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Confisca di prevenzione: la Cassazione fa chiarezza

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile un ricorso contro il rigetto di un’istanza di revoca di una confisca di prevenzione. Gli appellanti sostenevano che una sentenza della Corte Costituzionale su una categoria di pericolosità sociale dovesse applicarsi anche alla loro. La Suprema Corte ha invece confermato la netta distinzione tra le diverse fattispecie, ribadendo la legittimità della misura patrimoniale basata sulla prova che i soggetti vivessero con proventi di attività illecite.

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Pubblicato il 12 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Confisca di Prevenzione: La Cassazione Sottolinea le Differenze tra Categorie di Pericolosità

La confisca di prevenzione rappresenta uno strumento fondamentale nel contrasto alla criminalità, consentendo allo Stato di aggredire i patrimoni di origine illecita. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 47724/2024, offre importanti chiarimenti sui presupposti per la sua applicazione e sui limiti dell’impugnazione, distinguendo nettamente tra le diverse categorie di pericolosità sociale. Il caso analizzato riguarda il tentativo di ottenere la revoca di una confisca disposta oltre dieci anni prima, basandosi su una successiva pronuncia della Corte Costituzionale.

I Fatti del Caso: Una Confisca Lontana nel Tempo

La vicenda trae origine da un decreto di confisca emesso nel 2011 dal Tribunale di Pescara nei confronti di due soggetti, riguardante un bene immobile intestato a un terzo. La misura era stata disposta sulla base della loro presunta pericolosità sociale, in quanto si riteneva vivessero abitualmente con i proventi di attività delittuose. Anni dopo, i soggetti interessati presentavano un’istanza per revocare tale misura, sostenendo che una sentenza della Corte Costituzionale del 2019 avesse reso illegittimi i presupposti della confisca. La Corte di Appello di L’Aquila rigettava l’istanza, spingendo i tre a ricorrere in Cassazione.

Il Ricorso in Cassazione e la confisca di prevenzione

I ricorrenti basavano la loro impugnazione su tre argomenti principali. Il punto centrale era la presunta violazione di legge in relazione alla sentenza della Corte Costituzionale n. 24/2019. Essi sostenevano che tale sentenza, pur avendo dichiarato l’illegittimità della categoria di pericolosità relativa a chi è “abitualmente dedito a traffici delittuosi” (art. 1, comma 1, lett. a, D.Lgs. 159/2011), dovesse estendere i suoi effetti anche alla categoria di chi “vive abitualmente con i proventi di attività delittuose” (lett. b), data la loro presunta identità di caratteristiche. Gli altri motivi di ricorso lamentavano, in modo più generico, vizi di motivazione e l’errata applicazione di norme processuali.

La Decisione della Cassazione: Un Ricorso Inammissibile

La Suprema Corte ha dichiarato i ricorsi inammissibili per manifesta infondatezza e aspecificità. La decisione si fonda su un’analisi rigorosa dei limiti del sindacato di legittimità e sulla corretta interpretazione delle norme in materia di misure di prevenzione.

Le motivazioni

La Corte ha smontato l’argomentazione principale dei ricorrenti, evidenziando come la stessa Corte Costituzionale, nella sentenza n. 24/2019, avesse operato una chiara e netta distinzione tra le due categorie di pericolosità. Mentre la categoria di cui alla lettera a) era stata giudicata troppo vaga e indeterminata, quella di cui alla lettera b) era stata ritenuta sufficientemente precisa e determinata, e quindi pienamente legittima. La decisione della Corte di Appello di non applicare estensivamente la pronuncia di incostituzionalità era, pertanto, giuridicamente corretta. La confisca di prevenzione basata sulla categoria b) rimaneva solida.

Inoltre, i giudici di legittimità hanno qualificato le altre censure come indeterminate e generiche. I ricorrenti non avevano indicato specifici elementi a sostegno delle loro critiche, limitandosi a contrapporre una propria valutazione dei fatti a quella, logicamente motivata, dei giudici di merito. La Corte ha colto l’occasione per ribadire un principio fondamentale: nel procedimento di prevenzione, il ricorso in Cassazione è ammesso solo per violazione di legge e non per contestare la valutazione delle prove, a meno che la motivazione sia talmente carente da risultare apparente o inesistente, cosa non avvenuta nel caso di specie.

Le conclusioni

La sentenza 47724/2024 rafforza la stabilità delle misure di prevenzione patrimoniale e definisce con precisione i confini del dibattito legale. Le implicazioni pratiche sono significative: in primo luogo, si conferma che le sentenze della Corte Costituzionale hanno un perimetro di applicazione ben definito e non possono essere invocate in modo analogico per fattispecie che il legislatore e la stessa Corte hanno tenuto distinte. In secondo luogo, viene ribadito il rigore richiesto per i ricorsi in Cassazione, che devono individuare violazioni di legge specifiche e non possono risolversi in un tentativo di ottenere un terzo grado di giudizio sul merito dei fatti. Per i cittadini e gli operatori del diritto, questa pronuncia è un monito sull’importanza di fondare le proprie istanze su basi giuridiche solide e pertinenti, specialmente in un ambito delicato come quello della confisca di prevenzione.

Una sentenza della Corte Costituzionale che dichiara illegittima una categoria di pericolosità sociale si applica automaticamente a tutte le altre?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che gli effetti di una pronuncia di illegittimità costituzionale sono limitati alla specifica norma o categoria esaminata. In questo caso, la sentenza n. 24/2019 riguardava solo i soggetti “abitualmente dediti a traffici delittuosi” e non quelli che “vivono abitualmente con i proventi di attività delittuose”, la cui disciplina è rimasta valida.

In un procedimento di prevenzione, è possibile contestare in Cassazione il modo in cui i giudici di merito hanno valutato le prove?
Di regola, no. Il ricorso per cassazione nei procedimenti di prevenzione è ammesso solo per violazione di legge. Il cosiddetto “travisamento della prova” (un errore nella valutazione dei fatti) non è un motivo valido, a meno che l’errore sia così grave da rendere la motivazione della sentenza del tutto assente o illogica.

Cosa succede se un ricorso in Cassazione è ritenuto “aspecifico” o “manifestamente infondato”?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile, il che significa che la Corte non entra nel merito della questione. Come conseguenza, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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