Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 47724 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 47724 Anno 2024
Presidente: IMPERIALI NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 14/11/2024
SENTENZA
Sui ricorsi proposti da: COGNOME nata il 13/05/1962 a MILANO COGNOME nato il 21/03/1959 a PESCARA COGNOME NOME nato il 17/08/1997 a PESCARA
avverso il decreto in data 27/05/2024 della CORTE DI APPELLO DI L’AQUILA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi.
A seguito di trattazione con procedura ai sensi dell’art. 611 cod. proc. pen..
RITENUTO IN FATTO
COGNOME Rosa, COGNOME e COGNOME Marco, per il tramite del comune procuratore speciale, impugnano il decreto in data 27/05/2024 della Corte di appello di L’Aquila, che ha rigettato l’istanza di revocazione della misura di prevenzione della confisca disposta nei confronti di COGNOME Rosa e di COGNOME dal Tribunale di Pescara in data 07/12/2011, su un bene immobile intestato a COGNOME NOME.
Deducono:
Violazione di legge in relazione alla sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2019; 2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 24 del
decreto legislativo n. 159 del 2011; 3) Erronea applicazione di norma processuale e vizio di motivazione.
Sotto un’unica intitolazione, i ricorrenti espongono i seguenti argomenti.
1.1. Sotto un primo profilo, dopo avere illustrato i contenuti della sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2019, osservano che la Corte di appello ha negato la revocazione evidenziando che il pronunciamento costituzionale si riferisce soltanto alle ipotesi in cui la confisca è stata disposta nei confronti di soggetti abitualmente dediti a traffici delittuosi, ma non anche nei confronti di soggetti per i quali, in base alla condotta di vita, emerga che vivano abitualmente di attività delittuose.
Secondo i ricorrenti non è possibile distinguere le due diverse categorie di soggetti individuate dalla Corte di appello, attesa l’identità delle loro caratteristiche, sicchè la sentenza della Corte costituzionale produce effetti in relazione a entrambe.
1.2. Con una seconda argomentazione, viene richiamata la sentenza in data 12/07/2023 pronunciata da questa Corte nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOME, in tema di applicazione dell’art. 28 del decreto legislativo n. 159 del 2011. Viene altresì richiamata la sentenza in data 08/09/2022 pronunciata da questa Corte nei confronti di COGNOME NOME che aveva annullato il decreto in data 12.05.2011 del Tribunale di Pescara per la violazione del principio di preclusione processuale.
Si assume che i medesimi principi andavano applicati al caso in esame.
1.3. Infine, si assume che il Tribunale non ha analizzato con la dovuta serenità di giudizio e in maniera completa la documentazione prodotta dalla difesa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
GLYPH Il ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato e perché aspecifico.
1.1. La manifesta infondatezza attiene all’unica argomentazione che è stato possibile ricostruire dalla lettura dell’esposizione, con la quale si assume che si ha identità tra la categoria di pericolosità di coloro che debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, abitualmente dediti a traffici delittuosi (art, 1, comma 1, lett. a decreto legislativo n. 159 del 2011), e quella di coloro che, per la condotta ed il tenore di vita, debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivano abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose (art, 1, comma 1, lett. b, decreto legislativo n. 159 del 2011).
Sulla base di tale assunto, i ricorrenti deducono l’erroneità del decreto impugnato che, invece, ha distinto le due categorie, osservando che la sentenza della Corte costituzionale ha riguardato la categoria di pericolosità di cui all’ad, 1, comma 1, lett. a), decreto legislativo n. 159 del 2011, ma non anche quella di cui all’art. 1, comma 1, lett. b), dello stesso decreto legislativo, in relazione alla quale è stata disposta la confisca.
La correttezza del rilievo della Corte di appello e la manifesta infondatezza del contrario assunto difensivo emergono con chiarezza ove si consideri che è la stessa sentenza della Corte costituzionale che ha distinto nettamente le due categorie di pericolosità.
Va sinteticamente ricordato, infatti, che la declaratoria di illegittimità costituzionale è stata sollevata per entrambe le categorie, sotto il profilo della violazione del principio di tassatività e determinatezza, ma la Corte costituzionale ha ritenuto che la definizione della fattispecie di cui alla lettera b) dell’art. 1 d.lgs. 159/2011 avesse raggiunto un sufficiente grado di precisione, tale da non meritare la censura d’illegittimità.
Non anche -invece- la categoria di pericolosità generica descritta alla lettera a) della stessa norma che, difatti, veniva espunta dal sistema dalla pronuncia di illegittimità costituzionale.
La decisione della Corte di appello è, dunque, corretta e il motivo d’impugnazione manifestamente infondato.
1.3. Le restanti argomentazioni sviluppate nel ricorso sono affatto indeterminate e perciò prive dei requisiti prescritti dall’art. 581, comma 1, lett. c) cod. proc. pen. in quanto, a fronte di una motivazione del decreto impugnato logicamente corretta, i ricorrenti non indicano gli elementi che sono alla base delle censure formulate, così non consentendo al giudice dell’impugnazione di individuare i rilievi mossi ed esercitare il proprio sindacato.
1.4. A parte tale assorbente rilievo, va ulteriormente rilevato, come tali argomentazioni (oltre che in parte già coperg dal giudicato in forza della sentenza n. 49265 del 15/11/2022 di questa Corte) si riferiscono (genericamente e apoditticamente) ai contenuti della motivazione del provvedimento impugnato, rispetto alla quale oppongono una valutazione delle emergenze procedimentali alternativa e antagonista a quella dei giudici di merito.
Da ciò l’ulteriore ragione d’inammissibilità dei ricorsi, atteso che «nel procedimento di prevenzione, il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge, sicchè il vizio di travisamento della prova per omissione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. è estraneo al procedimento di legittimità, a meno che il travisamento non abbia investito plurime circostanze decisive totalmente ignorate ovvero ricostruite dai giudici di merito in modo talmente erroneo da trasfondersi in una motivazione apparente o inesistente, riconducibile alla violazione di legge», (Sez. 2, n. 20968 del 06/07/2020, COGNOME, Rv. 279435 – 01).
Da quanto esposto discende l’inammissibilità dei ricorsi, cui segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della
causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila ciascuno, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 14/11/2024