Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 20138 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 20138 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/02/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME nato a RAFFADALI( ITALIA) il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a AGRIGENTO( ITALIA) il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a RAFFADALI( ITALIA) il DATA_NASCITA
avverso il decreto del 12/07/2023 della CORTE APPELLO di PALERMO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette:
la requisitoria scritta del Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto dei ricorsi; – le memorie presentata dagli avvocati NOME COGNOME, nell’interesse di NOME COGNOME, e NOME COGNOME, nell’interesse di NOME COGNOME e NOME COGNOME, che hanno contestato la fondatezza di guanto rassegnato dal Procuratore generale e hanno insistito per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi;
RITENUTO IN FATTO
Con decreto del 12 luglio 2023 la Corte di Appello di Palermo – a seguito del gravame interposto dal proposto NOME COGNOME nonché dai terzi interessati NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME – in parziale riforma del decreto in data 14 ottobre 2020 del Tribunale di Palermo:
ha revocato la confisca delle giacenze relative a un conto corrente bancario (accesso presso Banca Mediolanum) intestato a NOME COGNOME;
ha confermato nel resto il provvedimento di primo grado che aveva disposto la confisca di più immobili di proprietà dello stesso proposto e di NOME COGNOME, delle giacenze relative ai rapporti bancari, assicurativi e di investimento intestati al proposto e ai predetti terzi interessati, dei beni mobili registrat intestati al proposto e a NOME COGNOME, nonché degli impianti di produzione di energia intestati al proposto.
Avverso il provvedimento di secondo grado è stato proposto ricorso per cassazione nell’interesse di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME per i motivi di seguito esposti (nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, d. att. cod. proc. pen.).
2.1. Il difensore del proposto ha formulato un unico motivo, con il quale ha prospettato la violazione degli artt. 18 e 24 d. Igs. 159/2011, in quanto la confisca dei beni intestati a NOME COGNOME sarebbe stata disposta in difetto del presupposto della pericolosità sociale (ex art. 1, comma 1, lett. b), d. Igs. 159 cit.) e in violazione della correlazione temporale tra pericolosità ed acquisti, in particolare:
collocando i suoi profitti illeciti in epoca anteriore all’anno 1998, nonostante quanto emerso nel procedimento penale instaurato nei suoi confronti per usura e definito con statuizione irrevocabile (segnatamente in ordine al versamento da parte dell’imputato alla persona offesa di una somma superiore a quella restituita, essendosi per l’appunto dedotto con l’atto di appello che non è mai stato accertato un accrescimento patrimoniale del proposto per il detto delitto);
ritenendo, in difetto di qualsivoglia elemento probatorio – per il tramite del richiamo di un’ordinanza cautelare, da cui tuttavia non può trarsi tale dato la commissione da parte del ricorrente di numerosissime truffe anche anteriormente al 2010, non emergendo neppure che i «quattro casi» oggetto del provvedimento de libertate abbiano effettivamente prodotto profitti per il proposto; tanto più che le condotte in discorso sarebbero ancora sub iudice e per altri fatti oggetto del medesimo procedimento penale è stata disposta l’archiviazione;
erroneamente disponendo la confisca della quota di proprietà di un terreno acquistato nel 1999 (con provvista raccolta negli anni precedenti, quando il proposto non era stato ritenuto socialmente pericoloso con sentenza irrevocabile, difettando pure l’effettivo ottenimento di profitti dal reato a lui contestato); nonché la confisca di un immobile acquistato nel 2008 (con provvista raccolta negli anni precedenti in un momento in cui il COGNOME non era stato ritenuto socialmente pericoloso, difettando pure l’effettivo ottenimento di profitti dai reati a lui contestati), oltre che di una polizza assicurativa stipulat nel 2009 e delle giacenze di due conti correnti accesi nel 2007 e nel 2009.
2.2. Nell’interesse di NOME sono stati presentati tre motivi.
2.2.1. Con il primo motivo è stata prospettata la violazione degli artt. 19, 23, 24 e 26 d. Igs. 159/2011, adducendo che i Giudici di merito avrebbe ritenuto nella disponibilità del proposto i beni intestati alla moglie, oggetto di confisca:
nonostante la prova che ella godesse di risorse proprie (reddituali, versando peraltro, già all’atto del sequestro, in regime di separazione dei beni; provenienti dalle regalie ricevute dalla madre NOME; nonché derivanti da ulteriori entrate che tuttavia il perito – già nominato dal Tribunale e nuovamente escusso nel giudizio di appello – non ha considerato come flussi attivi);
non considerando isolatamente la posizione della ricorrente (come sarebbe corretto ad avviso della difesa), ricostruzione che avrebbe palesato la disponibilità in capo alla RAGIONE_SOCIALE di risorse lecite sufficienti per i propri acquisti, bensì includendola in tabelle sperequative uniche (che confonderebbero le vicende economiche dei terzi con quelle del proposto);
escludendo dal computo le entrate della COGNOME non tempestivamente denunciate al fisco, profilo rispetto al quale i Giudici di merito hanno aderito al principio posto da Sez. 1, n. 12629 del 16/01/2019, Macrì, Rv. 274988 – 01 («in tema di confisca di prevenzione, la sproporzione tra i beni posseduti e le attività economiche del familiare o del terzo intestatario fittizio del bene in favore del proposto non può essere da costoro giustificata adducendo proventi da evasione fiscale, giacché, altrimenti, illogicamente sarebbero rese non operative le rispettive presunzioni di interposizione fondate, per quanto attiene ai familiari ed al coniuge, sulla massima di comune esperienza della comLnanza di interessi patrimoniali e di redditi nell’ambito dell’unità familiare entro cui si colloca la persona socialmente pericolosa, e, per quanto attiene al terzo, sull’accertamento di cui all’art. 26, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159») a dispetto del difforme orientamento richiamato dalla difesa (Sez. 5, n. 37297 del 23/06/2022, COGNOME, Rv. 283798 – 02: «in tema di confisca di prevenzione, il terzo che intende rivendicare l’effettiva disponibilità del bene, ritenuto fittiziarnente intestato a
proposto, può giustificare la ravvisata sproporzione tra quanto posseduto e la propria capacità economica adducendo proventi da evasione fiscale»), che ha chiesto di valutare se investire del contrasto le Sezioni Unite; fermo restando che, anche aderendo al primo orientamento, dovrebbe espungersi dalle disponibilità lecite solo l’importo corrispondente all’imposta evasa e non tutto il montante.
2.2.2. Con il secondo motivo è stata denunciata la violazione degli artt. 7, comma 1, e 10, comma 2, d. Igs. 159/2011 e dell’art. 125, comma 3, cod. proc. pen., adducendo che – alla luce di quanto esposto nel primo motivo – la motivazione a sostegno dell’ablazione dei beni intestati a NOME sarebbe apparente.
2.2.3. Con il terzo motivo è stata denunciata la violazione dell’art. 27, comma 6, d. Igs. 159/2011, rappresentando che la Corte di merito avrebbe dovuto dichiarare la perdita di efficacia del sequestro (come prospettato con la memoria difensiva del 6 giugno 2023), da ritenersi sospeso soltanto per l’espletamento delle operazioni peritali e non per il rinvio per la discussione, doveroso perché all’udienza precedente non era stata programmata (tanto che lo stesso Procuratore generale distrettuale, all’invito del Presidente del Collegio a rassegnare le proprie conclusioni, aveva chiesto un rinvio «che la Corte sostanzialmente gli suggeriva di ritirare, verbalizzandolo come unicamente proveniente della difesa»).
2.3. Nell’interesse di NOME COGNOME sono stati presentati tre motivi.
2.3.1. Con il primo motivo è stata prospettata la violazione degli artt. 19, 23, 24 e 26 d. Igs. 159/2011, adducendo che i Giudici di merito avrebbe ritenuto nella disponibilità del proposto i beni intestati alla figlia, oggetto di confisca:
constando che NOME COGNOME, all’atto della notifica del decreto di sequestro (nel giugno del 2018), non faceva più parte del nucleo familiare di origine e conviveva dal mese di aprile 2017 con la nonna NOME COGNOME; i fondi di investimento Mediolanum attinti da ablazione erano stati acquistati nel 2016, in concomitanza con il disinvestimento delle polizze, lecite e non riferibili al proposto, che la nonna nel 2014 le aveva ceduto; NOME COGNOME nel 2016 non era priva di reddito;
la posizione della ricorrente non sarebbe stata considerata isolatamente (come sarebbe corretto ad avviso della difesa), ricostruzione che avrebbe palesato la disponibilità in capo a NOME COGNOME di risorse lecite sufficienti per i propri acquisti, bensì includendo in tabelle sperequative uniche (che confonderebbero le vicende economiche dei terzi con quelle del proposto).
2.3.2. Con il secondo motivo è stata denunciata la violazione degli artt. 7, comma 1, e 10, comma 2, d. Igs. 159/2011 e dell’art. 125, comma 3, cod. proc.
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pen., adducendo che – alla luce di quanto esposto nel primo motivo – la motivazione a sostegno dell’ablazione dei beni intestati a NOME COGNOME sarebbe apparente; e che la Corte di merito avrebbe erroneamente assunto che l’atto di appello sarebbe rimasto silente in ordine alle risorse iconee a giustificare gli acquisti, nonostante le deduzioni prospettate con il gravame (corrispondenti alle allegazioni contenute nel primo motivo di ricorso).
2.3.3. Con il terzo motivo è stata denunciata la violazione dell’art. 27, comma 6, d. Igs. 159/2011, rappresentando che la Corte di merito avrebbe dovuto dichiarare la perdita di efficacia del sequestro, nei medesimi termini esposti nell’interesse di NOME COGNOME.
Il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione NOME COGNOME ha presentato requisitoria scritta con la quale ha chiesto il rigetto dei ricorsi.
Sia l’AVV_NOTAIO NOME COGNOME sia l’AVV_NOTAIO NOME COGNOME nell’interesse rispettivamente del proposto e dei terzi ricorrenti – hanno presentato memoria, con cui hanno contestato la fondatezza di quanto rassegnato dal Procuratore generale e hanno insistito per l’accoglimento delle impugnazioni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso di NOME COGNOME è inammissibile. Sono, invece, nel complesso infondati i ricorsi di NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Al fine di provvedere, deve considerarsi che, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità:
nel procedimento di prevenzione il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge ai sensi degli artt. 10, comma 3, e 27, comma 2, d. Igs. 159 del 2011; dunque, è escluso dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimità il vizio di motivazione (art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.), potendosi esclusivamente denunciare con il ricorso il caso di motivazione inesistente o meramente apparente poiché qualificabile come violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al giudice d’appello (dagli artt. 7, comma 1, e 10, comma 2, d. Igs. n. 159 del 2011, in combinato disposto con l’art. 125, comma 3, cod. proc. pen.; Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, COGNOME, Rv. 260246 – 01; nonché Sez. 5, n. 11325 del 23/09/2019, dep. 2020, COGNOME; Sez. 6, n. 33705 del 15/06/2016, COGNOME, Rv. 270080 01; Sez. 6, n. 20816 del 28/02/2013, COGNOME, Rv. 257007 – 01);
la motivazione del tutto mancante oppure apparente e, dunque, inesistente, è ravvisabile soltanto quando essa sia del 1:utto avulsa dalle risultanze processuali o si avvalga di argomentazioni di puro genere o di asserzioni apodittiche o di proposizioni prive di efficacia dimostrativa, cioè, in tutti i casi in cui il ragionamento espresso dal giudice a sostegno della decisione adottata sia soltanto fittizio e perciò sostanzialmente inesistente (Sez. 5, n. 9677 del 14/07/2014, dep. 05/03/2015, Rv. 263100 – 01; Sez. 3, n. 11292 del 13/02/2002, Salerno Rv. 221437 – 01); in altri termini, «il vizio di motivazione apparente sussiste solo quando il giudice non dia in realtà conto del percorso logico seguito per pervenire alla conclusione che adotta, argomentando per clausole di stile o affermazioni generiche non pertinenti allo specifico caso sottoposto alla sua valutazione» (Sez. 6, n. :31390 del 08/07/2011, COGNOME, Rv. 250686), ossia «allorché la motivazione adottata non risponda ai requisiti minimi di esistenza, completezza e logicità del discorso argomenl:ativo su cui si è fondata la decisione, mancando di specifici momenti esplicativi anche in relazione alle critiche pertinenti dedotte dalle parti» (Sez. 1, n. 4787 del 10/11/1993, dep. 1994, COGNOME, Rv. 196361 – 01; cfr. pure Sez. 6, n. 49153 del 12/11/2015, COGNOME, Rv. 265244).
L’unico motivo di ricorso formulato nell’interesse del proposto è inammissibile poiché ha denunciato irritualmente il vizio di motivazione, peraltro prospettando in maniera generica un diverso apprezzamento di fatto, e perché manifestamente infondato, nei termini che si chiariscono.
Il decreto impugnato ha indicato in maniera chiara e conforme a legge gli elementi di fatto sulla scorta dei quali ha ritenuto corretta la qualificazione di NOME COGNOME come persona che vive abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose (artt. 1, comma 1, lett. b,) e 4, comma 1, lett. c), d. Igs. 159/2011), valorizzando al riguardo: l’accertamento irrevocabile della sua responsabilità per più fatti di usura, commessi tra il febbraio 1998 e il dicembre 2000, nonché gli elementi (compendiati in un’ordinanza cautelare del 25 giugno 2013, relativa ai delitti di associazione per delinquere, delitti di falso e truffa aggravata in danno di enti previdenziali) in forza dei quali ha attribuito allo stesso ricorrente il ruolo di ideatore e organizzatore di numerosissime truffe in danno deli enti previdenziali, non solo nel periodo compreso tra il 2010 e il 2012 ma anche in precedenza. La Corte di merito ha pure dato conto degli ingenti profitti prodotti dai delitti in parola (puntualizzando come essi siano stati ottenuti proprio dal ricorrente) e individuato come perimetro della pericolosità il periodo compreso tra il 1998 e il 2012, nel quale il COGNOME ha manifestato senza che possa apprezzarsi una
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soluzione di continuità la propria pericolosità, così disponendo – in ragione della rilevata sproporzione tra entrate lecite e impieghi – gli acquisti compiuti nel periodo in discorso.
Rispetto a tale iter, conforme al disposto del codice antimafia come interpretato da questa Corte (cfr. per tutte già Sez. U., n. 4880 del 26/06/2014 – dep. 2015, Spinelli, Rv. 262604), anche sulla scorta di quanto chiarito dalla Consulta (cfr. spec. la sentenza n. 24 del 2019), il ricorso:
pur allegando una violazione di legge, ha in realtà prospettato un vizio della motivazione allorché ha censurato la ricostruzione della concreta fattispecie operata dalla Corte di appello di Palermo (cfr. Sez. 5, n. 47575 del 07/10/2016, COGNOME, Rv. 268404 – 01: «il vizio di cui all’art. 606, comma primo, lett. b) cod. proc. pen. riguarda l’erronea interpretazione della legge penale sostanziale (ossia, la sua inosservanza), ovvero l’erronea applicazione della stessa al caso concreto (e, dunque, l’erronea qualificazione giuridica del fatto o la sussunzione del caso concreto sotto fattispecie astratta), e va tenuto distinto dalla deduzione di un’erronea applicazione della legge in ragione di una carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta, denunciabile sotto l’aspetto del vizio di motivazione»);
si fonda pure su enunciati erronei, nella parte in cui ha inteso negare capacità rappresentativa in questa sede ai fatti non oggetto di accertamento irrevocabile, quali in particolare quelli posti a fondamento della menzionata ordinanza cautelare, dato che la giurisprudenza già chiarito che, nel compiere il giudizio di pericolosità e, per quel che qui più rileva, nell’avere riguardo al profilo «constatativo» che ne costituisce la prima fase (Sez. 1, n. 23641 del 11/02/2014, Mondini, Rv. 260103 – 4), il giudice della prevenzione anche nei casi di pericolosità generica «può ritenere la riconducibilità del proposto ad una delle categorie di pericolosità di cui agli artt. 1 e 4 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, anche indipendentemente dall’esistenza di sentenze di condanna che abbiano accertato la pregressa commissione di reati, a condizione che la valutazione incidentale a tal fine compiuta non sia smentita da esiti assolutori di eventuali procedimenti penali, eccezion fatta per il caso in cui tali esiti siano dipesi dal riconoscimento di cause estintive» (Sez. 1, n. 36080 del 11/09/2020, Cavazza, Rv. 280207 – 01); e può avere ricluardo a dati conoscitivi «valutati in procedimenti penali non definitivi sostenendo, naturalmente, il relativo giudizio con congrua motivazione, anche alla luce delle deduzioni e delle allegazioni eventualmente introdotte dalla difesa» (Sez. 5, n. 182 del 30/11/2020 – dep. 2021, Rv. 280145 – 01; Sez. 6, n. 36216 del 13/07/2017, COGNOME, Rv. 271372; cfr. pure Sez. 5, n. 37297/2022, cit., in motivazione);
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infine, ha negato che il COGNOME abbia tratto profitto dal delitto di usura per il tramite di una contestazione generica a fronte di quanto puntualmente esposto dalla Corte di merito in ordine al quantum illecitamente ottenuto dal ricorrente (che qui – si ribadisce – non può essere utilmente censurato sub specie del vizio di motivazione), e non ha considerato neppure il più ampio tenore del provvedimento (sopra compendiato), che ha fatto espresso riferimento ai profitti ottenuti dal COGNOME pure per il suo agire fraudolento.
Il primo e il secondo motivo di ricorso presentati nell’interesse di NOME possono essere trattati congiuntamente. Essi sono inammissibili poiché manifestamente infondati, privi della necessaria specificità e poiché denunciano un vizio non consentito.
Anzitutto, deve osservarsi che la motivazione del decreto impugnato, con riguardo alla ricorrente non è affatto apparente. La Corte distrettuale – oltre ad aver vagliato, nei termini già esposti, la pericolosità del proposto e delimitato il periodo in cui essa si è espressa – con più diretto riferimento alle condizioni economiche e patrimoniali di NOME COGNOME, della moglie NOME COGNOME e della figlia NOME (per quel che qui rileva), ha dato conto analiticamente dell’esito degli accertamenti peritali, ivi compreso quello svolto nel corso del giudizio di appello, riportando le ragioni (che ha condiviso) per cui il nominato ausiliario ha recepito solo in parte la prospettazione difensiva; ha attribuito – alla luce di quanto prospettato in primo grado dal consulente della difesa «unitarietà» economica e patrimoniale alla famiglia del proposto e ha ribadito il difetto di proporzione tra le entrate lecite della COGNOME e l’acquisto dei beni a lei intestati. Tale percorso argomentativo, si è già chiarito, non può essere utilmente criticato – come pure ha fatto il ricorso – prospettando un’erronea ricostruzione degli elementi in atti, che si traduce nella denuncia di un vizio di motivazione. Ancora, la prospettazione difensiva è del tutto generica e manifestamente infondata nella parte in cui ha assunto che, nella specie, dovrebbe aversi riguardo – per la ricostruzione delle entrate lecite e della proporzione di esse agli esborsi sostenuti – alla sola posizione di NOME COGNOME e non anche al suo nucleo familiare: il ricorso non ha neppure revocato in dubbio che la ricorrente abbia convissuto con il marito NOME COGNOME, invocando unicamente il regime di separazione dei beni tra i coniugi all’atto del sequestro; il che non consente di inficiare l’iter della decisione impugnata che ha avuto riguardo, al fine del vaglio in discorso, al nucleo familiare del proposto, non occorrendo allora dilungarsi oltre. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Infine, l’impugnazione difetta di specificità nella parte in cui ha evidenziato come il Collegio di appello abbia negato rilevanza, per escludere la
sproporzione dell’interveniente, dei redditi derivanti da evasione fiscale (in particolare, a quelli relativi a canoni di locazione) in difformità da altro orientamento espresso da questa Corte (chiedendo pure la rimessione alle Sezioni Unite per comporre il contrasto). Invero, si tratta di un profilo non decisivo nell’economia della decisione impugnata, la quale comunque ha evidenziato come i canoni in discorso derivavano dalla locazione dei medesimi immobili acquistati in difetto di redditi leciti, e dunque costituivano il frut dell’impiego delle risorse illecite, assunto corretto di portata clirimente; e che le entrate che la difesa ha chiesto di computare – e il Collegio, condividendo quanto affermato dal perito, non ha considerato – avevano un ammontare inidoneo ad elidere la sproporzione.
Il primo e il secondo motivo di ricorso presentati nell’interesse di NOME COGNOME possono essere trattati congiuntamente.
Già il Tribunale aveva indicato i redditi limitati conseguiti da NOME COGNOME e, alla luce di essi, aveva rigettato la proposta con riguardo a più cespiti in proposta, ordinando la confisca solo di alcune giacenze. Nel resto, anche sulla scorta della presunzione tratta dall’art. 19 d. Igs. 159/2011 (cfr. per tutte Sez. 1, n. 5184 del 10/11/2015 – dep. 2016, Trubchaninova, Rv. 266247 01: «in materia di misure di prevenzione patrimoniali, ai fini della confisca prevista dall’art. 2-bis, comma terzo, della Legge n. 575 del 1965 , l’accertamento giudiziale della disponibilità, in capo al proposto, dei beni formalmente intestati a terzi, opera diversamente per il coniuge, i figli ed i conviventi di quest’ultimo, rispetto a tutte le altre person fisiche o giuridiche, in quanto nei confronti dei primi siffatta disponibilità è legittimamente presunta senza la necessità di specifici accertamenti, quando risulti l’assenza di risorse economiche proprie del terzo intestatario, mentre, con riferimento alle seconde, devono essere acquisiti specifici elementi di prova circa il carattere fittizio dell’intestazione»), il Collegio di primo grado aveva rilevato l’ingentissima sproporzione tra gli impieghi e i redditi leciti anche della figlia del proposto, per cui la detta presunzione opera a prescindere della convivenza. La Corte territoriale ha condiviso in parte qua la prima decisione, non potendosi ravvisare una motivazione apparente del decreto impugnato a fronte di un atto di appello non certo specifico con riguardo alla posizione di NOME COGNOME (avendo l’impugnazione di merito mosso critiche puntuali solo per il proposto e la moglie, incentrando invece le censure difensive per NOME COGNOME, genericamente, sul mancato apprezzamento delle sue condizioni economicopatrimoniali disgiuntamente dal nucleo familiare di origine, sulle regalie ricevute dai prossimi congiunti, sul limitato costo della vita nel luogo in cui anch’ella
risiede, sulla allegazione dello svolgimento da parte sua di attività lavorativa) e pur a fronte delle allegazioni nella memoria difensiva presentata in appello (cui il ricorso ha fatto tuttavia in questa sede generico ed irrituale rimando: cfr. Sez. 3, n. 8065 del 21/09/2018 – dep. 2019, C., Rv. 275853 – 02; SeZ. 3, n. 35964 del 04/11/2014 – dep. 2015, B., Rv. 264879 – 01), le quali – come esposto dalla stessa difesa – farebbero riferimento alle attività finanziarie acquistate nel 2016 (ossia in costanza di convivenza con il proposto) con denaro proveniente dalla nonna di NOME COGNOME: esse – anche alla luce della disamina integrativa svolta dal perito nel secondo grado di giudizio – sono state ritenute dalla Corte di appello nella disponibilità del proposto proprio in ragione dell’elevatissima sproporzione riscontrata. Ragion per cui, nella parte, in cui deduce l’apparenza della motivazione il ricorso è infondato.
Sono, invece, inammissibili le ulteriori allegazioni (in particolare, quelle contenute nel primo motivo) poiché: denunciano – per il medesimo ordine di considerazioni esposte per NOME COGNOME – un vizio di motivazione, peraltro per il tramite di un mero rimando; non prospettano con la necessaria specificità una violazione di legge poiché hanno addotto, per il tramite di asserti generici, la sufficienza dei redditi di NOME COGNOME a sostenere gli impieghi oggetto di confisca (senza alcuna puntuale indicazione), il che non consente in questa sede di legittimità di apprezzare la fondatezza delle sue allegazioni, tenuto conto della già richiamata presunzione di cui all’art. 19 cit., di cui i Giudici di merito hanno fatto applicazione.
Il terzo motivo di ricorso di NOME COGNOME e NOME COGNOME, del medesimo tenore, può essere oggetto di un’unica disamina.
Esso è infondato in quanto, ad avviso del Collegio, merita condivisione il principio secondo cui, «in tema di misure di prevenzione patrimoniali, il sequestro non costituisce condizione per l’applicazione della confisca, sicché la circostanza che il primo perda efficacia per inosservanza delle sequenze temporali previste dal d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, non comporta l’estinzione del procedimento, né impedisce che possa essere disposta la misura ablatoria definitiva della confisca» (Sez. 5, n. 49149 del 11/09/2019, COGNOME, Rv. 277652 – 01; cfr. pure Sez. 1, n. 43796 del 24/04/2015, COGNOME, Rv. 264754, secondo cui «la lettura logico-sistematica degli artt. 24, 20 e 22 d. Igs. n. 159 del 2011 rende evidente che il sequestro è una misura cautelare eventuale, suscettibile di adozione al fine di anticipare in via provvisoria, per il tempo necessario alla conclusione del procedimento applicativo della misura ablatoria della confisca, l’apprensione di beni nella disponibilità di uno dei soggetti indicati dall’art. 16 per garantire, nell’interesse pubblico, la praticabilità e l’efficacia dell
misura di prevenzione reale. La sua adozione risponde, quindi, ove ne sussistano i presupposti, all’esigenza di impedire al proposto di occultare o disperdere i beni per sottrarli alla definitiva acquisizione al patrimonio dello Stato da parte dei pubblici poteri»; e «la funzione delle varie forme di sequestro previste, rispettivamente, dagli artt. 20, comma 1, 22, commi 1 e 2, 24, ultimo comma, d. Igs. n. 159 del 2011, è quella di anticipare gli effetti della confisca e la loro eventuale adozione è meramente eventuale»; cfr. pure Sez. U., n. 20215, del 23/02/2017, Yang, n. 20215, Rv. 269590, che ha richiamato proprio Sez. 1, n. 43796/2015, cit. al fine dell’esegesi compiuta in relazione al regime di impugnazione del decreto con cui il giudice rigetta la richiesta del pubblico ministero di applicazione della misura di prevenzione patrimoniale della confisca, anche qualora non preceduta da sequestro).
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. i ricorrenti devono essere condannati al pagamento delle spese processuali; il solo NOME COGNOME deve essere, altresì, condannato al pagamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, atteso che l’evidente inammissibilità della sua impugnazione impone di attribuiregli profili di colpa (cfr. Corte cost., sent. n. 186 del 13/06/2000; Sez. 1, n. 30247 del 26/01/2016, Failla, Rv. 267585 – 01).
P.Q.N11.
Rigetta i ricorsi di NOME COGNOME e NOME COGNOME, che condanna al pagamento delle spese processuali.
Dichiara inammissibile il ricorso di NOME COGNOME, che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.