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Confisca di prevenzione: la prova del terzo

La Corte di Cassazione ha confermato la confisca di prevenzione delle quote di una società, formalmente intestate a un terzo. La decisione si fonda sulla ritenuta intestazione fittizia a favore di un soggetto socialmente pericoloso. La Corte ha stabilito che, a fronte di solidi indizi forniti dall’accusa (sproporzione reddituale del terzo, anomalie contabili, dichiarazioni e intercettazioni), il terzo ha un onere di allegazione rafforzato per dimostrare la provenienza lecita delle risorse, non essendo sufficiente la mera tracciabilità dei pagamenti.

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Pubblicato il 7 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Confisca di Prevenzione su Beni di Terzi: la Cassazione Definisce l’Onere della Prova

La confisca di prevenzione rappresenta uno degli strumenti più incisivi a disposizione dello Stato per contrastare l’accumulazione di patrimoni di origine illecita. Ma cosa succede quando i beni sono formalmente intestati a un soggetto terzo, apparentemente estraneo ai contesti criminali? Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione torna a fare luce sul delicato equilibrio tra l’onere probatorio dell’accusa e quello di allegazione del terzo, confermando la confisca delle quote di una società ritenute fittiziamente intestate.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da un decreto di prevenzione emesso dal Tribunale di Roma, che disponeva la confisca del capitale sociale e del patrimonio di diverse società, tra cui una società a responsabilità limitata operante nel settore dei giochi. Tali beni erano ritenuti riconducibili a un noto esponente di un clan criminale. La titolare formale delle quote maggioritarie della società, una cittadina di origine straniera, proponeva appello, sostenendo la legittima provenienza del proprio investimento.

Il percorso giudiziario è stato complesso: la Corte di Appello, dopo un primo annullamento con rinvio da parte della Cassazione, ha riesaminato il merito della vicenda e ha confermato la confisca, ritenendo infondate le doglianze della ricorrente. Quest’ultima ha quindi proposto un nuovo ricorso per cassazione, lamentando una violazione delle norme sulla confisca e un vizio di motivazione del provvedimento impugnato.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato in ogni suo punto e condannando la ricorrente al pagamento delle spese processuali. La sentenza ha confermato in toto la validità del decreto di confisca emesso dalla Corte di Appello, giudicando la motivazione adeguata e corretta l’applicazione dei principi giuridici in materia.

Le Motivazioni della Decisione

Il cuore della pronuncia risiede nell’analisi dei principi che governano la confisca di prevenzione nei confronti dei terzi. La Corte ha ribadito i seguenti punti cardine.

L’Onere della Prova nella Confisca di Prevenzione

La Cassazione ha chiarito che, in tema di misure di prevenzione, non si può addossare al terzo intestatario lo stesso onere probatorio che grava sull’accusa. Spetta infatti alla pubblica accusa dimostrare due elementi fondamentali:

1. La sproporzione tra il patrimonio del proposto (il soggetto pericoloso) e i suoi redditi leciti.
2. L’esistenza di indizi gravi, precisi e concordanti che facciano ritenere i beni del terzo come fittiziamente intestati e, in realtà, nella disponibilità indiretta del proposto.

Al terzo, invece, non è richiesta una probatio diabolica sulla legittima provenienza delle risorse, ma un onere di allegazione. Egli deve cioè fornire elementi e circostanze di fatto, ragionevoli, plausibili e riscontrabili, che indichino l’origine lecita dei fondi utilizzati per l’acquisto del bene.

L’Analisi degli Indizi nel Caso Specifico

Nel caso esaminato, la Corte di Appello aveva fondato la sua decisione su una pluralità di elementi indiziari convergenti, che la Cassazione ha ritenuto correttamente valutati:

* Incapacità Patrimoniale del Terzo: La ricorrente e il suo nucleo familiare non avevano dichiarato redditi sufficienti a giustificare l’ingente investimento per l’acquisto del ramo d’azienda e la costituzione della società. La sola tracciabilità dei pagamenti (effettuati tramite bonifici) non è stata ritenuta sufficiente a dimostrare la provenienza lecita delle somme, in assenza di una capacità economica di base.
* Anomalie Contabili: La gestione contabile della società presentava gravi e inspiegate irregolarità, come saldi di cassa negativi “aggiustati” a fine anno e versamenti di contante sul conto corrente superiori ai ricavi dichiarati, privi di giustificazione.
* Dichiarazioni dei Collaboratori: Collaboratori di giustizia avevano riferito degli interessi del clan criminale nella gestione della sala giochi, anche in periodi precedenti al formale subentro della società della ricorrente.
* Intercettazioni e Controllo di Fatto: Una conversazione intercettata dimostrava l’interesse diretto e la volontà del proposto di incidere sulle attività della sala giochi, manifestando un controllo di fatto sull’impresa. Inoltre, la chiusura temporanea del locale per la frequentazione abituale di pregiudicati corroborava la sua riconducibilità ad ambienti criminali.

Di fronte a questo quadro probatorio, le argomentazioni difensive non sono state ritenute in grado di fornire una spiegazione alternativa credibile e coerente. La Corte ha concluso che l’intestazione delle quote alla ricorrente fosse puramente formale, celando la reale disponibilità del bene in capo al soggetto pericoloso.

Conclusioni

Questa sentenza ribadisce un principio cruciale nella lotta alla criminalità organizzata: la formalità dell’intestazione di un bene non costituisce uno scudo invalicabile contro le misure di prevenzione patrimoniale. Quando l’accusa fornisce un quadro indiziario solido che dimostra la sproporzione economica del terzo e la riconducibilità del bene a un soggetto pericoloso, scatta per il terzo un onere di allegazione rafforzato. Non basta affermare la propria buona fede o mostrare la tracciabilità di un’operazione, ma è necessario fornire prove concrete e verificabili dell’origine lecita delle proprie risorse finanziarie, pena la conferma della confisca.

A chi spetta l’onere della prova in una confisca di prevenzione di beni intestati a un terzo?
All’accusa spetta l’onere di produrre gli elementi che dimostrino la sproporzione tra il reddito e il patrimonio e la provenienza delle risorse dal soggetto pericoloso. Al terzo, invece, grava un onere di allegazione, ovvero deve fornire fatti, situazioni o eventi riscontrabili che indichino la lecita provenienza dei beni.

La semplice tracciabilità dei pagamenti (es. bonifici) è sufficiente per il terzo a evitare la confisca?
No. Secondo la sentenza, la tracciabilità dei mezzi di pagamento non dimostra di per sé la fonte lecita delle somme, soprattutto quando il terzo non ha una capacità reddituale dichiarata compatibile con l’investimento effettuato.

Quali elementi possono indicare che l’intestazione di beni a un terzo è fittizia?
La sentenza evidenzia diversi elementi: la sproporzione tra il valore del bene e i redditi dichiarati dal terzo, gravi anomalie contabili nella gestione dell’eventuale società, dichiarazioni di collaboratori di giustizia, intercettazioni che rivelano il controllo di fatto da parte del soggetto pericoloso, e la costante frequentazione dell’attività commerciale da parte di pregiudicati.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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