 2, cod. proc. pen. in relazione a fatti commessi nel 2016/2017. Tale ultima valutazione – che non riguarda la sussistenza dei fattireato, ma rapporti del ricorrente con l’ambiente criminale qualificato – si conforma all’orientamento secondo il quale, in tema di misure di prevenzione, il giudice, attesa l’autonomia tra processo penale e procedimento di prevenzione, può valutare autonomamente i fatti accertati in sede penale, al fine di giungere ad un’affermazione di pericolosità generica del proposto ex art. 1, comma 1, lett. b),
d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, non solo in caso di intervenuta declaratoria di estinzione del reato o di pronuncia di non doversi procedere, ma anche a seguito di sentenza di assoluzione ai sensi dell’art. 530, comma 2, cod. proc. pen., ove risultino delineati, con sufficiente chiarezza e nella loro oggettività, quei fatti ch pur ritenuti insufficienti – nel merito o per preclusioni processuali – per una condanna penale, possono, comunque, essere posti alla base di un giudizio di pericolosità (Sez. 2, n. 15704 del 25/01/2023, COGNOME, Rv. 284488).
1.2. Il secondo motivo è genericamente proposto rispetto al rilievo, ai fini del giudizio di sproporzione, secondo il quale nel periodo di pericolosità individuato (2007/2012) le uscite del nucleo familiare del proposto sovrastano costantemente le entrate lecite, con picchi di spese in taluni periodi, due dei quali si collocano proprio in concomitanza con l’esecuzione dei fatti per cui il proposto è stato condannato e – secondo l’annotazione della polizia giudiziaria del 17 maggio 2023 – all’accertata disponibilità, da parte del ricorrente, di risorse economiche sproporzionate rispetto a tutto il periodo monitorato, fino alla fine del 2020.
Il giudizio, così espresso, si conforma al criterio elaborato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo il quale, in tema di confisca di prevenzione, è legittimo disporre la misura ablatoria delle utilità acquisite in un periodo successivo a quello per cui è stata asseverata la pericolosità sociale, purché il giudice dia atto della sussistenza di una pluralità di indici fattuali dimostrativi della derivazione delle acquisizioni patrimoniali dalla provvista formatasi nel periodo di compimento della attività illecita, con la precisazione che tali indici devono essere tanto più rigorosi ed univoci quanto maggiore è il lasso di tempo decorso dalla cessazione della pericolosità(Sez. 6, n. 36421 del 06/09/2021, COGNOME, Rv. 281990 – 01).
2. I ricorsi delle terze interessate sono inammissibili in quanto genericamente proposti per ragioni in fatto rispetto alla esaustiva motivazione svolta dal provvedimento impugnato, che ha evidenziato gli elementi dai quali ha desunto la natura fittizia dell’intestazione alla coniuge e alla figlia del proposto dei ben sottoposti a confisca, e la conseguente riconducibilità effettiva degli stessi a quest’ultimo: elementi da individuarsi nella mancata disponibilità, da parte delle nominate, di un reddito proprio sufficiente ad acquisirli, valutato alla luce di quanto già esposto nella trattazione del ricorso di NOME COGNOME, con particolare riferimento al contenuto dell’annotazione della Questura di Brescia del 17 maggio 2023 e ai parametri valutativi seguiti dal Tribunale di primo grado e richiamati nel provvedimento impugnato, del tutto pretermessi nell’esposizione delle doglianze difensive che, con gli stessi, non risultano essersi confrontate.
Cosicché è incensurabile il giudizio espresso dal provvedimento impugnato in ordine alla provenienza dal proposto della provvista per l’acquisto dei beni
intestati alle terze interessate, conformandosi al principio di diritto secondo il quale, in tema di sequestro e confisca di prevenzione, il rapporto esistente tra il
proposto e il coniuge, i figli e gli altri conviventi costituisce, pur al di fuori dei delle specifiche presunzioni di cui all’art. 2 ter, comma 13, legge n. 575 del 1965
(ora art. 26, comma secondo, D.Lgs. n. 159 del 2011), circostanza di fatto significativa della fittizietà della intestazione di beni dei quali il proposto non pu
dimostrare la lecita provenienza, quando il terzo familiare convivente, che risulta finalmente titolare dei cespiti, è sprovvisto di effettiva capacità economica
(Sez. 1, n. 17743 del 07/03/2014,COGNOME, Rv. 259608).
3. Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma che si stima equo
determinare in euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 07/05/2025.