Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 27381 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 27381 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/04/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
BRACHET COGNOME NOME NOME a CASELLE TORINESE il DATA_NASCITA
COGNOME NOME NOME a BIELLA il DATA_NASCITA
COGNOME
avverso il decreto del 12/10/2023 della CORT)APPELLO di TORINO se, udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG NOME COGNOME, che ha chiesto che i ricorsi vengano dichiarati inammissibili;
lette le conclusioni dei difensori dei ricorrenti AVV_NOTAIO. COGNOME NOME e AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che hanno insistito per l’accoglimento dei motivi di ricorso con ogni conseguente statuizione.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Torino, con decreto del 12/10/2023, per quanto qui di interesse, ha confermato il decreto impugNOME del Tribunale di Torino che aveva ritenuto la pericolosità di COGNOME NOME NOME, ai sensi degli artt. 4, lett. c) in relazione all’art. 1, lett. b) e lett. c) del d.lgs. n. 159 del 201 almeno dall’anno 2008 e sino all’anno 2019 e disposto, conseguentemente, la confisca di un immobile in Sant’Anna Arresi, oltre ai rapporti bancari/finanziari e al contenuto di una cassetta di sicurezza.
COGNOME NOME NOME quale proposta e COGNOME NOME, quale terzo interessato, hanno proposto ricorso per cassazione avverso il decreto della Corte di appello di Torino proponendo motivi di ricorso che qui si riportano nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell’art. 173 delle disp.att. cod.proc.pen.
Ricorso COGNOME NOME NOME. La difesa ha richiesto annullarsi la gravata sentenza con riferimento alla confisca dell’immobile in Sant’Anna Arresi per travisamento dei fatti che si risolve in una assenza di motivazione in considerazione della erronea applicazione dell’art. 19 del d.lgs. n. 159 del 2011 per erronea estensione a diverso soggetto giuridico della presunzione prevista nella disciplina richiamata; la affermazione secondo la quale la confisca sarebbe giustificata a causa della confusione tra risorse lecite ed illecite è del tutto erronea, anche in considerazione della non ammissibile considerazione della sperequazione con riferimento al nucleo familiare nel suo complesso, seppure in presenza di una capienza patrimoniale da parte del coniuge della proposta (ora separato ed in attesa di divorzio). Il presupposto della decisione, evidente oggetto di travisamento, e sul quale è stata basata la motivazione (da ritenere conseguentemente apparente), è che il soggetto che ha effettuato l’acquisto dell’immobile sia il nucleo familiare, mentre in concreto l’acquisto era stato effettuato da una ditta commerciale della quale era titolare il solo COGNOME, con risorse provenienti dal conto corrente della ditta commerciale in questione, intestato ovviamente solo al COGNOME; mancava qualsiasi elemento per poter ritenere la ditta del COGNOME in regime di sproporzione economica e la presunzione di cui all’art. 19 è stata applicata erroneamente.
Ricorso COGNOME NOME in qualità di terzo interessato. Violazione di legge in relazione agli artt. 16, comma 2, e art. 19 del d.lgs. n. 159 del
2011, per non avere indicato la Corte di appello le ragioni per le quali l’immobile in Sant’Anna Arresi e i conti correnti debbano considerarsi nella disponibilità diretta o indiretta della proposta COGNOME. Il ricorrente ha richiamato l’avvio del procedimento di separazione e divorzio dalla ex moglie COGNOME e ha ritenuto la ricorrenza nel caso in esame di una motivazione apparente, mancando una consistenza probatoria anche minima quale quella richiesta dal giudizio di prevenzione, in assenza di qualsiasi elemento che dimostri la piena disponibilità, nel determinarne destinazione ed impiego, del bene confiscato alla COGNOME. È mancata qualsiasi effettiva determinazione e descrizione di una disponibilità di tale bene in capo alla ex moglie del ricorrente quale dominus diretto dello stesso, atteso che nel caso concreto ricorrono prove dirette e concrete della provenienza della provvista per l’acquisto del bene dalle risorse del terzo interessato. Le considerazioni spese dalla Corte di appello sono del tutto generiche e presuntive, senza specificare perché alcune delle somme confluite sul conto corrente del ricorrente sarebbero da ritenere di provenienza illecita.
Il Procuratore generale ha concluso chiedendo che i ricorsi vengano dichiarati inammissibili.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili, COGNOME perché proposti con COGNOME motivi manifestamente infondati e non consentiti, tra loro sovrapponibili.
Il motivo introdotto da COGNOME NOME NOME, oltre che non consentito, è manifestamente infondato. COGNOME La COGNOME ricorrente contesta sostanzialmente la valutazione operata nel merito dalla Corte di appello, criticando la affermata ricorrenza dei presupposti soggettivi ed oggettivi della misura di prevenzione imposta, con argomentazioni del tutto reiterative rispetto a quelle proposte alla Corte di appello e concentrandosi tra l’altro principalmente sugli elementi che riguardano il suo ex marito quale terzo proposto, piuttosto che sulla sua effettiva posizione, senza effettivo confronto con la motivazione analitica, puntuale, approfondita e del tutto priva di aporie, che ha ricostruito in modo argomentato la ricorrenza dei presupposti legittimanti la misura imposta.
In tal senso, si deve premettere che, per come articolati e in considerazione delle doglianze proposte da entrambi i ricorrenti nella loro diversa posizione, i motivi non siano consentiti, tendendo all’evidenza ad
introdurre una lettura del merito alternativa, ritenuta più plausibile, non consentita in questa sede. Questa Corte ha ripetutamente evidenziato che nel procedimento di prevenzione, in forza del disposto dell’art. 4 legge 27 dicembre 1956, n. 1423, richiamato dall’art. 3-ter, comma 2, legge 31 maggio 1965, n. 575, il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge, nozione nella quale va ricompresa la motivazione inesistente o meramente apparente del provvedimento, che ricorre quando il provvedimento omette del tutto di confrontarsi con un elemento potenzialmente decisivo prospettato da una parte che, singolarmente considerato, sarebbe tale da poter determinare un esito opposto del giudizio (Sez. 2, n. 20968 del 06/07/2020, COGNOME, Rv. 279435-01; Sez. 6, Sentenza n. 33705 del 15/06/2016, COGNOME, Rv. 270080-01). Contrariamente a quanto affermato dalla ricorrente, destiNOMEria della misura di prevenzione, la Corte di appello ha ampiamente motivato sia quanto alla ricorrenza dei presupposti legittimanti la misura applicata, che quanto alla puntuale determinazione del requisito della pericolosità, in considerazione della sua delimitazione temporale, avendo motivatamente ritenuto la ricorrenza della pericolosità sociale sulla base di numerosi elementi di riscontro, affrontando specificamente le doglianze difensive su ogni punto dedotto (pagg. 5 e segg. dove tra l’altro si è evidenziato come la difesa della ricorrente non abbia neanche effettivamente contestato il giudizio di pericolosità, in considerazione del numerosi reati alla stessa contestati e della mole degli atti di indagine, tra cui numerose sommarie informazioni testimoniali delle persone offese che hanno raccontato in modo lineare e chiaro la condotta appropriativa e le modalità di accaparramento illegittimo di beni altrui, ricostruendo compiutamente una pericolosità sociale, analizzata in ogni suo elemento e logicamente considerata, in termini incensurabili in questa sede, come “notevole”, con produzione consistente di redditi illeciti per un esteso periodo temporale, nonché con riferimento alle caratteristiche del bene richiamato in ricorso, per il quale sono state ricostruite modalità di acquisto e titolarità confrontando tali elementi con i redditi del nucleo familiare). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Come correttamente osservato dal Procuratore generale “i ricorrenti hanno dedotto una violazione di legge, ma in verità si sono lamentati, in modo inammissibile, dell’apparato logico – motivazionale adottato dalla Corte d’appello (il giudice di merito ha difatti ampiamente ricostruito il tema relativo alla titolarità dell’immobile in questione, alla provenienza delle somme denaro di un immobile formalmente intestato al 50% ai due ex coniugi ed acquistato in costanza di matrimonio e premessa l’applicabilità della presunzione di cui
all’art. 26 del d. Igs. n. 159 del 2011, ha ritenuto che NOME NOME non abbia dimostrato adeguatamente la proprietà esclusiva di tale bene. La Corte d’appello, infatti, in modo del tutto ragionevole ha ritenuto che non possa attribuirsi in rilievo assoluto al fatto che il bene sia stato acquisito con risorse provenienti dal conto corrente del COGNOME, perché a tale dato, certamente significativo, deve essere aggiunta la verifica della sussistenza della capacità economica per effettuare questo acquisto. Il collegio ha altresì rilevato che gli illeciti ascritti alla COGNOME sono maturati nell’ambito dello svolgimento di attività lavorativa alla quale non era affatto estraneo NOME, su cui conto corrente sono confluite anche somme di denaro proveniente dall’attività illecita della donna”.
4. Non ricorre, dunque, alcuna apparenza della motivazione, essendo stati analiticamente affrontati gli argomenti difensivi dedotti dalla difesa con motivazione ampia, logica, puntuale, che non si presta a censure in questa sede. D’altra parte, e in conclusione, occorre ricordare che il giudizio sull’attualità della pericolosità sociale, può basarsi anche su comportamenti non costituenti reato, principio costantemente affermato da questa Corte, che qui si intende ribadire, e con il quale il ricorrente nella articolazione delle sue doglianze non si confronta (Sez. 2, n. 4191 del 11/01/2022, COGNOME, Rv. 282655-01; Sez. 2, n. 31549 del 06706/2019, RAGIONE_SOCIALE Rv. 27725505; Sez. 6, n. 49583 del 03/10/2018, COGNOME, Rv. 274434- 01).
Ricorre al contrario una analitica esposizione di elementi estremamente significativi quanto alla personalità, caratteristiche di vita familiare e patrimoniale del soggetto proposto, che quanto alle caratteristiche della conseguente confisca di prevenzione, che introduce una presunzione relativa di illecito acquisto dei beni, che vale in quanto si possa ragionevolmente ipotizzare che i beni o il denaro confiscati costituiscano il frutto delle attività criminose nelle quali la ricorrente risultava essere impegNOME all’epoca della loro acquisizione, ancorché non sia necessario stabilirne la precisa derivazione causale da uno specifico delitto. Deve, pertanto, ritenersi che l’ablazione patrimoniale – con riguardo alla pericolosità generica ex art. 1, lett. b), d.lgs. n. 159 del 2011 – si giustifica, come avvenuto nel caso in esame, nei limiti in cui, le condotte criminose compiute in passato dal soggetto proposto risultino essere state effettivamente fonte di profitti illeciti; e in tal senso la Corte di appello ha richiamato e ricostruito movimentazioni per consistentissimi flussi finanziari con sperequazione progressiva rispetto ai redditi dei singoli con riferimento alla situazione reddituale nel suo complesso (pagg. 6 e seguenti,
con analitico richiamo al criterio del calcolo della sperequazione), in assenza di lecite e precedenti risorse a tal fine idonee, in quantità ragionevolmente congruente, rispetto al valore dei beni che s’intendono confiscare, e la cui origine lecita il ricorrente non è stato in grado di giustificare (Corte cost., sent. n.24 del 2019).
Il motivo proposto, nella qualità di terzo interessato dal COGNOME, sostanzialmente sovrapponibile a quello della COGNOME, è a sua volta manifestamente infondato. In tal senso, si deve ribadire che il terzo interessato può dedurre, in sede di merito e di legittimità, unicamente la propria effettiva titolarità o disponibilità del bene e l’inesistenza di relazioni di collegamento con la posizione del proposto
Il ricorrente articola una serie di deduzioni volte a contestare la sussistenza dei presupposti per l’applicazione della misura nei confronti della ex moglie soggetto proposto, piuttosto che giustificare la diretta riferibilità del bene ai suoi redditi ed alle sue capacità economiche; censure che integrano veri e propri vizi della motivazione, piuttosto che un vizio di violazione di legge, costituente l’unico motivo per il quale è ammissibile il ricorso in Cassazione nel giudizio di prevenzione (Sez. 6, n. 7469 del 4/6/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278454-01; Sez.5, n. 333 del 20/11/2020, dep.2021, COGNOME, Rv. 280249-01). Emerge dunque una mera lettura alternativa degli elementi compiutamente valutati, in modo logico e articolato, non censurabile in questa sede, dal provvedimento impugNOME, a fronte di una evidente mancanza di giustificazione da parte del ricorrente in ordine alla provenienza lecita dei beni ed in considerazione della specifica ricostruzione effettuata che non si presenta in violazione di legge (sul punto specificamente pag.7 e segg. con particolare riferimento al ruolo dallo stesso rivestito nella complessiva attività imputata alla ex moglie, per nulla estraneo, ma anzi direttamente coinvolto nella stessa, nonché con riferimento al versamento sui suoi conti di somme provento della illecita attività della COGNOME, con analisi specifica anche della deduzione secondo la quale l’immobile sarebbe stato acquistato mediante un mutuo, con conclusioni chiare e logicamente argomentate con le quali il ricorrente non si confronta).
Anche le argomentazioni critiche proposte in ordine ai criteri utilizzati ed agli elementi valorizzati, secondo gli indici RAGIONE_SOCIALE (pagg. 7 e seguenti del provvedimento impugNOME), per rilevare la mancanza di redditi adeguati e proporzionati al fine di realizzare gli acquisti oggetto di misura di prevenzione
si sostanziano nella mera riproposizione COGNOME di argomenti ampiamente considerati dalla Corte di appello in assenza di qualsiasi violazione di legge. Si è correttamente considerata la incidenza dei costi di sostentamento del nucleo familiare di riferimento, desunti dalle analisi RAGIONE_SOCIALE, posto che il reddi rilevante al fine di ritenere esistente la capacità di acquisto va inteso ne redditività netta. Il valore da porre in comparazione con le spese sostenute per gli acquisti deve, infatti, essere rappresentato dalla quota di risparmio ossia da ciò che risulta disponibile operato lo scorporo delle spese di sostentamento e mantenimento del tenore di vita.
All’inammissibilità dei ricorsi consegue, ai sensi dell’art. 616 cod proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento, nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila ciascuno, così equitativamente fissata.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 30 aprile 2024.