Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 26899 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 26899 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/02/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a BERGAMO il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a UFA( RUSSIA) il DATA_NASCITA RAGIONE_SOCIALE
avverso il decreto del 13/06/2023 della CORTE APPELLO di MILANO
lette le conclusioni del AVV_NOTAIO Procuratore generale, NOME COGNOME, il quale ha chiesto udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; pronunciarsi l’inammissibilità di entrambi i ricorsi.
Ritenuto in fatto
È oggetto di ricorso il decreto del 13 giugno 2023 con cui la Corte di appello di Milano, in parziale riforma del decreto adottato dal Tribunale della medesima città il 15 dicembre 2021, ha annullato la confisca e revocato il sequestro degli autoveicoli di proprietà della RAGIONE_SOCIALE -puntualmente descritti nell’impugnato decreto- disponendo la restituzione degli stessi ovvero delle somme ricavate dalla loro vendita, confermando nel resto il decreto con cui il Tribunale Milano aveva disposto l’applicazione della misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale nei confronti di NOME COGNOME, nonché la confisca ex art. 24 del d.lgs. n. 159 del 2011 (codice antimafia: d’ora innanzi, CAM) di: 1) beni immobili intestati alla RAGIONE_SOCIALE), alla RAGIONE_SOCIALE liquidazione, RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, allRAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALE e alla RAGIONE_SOCIALE liquidazione, nonché a NOME COGNOME; 2) beni mobili non registrati quali denaro, penne di marca Pineder, orologi e denaro in valuta estera del proposto; 3) saldi attivi di un c/c intestato a RAGIONE_SOCIALE e di un libretto di deposito giudiziario. La Corte territoriale ha anche dichiarato l’inammissibilità dell’appello proposto dalla RAGIONE_SOCIALE in punto di asserita buona fede nell’acquisto, da parte di NOME COGNOME, ossia del legale rappresentante della medesima RAGIONE_SOCIALE, delle quote di quest’ultima, per le ragioni che si esamineranno nell’analisi del quinto motivo del ricorso proposto (oltre che dallo Scundurra e da altro soggetto anche dalla RAGIONE_SOCIALE).
Avverso il decreto della Corte d’appello, sono stati proposti due distinti ricorsi per cassazione -il primo da NOME COGNOME e, quali terzi interessati, dalla RAGIONE_SOCIALE) e dalla RAGIONE_SOCIALE, per il tramite dell’AVV_NOTAIO; il secondo, a firma dell’AVV_NOTAIO, per NOME COGNOME– affidati ai motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME, RAGIONE_SOCIALE, e RAGIONE_SOCIALE
3.1. Con il primo motivo, si eccepisce violazione di legge, per avere il giudice di appello disposto la confisca di tutti i beni immobili accumulati dal 1989 fino al 2004 (anno in cui il proposto ha trasferito la sua residenza nel Principato di Monaco) in difetto del requisito della pericolosità sociale.
Dall’impugnato provvedimento emergerebbe, in particolare, l’assenza di fatti attestativi di una reale pericolosità sociale del proposto con riferimento
all’indicato periodo (1989-2004), con conseguente violazione dell’art. 1, lett. b) CAM, oltre che dei principi posti dalla giurisprudenza di legittimità in tema di perimetrazione cronologica della pericolosità’ nonché da quella della Corte di Strasburgo (il riferimento è Corte e.d.u., Tommaso c. Italia, del 23 febbraio 2017). Il giudice d’appello si sarebbe limitato, infatti, a richiamare i verbali d’accertamento fiscale emessi a carico dello COGNOME tra il 1984 e il 2001 (per giunta, mai notificati), indicanti un debito di 37 milioni di euro, omettendo anche di indicare analiticamente, per ogni anno, l’entità delle singole imposte evase. Osserva la difesa che il diverso importo di euro 140 milioni, indicato erroneamente nell’impugnato decreto, deve intendersi riferito al periodo successivo al 2004.
Nel sovrapporre i diversi periodi della pericolosità asseritamente manifestata dal proposto, la Corte avrebbe indebitamente utilizzato gli accertamenti successivi al 2004 (relativi ai reati di truffa e bancarotta accertati tra il 1984 e il 1988 e a fatti distrattivi consumati tra il 2005 e il 2010) al fine d dimostrare l’illiceità delle attività compiute antecedentemente al 2004.
Con specifico riferimento ai beni confiscati, la difesa osserva quanto segue: a) il complesso immobiliare sito in Gambolò, intestato alla RAGIONE_SOCIALE, è stato acquistato, in ambito di procedura esecutiva, nel 1990 e nel 2001, quindi, in un momento che si pone al di fuori del perimetro di pericolosità sociale. La difesa contesta inoltre l’assunto della Corte d’appello, secondo cui l’acquisto all’asta da parte del preposto, per interposta persona, sarebbe da considerarsi frutto di attività illecita (posto che, secondo i giudici d’appello, non è consentito al debitore acquistare il bene posto all’incanto in suo danno, ostando a ciò l’art. 579 cod. proc. civ.); b) l’immobile di pregio sito in VigevanoINDIRIZZO INDIRIZZO, intestato a RAGIONE_SOCIALE, è stato acquistato nel 1998 (dunque, in un momento che si colloca al di fuori del perimetro temporale della pericolosità sociale) con i proventi di attività commerciale svolta all’estero e, in parte, con un normale finanziamento bancario. Come già ritenuto dal primo giudice – che si era limitato a notare la sproporzione della provvista impiegata rispetto alle fonti lecite di quel tempo, così sovrapponendo il requisito della pericolosità sociale al parametro della sproporzione – anche la Corte d’appello si è limitata ad indicare la stretta correlazione temporale tra tale acquisto e i primi reati per i quali il proposto è stato condannato, risalenti al 1986, senza però indicare specifici elementi utili a ricollegare l’acquisto del bene in parola al reimpiego di capii:ali illecitamente accumulati; c) gli immobili siti in INDIRIZZO sono stati acquistati tra il 1986 e il 2002 con l’accensione di mutui, la cui sostenibilità finanziaria è stata esclusa dalla Corte territoriale in assenza di qualsivoglia motivazione sul punto.
3.2. Col secondo motivo, si eccepisce violazione e falsa applicazione degli artt. 18 e 24 CAM, in relazione agli artt. 1, lett. b, e 16, comma 1, lett. a) CAM, 111, sesto comma Cost., e 125, comma 3, cod. proc. pen., per avere il decreto impugnato disposto, con motivazione apparente, la confisca di tutti i beni immobili in difetto di “relazione territoriale” della manifestata pericolosità sociale con i beni confiscati. I sopra ricordati dati normativi, precisa il ricorso, impongono di ritenere che il potere ablatorio, che trova la sua base legale nella correlazione temporale tra la manifestata pericolosità sociale del proposto e il cespite ablato, non può spingersi sino all’apprezzamento di condotte asseritamente manifestatesi fuori dei confini nazionali.
Nel contesto di tali censure, il ricorso aggiunge: 1) che, sebbene la RAGIONE_SOCIALE non sia più nella disponibilità del proposto, quest’ultimo ha interesse a contestare la pericolosità che sarebbe stata espressa attraverso l’operatività di tale RAGIONE_SOCIALE; 2) che, sebbene investita dell’atto di gravame, la Corte d’appello non aveva argomentato in ordine al modo in cui le provviste finanziarie generate da attività lecite – tale presupposto essendo stato riconosciuto sin dal decreto del giudice di primo grado – potessero divenire illecite nel corso del trasferimento dal Principato di Monaco in Italia; 3) che, per identiche ragioni, anche tenuto conto della garanzia per evizione, il proposto aveva interesse a contestare la confisca della villa della RAGIONE_SOCIALE, nella sua disponibilità sino al febbraio 2020; 4) che anche in questo caso la Corte d’appello non aveva argomentato in ordine all’illiceità della provvista finanziaria impiegata per l’acquisto della villa.
3.3. Con il terzo motivo si lamenta violazione ed errata applicazione degli artt. 1, lett. b) e 24 CAM, in relazione all’art. 2, comma 2, d.P.R. n. 917 del 1986, in ordine alla ritenuta fittizietà della residenza fiscale del proposto nel Principato di Monaco, presupposto necessario ai fini della configurabilità della fattispecie di pericolosità sociale successiva al 2004, dedotta in ragione delle condotte di presunta evasione fiscale.
Il ricorso rileva che il proposto aveva adempiuto all’onere dimostrando documentalmente non solo il fatto di abitare stabilmente nel Principato, ma anche lo svolgimento di un’importante attività commerciale, per il tramite della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE. D’altra parte, il G.u.p. del Tribunale di Pavia, con sentenza del 21 gennaio 2021, irrevocabile il 6 settembre 2022, aveva assolto lo COGNOME -perché il fatto non sussiste- dal reato di cui all’art. 11 d.lgs. n. 47 del 2000, avente ad oggetto la presunta donazione in favore del figlio NOME della somma di 1.065.000 euro, che era stata utilizzata per estinguere il mutuo contratto per l’acquisto di villa Fighiera, di proprietà della RAGIONE_SOCIALE. La decisione di assoluzione, si precisa, era stata assunta sulla base della stessa documentazione prodotta nel presente
procedimento, talché non è dato comprendere le ragioni della diversa valutazione del decreto impugnato che finisce per trascurare l’esclusione, con decisione irrevocabile, del presupposto del giudizio di pericolosità. In ogni caso, la Corte territoriale ha erroneamente applicato l’art. 2, comma 2, d.P.R. n. 917 del 1986, per non avere considerato gli elementi dimostrativi (quali, tra gli altri, la residenza dei familiari del proposto in Italia, la già citata sentenza del Tribunale di Pavia, che ha assolto COGNOME dal reato di evasione fiscale, la documentazione attestante la sua stabile presenza presso il casinò di Montecarlo) dell’effettività della residenza estera.
3.4. Con il quarto motivo si lamenta violazione ed errata applicazione dell’art. 24 CAM, in relazione agli artt. 1, lett. b), e 16, comma 1, lett. a) dello stesso CAM, nonché in relazione all’art. 11-ter d.l. n. 92 del 2008, che, abrogando l’art. 14 I. n. 55 del 1990, ha riespanso l’applicabilità dell’art. 2-ter I. n. 575 del 1965 alla categoria di cui all’art. 1, n. 2 I. n. 1423 del 1956, ora trasfuso nell’art. 1, lett. b) CAM, e all’art. 7 CEDU. Al riguardo, reiterando la questione già sottoposta ai giudici di merito, il ricorso rileva che i beni oggetto di confisca sono stati acquisiti nel periodo 1990 – 2008, durante la vigenza dell’art. 14 I. n. 55 del 1990, che escludeva la confisca prevista dall’art. 2-ter I. n. 575 del 1965 .nei confronti dei soggetti portatori di pericolosità generica, al cli fuori di alcune eccezioni, non ricorrenti nel caso di specie. Si insiste sulla contrarietà della soluzione recepita dalla Corte territoriale alle conclusioni di Corte cost., sent. n. 24 del 2019, seguita alla sentenza De Tommaso c. Italia della Corte EDU. Indipendentemente dal rilievo che “la confisca sta alla pericolosità sociale come la pena sta al reato”, con la conseguenza che una confisca senza pericolosità non può ritenersi ammissibile, si aggiunge che la decisione del decreto impugnato collide anche con il generale principio di cui all’art. 11 disp. prel. cod. civ., destinato ad operare anche al di fuori degli stretti confini del RAGIONE_SOCIALE penale. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
3.5. Col quinto motivo, la RAGIONE_SOCIALE lamenta violazione ed errata applicazione dell’art. 24, in relazione gli artt. 1, lett. b) e 18 CAM nonché all’art. 125 e 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., e alla /o/ n°797 du 18 février 1966 relative aux sociétés RAGIONE_SOCIALEs- Principauté RAGIONE_SOCIALE Monaco, per avere il decreto impugnato, con motivazione solo apparente, disposto la confisca dei beni della RAGIONE_SOCIALE in difetto del requisito legale della illiceità della provvista utilizzata pe l’acquisto dei beni. La ricorrente, dopo avere ricordato che la Corte territoriale ha dichiarato l’inammissibilità dell’appello proposto da NOME COGNOME, nella spiegata qualità di legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, anche perché quest’ultima non era legittimata a far valere la buona fede dell’acquirente delle proprie quote, rileva che tale conclusione contrasta con la natura della RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, quale disciplinata dalla citata /o/ n. 797 del 1966: essa,
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infatti, costituente l’equivalente della RAGIONE_SOCIALE semplice nel nostro ordinamento, non ha personalità giuridica, con la conseguenza che tutti i soci ne hanno la rappresentanza giuridica e ne sono illimitatamente responsabili. Aggiunge la ricorrente che il NOME COGNOME è titolare del 100% delle quote della SCI RAGIONE_SOCIALE, situazione che farebbe venir meno la stessa ratto dello strumento societario.
La ricorrente critica anche il secondo argomento utilizzato dalla Corte territoriale per giungere alla pronuncia di inammissibilità dell’appello, ossia il fatto che l’atto di impugnazione si conclude con la sola richiesta di annullamento del provvedimento di primo grado, mentre nessuna richiesta era stata “svolta in punto di accertamento e dichiarazione della buona fede dei soggetti resisi acquirenti delle quote sociali”. Tale conclusione, al di là dell’estremo formalismo, colliderebbe con l’art. 24 CAM, con riguardo al requisito legale della disponibilità del bene in capo al proposto. Il riferimento all'”interposizione della RAGIONE_SOCIALE nell’acquisto dell’immobile” non terrebbe conto del fatto che il provvedimento di confisca riguarda non la RAGIONE_SOCIALE, ma esclusivamente un bene immobile senza che la dinamica del suo acquisto sia stata scrutinata dalla Corte territoriale.
Del tutto apparente sarebbe poi la motivazione relativa alla fittizietà dell’intestazione delle quote in capo al NOME COGNOME, dal momento che la Corte territoriale non aveva preso atto della circostanza che il decreto del Tribunale di Bologna – che si era dichiarato incompetente prima del provvedimento di sequestro adottato dal Tribunale di Milano e della cessione delle quote da parte della figlia e della ex-compagna del proposto – non era stato notificato allo COGNOME. In ogni caso, il procedimento ablatorio, ammesso che potesse dimostrare la mala fede dello COGNOME, non poteva condurre a ritenere sospetto l’accordo con l’acquirente, potendo quest’ultimo essere del tutto estraneo alle finalità perseguite dal venditore. Né si sarebbe potuto argomentare dal prezzo della cessione, asseritamente esiguo, poiché tale valutazione, oltre a non confrontarsi con il tema del valore economico della RAGIONE_SOCIALE, non teneva conto del fatto che l’acquirente si sarebbe accollato il mutuo relativo all’acquisto del menzionato immobile, oltre a divenire garante personale nei confronti della banca mutuante. Infine, la Corte territoriale, chiamata a individuare specifici elementi di prova del carattere fittizio dell’intestazione, non ha considerato quanto documentato con l’atto di appello, ossia l’ingente disponibilità di risorse del sig. NOME, che agiva per conto di un fondo cinese.
3.6. Con il sesto motivo, la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE fa valere la propria legittimazione ai sensi dell’art. 2497 cod. civ., quale RAGIONE_SOCIALE controllante della RAGIONE_SOCIALE, della quale detiene il 98% del capitale sociale, e assume che il pregiudizio della fattispecie di cui alla citata previsione civilistica sarebbe
integrato dalla situazione che ha condotto il decreto impugnato a disporre la confisca del saldo attivo rinvenuto sul conto di RAGIONE_SOCIALE della RAGIONE_SOCIALE (irregolare tenuta delle annotazioni contabili e evasioni delle imposte per la plusvalenza). Ciò posto, la ricorrente lamenta violazione degli artt. 10 e 27 CAM, rilevando che la Corte territoriale, nel prendere atto della rinuncia della Procura della Repubblica all’azione di prevenzione e nell’annullare la confisca disposta in relazione ai suoi beni, ha ritenuto assorbita ogni doglianza proposta con l’atto di impugnazione. In tal modo, la Corte territoriale ha omesso di esaminare il terzo motivo con il quale veniva posta la questione della “correlazione temporale” tra beni confiscati e pericolosità sociale del proposto e di analizzare la documentazione, prodotta con note a mezzo p.e.c. datate 8 marzo 2023 e 22 maggio 2023, con le quali si documentava l’esistenza di alcuni contratti di compravendita di autovetture che giustificavano la disponibilità della somma versata in favore di RAGIONE_SOCIALE a titolo di finanziamento soci e costituente quello che già il Tribunale aveva individuato come l’origine del saldo attivo del conto sopra ricordato della medesima RAGIONE_SOCIALE Tali operazioni finanziarie trovavano, altresì, riscontro negli estratti conto bancari prodotti all’udienza del 13 giugno 2023, che davano conto della disponibilità delle risorse trasferite dalla RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE
Si aggiunge che lo stesso Tribunale di Milano aveva dato atto della liceità dell’attività di RAGIONE_SOCIALE di vendita di autovetture di lusso “estero su estero”. La Corte d’appello, al riguardo, ha sostituito, alla presunzione di illiceità delle somme trasferite un’altra presunzione, quella relativa alla irregolarità delle scritture contabili, introducendo un elemento di confusione nella ricostruzione della pericolosità sociale. Inoltre, il decreto impugnato non ha chiarito quali annotazioni risultassero mancanti, se fossero richieste dalla legislazione rnonegasà, quali plusvalenze sarebbero state realizzate e, soprattutto, se fossero soggette a tassazione, secondo tale legislazione.
4. Ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME
4.1. Con il primo motivo si lamenta violazione dell’art. 19 del d.lgs. 159 del 2011, per mancanza di motivazione in ordine alla riconducibilità dei beni confiscati allo COGNOME.
In particolare, si osserva che la Corte d’appello, a parte un mero rinvio ad un fittizio e non provato rapporto di convivenza negli ultimi cinque anni con il proposto, e senza considerare la documentazione prodotta anche con la memoria difensiva del 17 marzo 2023, avrebbe omesso di indicare gli elementi giustificativi di tale conclusione, anche alla luce del fatto che il Tribunale di Milano aveva invece
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restituito alla ricorrente altri beni a lei intestati, quali un’autovettura, le quot societarie, i conti correnti e il contenuto di una cassetta di sicurezza. Aggiunge la ricorrente: a) che una convivenza o coabitazione non era mai esistita e non era mai stata provata, avendo la ricorrente dimostrato di abitare in un appartamento proprio a Vigevano, con il figlio, e di recarsi a Garnbolò solo per gli impegni sportivi del figlio e per visionare le autovetture affidate alla sua custodia con provvedimento del Tribunale di Bologna – sezione misure di prevenzione – del 2020; b) che, infatti, il medesimo Tribunale aveva autorizzato la sottoscrizione di un contratto di locazione relativo all’immobile di Gambolò in favore del sig. COGNOME, allenatore di karate del figlio della ricorrente e compagno di quest’ultima all’epoca e da qualche anno; c) che non esiste alcun elemento dimostrativo della presenza della ricorrente a Gambolò al momento dell’arresto del proposto nel 2021; d) che privo di significatività era un episodio singolo nel quale la ricorrente si era trovata nella stessa casa del proposto dove si era recata per fargli incontrare il figlio; e) che i beni confiscati alla ricorrente si trovano a Vigevano dove la donna era stata autorizzata a conservare la propria abitazione, lodatale dall’autorità giudiziaria, così come il proposto era stato autorizzato a godere della villa di Gambolò, verso il corrispettivo di un canone di locazione; f) che il proposto era ed è legato sentimentalmente dal 2016 ad altra persona che, singolarmente, ha conseguito il dissequestro dei conti correnti e delle quote societarie e disponibilità a lei intestate; g) che, come detto, al di là di siffatto indimostrato legame di ee COGNOME – I · COGNOME e COGNOME ‘· e COGNOME dee et· e eche e.. COGNOME e· COGNOME – · –COGNOME · – ···· COGNOME · · · ·· a
4.4. Con il quarto motivo si lamenta violazione dell’art. 20 del d.lgs. n. 159 del 2011, ritenendo meramente apparente la motivazione del decreto impugnato quanto alla situazione di “sperequazione patrimoniale” in capo alla terza interessata e all’obiettivo fondamento degli elementi prospettati dalla difesa, al fine di contrastare la ritenuta provenienza illecita dei beni e la loro riconducibilità al proposto. Al riguardo, la ricorrente richiama le deduzioni e la documentazione prodotta al fine di dimostrare la provenienza delle risorse impiegate per l’acquisto dei beni confiscati.
4.5. Con il quinto motivo si lamenta violazione dell’art. 24 del d.lgs. n. 159 del 2011, per assenza di motivazione in ordine alla circostanza che i beni confiscati siano nella disponibilità del proposto, alla luce dei dati ricordati nei precedenti motivi di ricorso.
Sono state trasmesse, ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.1, 28/10/2020, n. 137, conv. con I. 18/12/2020, n. 176, a) le conclusioni scritte del AVV_NOTAIO Procuratore generale, AVV_NOTAIO, il quale ha chiesto pronunciarsi l’inammissibilità di entrambi i ricorsi; b) memoria nell’interesse di NOME COGNOME, RAGIONE_SOCIALE, e RAGIONE_SOCIALE, in replica alla requisitoria scritta del P.G., con le quali si insiste per l’accoglimento del ricorso; c) memoria nell’interesse di NOME COGNOME.
Considerato in RAGIONE_SOCIALE
Ricorso COGNOME COGNOME, RAGIONE_SOCIALE), e RAGIONE_SOCIALE
Il primo motivo è inammissibile per manifesta infondatezza e perché, pur formalmente denunciando violazione o errata applicazione di norme di legge, prospetta, in realtà, vizi motivazionali.
Occorre, al riguardo, sottolineare che, in tema di procedimento di prevenzione, il ricorso per cassazione, anche a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, è ammesso soltanto per violazione di legge, nozione in cui va ricompresa la motivazione inesistente o meramente apparente del provvedimento, che ricorre quando il decreto omette del tutto di confrontarsi con un elemento potenzialmente decisivo nel senso che, singolarmente considerato, sarebbe tale da poter determinare un esito opposto’ dei giudizio (v., ad es., Sez. 6, n. 21525 del 18/06/2020, Rv. 279284 – 01).
Nel caso di specie, il ricorrente, nel lamentare la motivazione apparente del decreto impugnato, quanto alla sussistenza di attività delittuosa lucrogenetica
dello COGNOME nel periodo 1998 – 2005, insiste nel valorizzare la mancata notifica delle risultanze degli accertamenti fiscali e, in definitiva, sottolinea il carattere incerto dei dati considerati dal provvedimento impugnato, sviluppando, tuttavia, censure che si collocano al di fuori persino dell’ordinario sindacato di legittimità sui vizi motivazionali; le censure non si confrontano, infatti, in termini puntuali con l’apparato argomentativo delle decisioni di primo e di secondo grado. Da queste ultime emerge un’attività caratterizzata, nell’arco temporale dal 1988 al 2005, da schemi fraudolenti sistematici, reiterati e organizzati che hanno condotto, attraverso l’utilizzo di prestanomi, all’accumulo di un ingente patrimonio contrassegnato dal ricorso a schermi societari svuotati di risorse e totalmente inadempienti verso il fisco. In questa prospettiva, la sproporzione non viene a sostituire la necessaria valutazione di pericolosità correlata alla commissione di delitti, in quanto rappresenta, per la sua entità, solo uno degli elementi rivelatori della redditività sottratta al fisco attraverso un’attività di evasione, occasione di altri delitti aventi ad oggetto il reimpiego delle risorse.
Al riguardo, questa Corte ha più volte sottolineato che, in tema di pericolosità generica, la sistematica condotta di evasione fiscale, di rilievo penale, e la conseguente immissione di capitali di provenienza non lecita in un complesso aziendale – che comporta l’impossibilità di scindere tra eventuali componenti sane, riferibili ad attività imprenditoriale lecita, e apporto di capitali illeciti – nonch considerevole divario tra l’ammontare dei redditi ufficiali e la misura degli investimenti effettuati nelle RAGIONE_SOCIALE riferibili al proposto, rappresentano elementi rilevanti al fine dell’inquadramento del predetto nella categoria di cui all’art. 1, comma 1, lett. b), d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 e della conseguente applicazione della confisca di prevenzione di immobili e quote sociali nella disponibilità del medesimo, anche se formalmente intestati a terzi (Sez. 2, n. 3883 del 19/11/2019, dep. 2020, Pomilio, Rv. 278679 – 02).
D’altra parte, ciò non significa, come si è pure precisato in più occasioni, che in sede di merito debba accertarsi in modo specifico la entità del profitto correlato a ogni condotta delittuosa, sì da trasformare la confisca di prevenzione in una tipologia di confisca latamente «pertinenziale» (con limitazione dell’ablazione al valore dei beni corrispondenti al profitto illecito ricavabile dalle condotte delittuose), posto che una volta stabilita anche la semplice «incidenza» (componente significativa della redditività nel periodo considerato, secondo le indicazioni di Corte cost., sent. n.24 del 2019) del reddito illecito sul mantenimento del tenore di vita, soccorre, ai fini di individuazione dei beni confiscabili, il presupposto concorrente della «sproporzione» tra redditi leciti e valore degli investimenti realizzati nel periodo. La confisca di prevenzione non ha natura strettamente pertinenziale ed il parametro della sproporzione, unitamente alla
constatazione delle reiterate attività illecite consente – sul piano logico – di ipotizzare che la formazione del patrimonio non giustificato abbia derivazione da attività illecite similari (anche ulteriori rispetto a quelle espressamente censite). Ciò perché la «sproporzione» di valori, come chiarito in più arresti di questa Corte di legittimità (v. da ultimo Sez. 1, n. 15617 del 2020, n.nn.) e dalla stessa Corte costituzionale nella decisione n.24 del 2019, altro non è che una «semplificazione probatoria» consentita dal sistema, rispetto all’accertamento ‘pieno’ del nesso di derivazione tra attività illecita, censita in sede di ricognizione della pericolosità, e impiego delle risorse in tal modo prodotte.
Tali considerazioni rendono del tutto inconferenti i rilievi dedicati nelle successive articolazioni del ricorso al difetto di perimetrazione cronologica tra manifestazione della pericolosità e acquisti dei beni confiscati, alla stregua delle coordinate tracciate da Sez. U, n. 4880 del 26/06/2014, dep. 2015, Spinelli, Rv. 262605 -01.
2. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
Premessa l’assoluta inconferenza delle indicazioni di Sez. U, n. 10281 del 25/10/2007, dep. 2008, Gallo, Rv. 238657 – 01, che, in materia di estradizione attiva, si occupa della possibilità di applicare misure di prevenzione personale, senza la necessità di una preventiva richiesta di estradizione suppletiva allo Stato che ne ha disposto la consegna, si osserva che la doglianza muove dalla valorizzazione del carattere lecito di alcune attività condotte dalla COGNOME in territorio estero. Tale precisazione non si confronta, tuttavia, con il rilievo motivazionale (che lo stesso ricorrente riproduce menzionando il decreto del Tribunale) in forza del quale non era stato possibile individuare provviste legali non inquinate dalle somme reinvestite frutto di evasione: ciò che, in generale, si verifica quando l’attività d’impresa sia inquinata da risorse di provenienza delittuosa che abbiano determinato una contaminazione irreversibile dell’accumulo di ricchezza. Per il resto, la doglianza, pur lamentando un difetto di motivazione sul punto, si caratterizza per genericità di formulazione, che non consente di apprezzare di quali altri rilievi decisivi si lamenti l’omessa considerazione, una volta chiarita l’irrilevanza della collocazione all’estero della sede dei soggetti formalmente proprietari dei beni confiscati o del luogo di svolgimento dell’attività attraverso la quale il soggetto sottoposto all’applicazione della legge fiscale italiana abbia conseguito i redditi sottratti illecitamente alla pretesa erariale.
I precedenti rilievi rendono superflua ogni ulteriore considerazione sulla pretesa del proposto di contestare la confisca disposta in danno di terzi soggetti, senza assumere il carattere fittizio dell’interposizione, posto che le eventuali pretese risarcitorie per evizione sono destinate a essere contrastate nella sede RAGIONE_SOCIALE competente, mentre l’unico interesse giuridicamente rilevante che giustifica
la contestazione della misura ablatoria di prevenzione è quello che si correla alla restituzione del bene (come chiarito in motivazione dalle sentenze che si sono occupate del distinto problema dei confini della legittimazione del proposto a impugnare le misure di confisca di beni intestati a terzi, senza dedurre il carattere fittizio della titolarità degli stessi: v., ad es., in motivazione, Sez. 1, n. 50463 del 15/06/2017, Mangione, Rv. 271822, nella quale si puntualizza che è inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione del proposto avverso il decreto di confisca di un bene ritenuto fittiziamente intestato a terzi, quando la posizione del soggetto, la cui pericolosità sociale sia stata valutata, abbia assunto una posizione processuale meramente adesiva a quella di chi è stato giudicato formalmente interposto: in tal caso, si deve riconoscere la legittimazione ad impugnare in capo al solo apparente intestatario, unico soggetto avente RAGIONE_SOCIALE all’eventuale restituzione del bene).
3. Il terzo motivo è manifestamente infondato e privo di specificità.
Occorre premettere che, in tema di misure di prevenzione, attesa l’autonomia tra procedimento penale e procedimento di prevenzione, il giudice può valutare autonomamente i fatti accertati in sede penale, al fine di giungere ad un’affermazione di pericolosità del proposto, non solo in caso di intervenuta declaratoria di estinzione del reato o di pronuncia di non doversi procedere, ma anche a seguito di sentenza di assoluzione ai sensi dell’art. 530, comma 2, cod. proc. pen., ove risultino delineati con sufficiente chiarezza e nella loro oggettività quei fatti che, pur ritenuti insufficienti – nel merito o per preclusioni processuali per una condanna penale, ben possono essere posti alla base di un giudizio di pericolosità (proprio in tema di confisca, Sez. 2, n. 4191 del 11/01/2022, Staniscia, Rv. 282655).
Ciò posto, va, innanzitutto, esclusa la vincolatività delle conclusioni raggiunte in altro procedimento giurisdizionale, dal momento che, come rilevato dal provvedimento impugnato e come non smentito in ricorso, non risulta affatto che la documentazione prodotta in quella sede sia in grado di confutare i plurimi dati ai quali sia il primo che il secondo giudice della prevenzione hanno ancorato l’accertamento che lo COGNOME vivesse stabilmente in Italia. Anzi, il decreto impugnato sottolinea come non sia proprio stata contestata con l’appello la veridicità dei dati fattuali sui quali si è radicata la conclusione dell’esistenza in Italia anche del domicilio, ossia della sussistenza del presupposto giustificativo dell’obbligo impositivo.
D’altra parte, al di fuori del tema del collegamento territoriale con l’Italia, giustificativo dell’assoggettamento alle correlate obbligazioni tributarie, l’assoluzione dal reato di cui all’art. 11 d.lgs. n. 74 del 2000, in sé considerata e
in assenza di ulteriori specificazioni da parte del ricorrente, non revoca in dubbio il presupposto dell’accertamento della pericolosità, di cui s’è detto esaminando il primo motivo di ricorso, ossia l’ampiezza, cronologica e quantitativa, dell’evasione costituente il fondamento del giudizio di pericolosità del ricorrente.
4. Il quarto motivo è manifestamente infondato, dal momento che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, la confisca di prevenzione può essere disposta se prevista, in relazione ai fatti per i quali si procede, dalla legge in vigore al tempo della sua applicazione ovvero al momento della decisione emessa in primo grado oppure in secondo grado, purché, in quest’ultimo caso, sia stato adeguatamente sollecitato il contraddittorio sui profili normativi di regolamentazione dell’istituto (v. già Sez. 1, n. 31209 del 24/03/2015, COGNOME, Rv. 264322 – 01).
La conclusione è in linea con precedenti di questa Corte (v., ad es., di recente, Sez. 1, n. 20595 del 10/01/2023, Bresciani, n.m.), secondo i quali, con l’abrogazione dell’art. 14 della legge n.55 del 1990, apportata dal d.l. n.92 del 23 maggio 2008, con effetto di riespansione della disciplina ancor più risalente, come affermato, in chiave interpretativa da Sez. U, n. 13426 del 25/03/2010, Cagnazzo, Rv. 246272 – 01 (secondo cui il rinvio enunciato dall’art. 19, comma primo, della I. n. 152 del 1975 non ha carattere materiale o recettizio, ma è di ordine formale nel senso che, in difetto di una espressa esclusione o limitazione, deve ritenersi esteso a tutte le norme successivamente interpolate nell’atto-fonte, in sostituzione, modificazione o integrazione di quelle originarie; ne consegue che, accanto alle misure di prevenzione personali, pure quelle patrimoniali del sequestro e della confisca possono essere applicate nei confronti di soggetti ritenuti socialmente pericolosi perché abitualmente dediti a traffici delittuosi, o perché vivono abitualmente anche solo in parte – con i proventi di attività delittuose, a prescindere dalla tipologia dei reati in riferimento), si è realizzata (con scelta confermata nel 2011, in sede di emanazione del d.lgs. n.159) l’introduzione di una disposizione legislativa tesa ad ampliare l’area della confiscabilità derivante da «pericolosità generica», con avvenuta abrogazione della norma regolatrice vigente all’epoca dei fatti delittuosi commessi dai proposti. La possibilità di dare applicazione alla norma regolatrice sopravvenuta è strettamente correlata alla natura giuridica di misura di sicurezza atipica della confisca di prevenzione tSez. U, n. 4880 del 26/06/2014, dep. 2015, Spinelli, Rv. 262602 01) e alla sua funzione essenzialmente ripristinatoria, con conseguente sottrazione allo statuto delle sanzioni penali (v., ad es., Corte cost., sent. n. 24 del 2019).
Né può porsi una questione in tema di ‘prevedibilità’ delle conseguenze sfavorevoli della propria condotta – al momento dei fatti – proprio in virtù del fatto
che l’adesione al paradigma della tassatività porta a ritenere da un lato possibile, come si è detto, l’iscrizione del soggetto nella categoria tipica solo se ed in quanto autore di “delitti produttivi di reddito”, dall’altro prevedibile la conseguenza sfavorevole della confisca dei beni alimentati da una condizione di pericolosità che coincide (nel suo momento genetico) con la commissione di un’azione (delittuosa, dunque penalmente rilevante) già coperta dalla ordinaria previsione di ‘conseguenze sfavorevoli’ correlate alla incriminazione del fatto.
Il quinto motivo -con cui si critica la decisione di inammissibilità dell’appello proposto dalla RAGIONE_SOCIALE, per sostenere la buona fede che avrebbe assistito l’acquisto delle quote della RAGIONE_SOCIALE stessa da parte di NOME COGNOME– è inammissibile.
Le considerazioni difensive non contrastano la rilevata carenza di interesse della RAGIONE_SOCIALE a svolgere motivi che concernono la posizione dell’acquirente. Il fatto che la SCI sia l’equivalente di una RAGIONE_SOCIALE semplice, e che tutti i soci siano legittimati disgiuntamente a rappresentarla, è una considerazione fuori fuoco, perché, secondo quanto esattamente rilevato dalla Corte, non viene in discussione il tema della legittimazione del singolo a rappresentare la RAGIONE_SOCIALE, ma quello, speculare, del difetto di legittimazione della prima, attraverso il suo legale rappresentante, a far valere ragioni del singolo socio, ancorché totalitario e ancorché soggettivamente coincidente con lo stesso rappresentante. Il fatto che il ricorso non superi questa autonoma ratio decidendi rende del tutto superfluo esaminare le doglianze che investono la seconda autonoma ratio decidendi. Ne segue che tutte le critiche al carattere fittizio dell’intestazione in favore del cittadino di nazionalità cinese non possono essere esaminate in sede di legittimità, perché non v’è stato, sul punto, un valido appello.
Il sesto motivo è inammissibile, poiché la RAGIONE_SOCIALE non agisce per ottenere la restituzione dei beni, che spetterebbe alla controllata RAGIONE_SOCIALE, ma lamenta che, in caso di consolidamento della confisca, potrebbe scaturire una sua responsabilità, come controllante ai sensi dell’art. 2497 c.c., che afferma la responsabilità di RAGIONE_SOCIALE che, esercitando attività di direzione e coordinamento di altre RAGIONE_SOCIALE, agiscano in violazione di principi di corretta gestione societaria delle RAGIONE_SOCIALE medesime, in modo da recare pregiudizio alla redditività e al valore della partecipazione sociale nonché ai creditori sociali per la lesione cagionata all’integrità del patrimonio della RAGIONE_SOCIALE. Al riguardo, si rinvia, quanto al tema dell’interesse ad agire a quanto indicato supra sub 2.
Invero, la ricorrente deduce che il suo interesse ad argomentare in ordine alla liceità della provvista originaria che ha alimentato il conto corrente della
RAGIONE_SOCIALE si fonda sull’esigenza di contrastare eventuali azioni di responsabilità da parte della RAGIONE_SOCIALE rappresentata. Si tratta, tuttavia, di un interesse di mero fatto, del tutto irrilevante in questa sede. L’interesse, concreto ed attuale, a proporre impugnazione si correla alla funzionalità di quest’ultima ad assicurare un risultato immediatamente produttivo di effetti nella sfera giuridica dell’impugnante (Sez. 1, n. 15998 del 28/02/2014, Pascale, Rv. 259601), laddove del tutto ipotetico è l’interesse a contrastare un’eventuale azione di responsabilità, rispetto al cui esercizio in ogni caso l’odierna ricorrente si difenderà nella sede RAGIONE_SOCIALE, senza che le possa essere opposta un’inerzia nel reagire al provvedimento ablatorio del quale sia stata destinataria la RAGIONE_SOCIALE terza.
Ricorso COGNOME
7. I cinque motivi di ricorso prospettano questioni strettamente connesse sul piano logico, che esigono una trattazione unitaria.
Ribaditi i limiti di sindacabilità in cassazione dei provvedimenti che applicano misure di prevenzione, occorre muovere dalla premessa che, ai fini dell’art. 19 CAM e della correlata presunzione di disponibilità «a qualsiasi titolo» (sull’ampiezza di tale nozione che comprende ogni forma di disponibilità, sia in forma diretta che indiretta, del bene, v., in motivazione, Sez. U, n. 12621 del 22/12/2016, dep. 2017, De Angelis, Rv. 270081 – 01) dei beni da parte del proposto, ai fini della configurabilità del requisito della convivenza, non è necessaria la condivisione di una medesima unità abitativa, essendo sufficiente una relazione stabile e duratura, caratterizzata da una comunione di interessi affettivi ed economici (Sez. 1, n. 5286 del 06/02/2018, dep. 2019, Seminara, Rv. 274871 – 01). Nel caso di specie, i giudici di merito, accanto ad altri indici, hanno anche ricordato il fatto che la donna sia stata rinvenuta nell’abitazione del proposto sia al momento dell’esecuzione del sequestro di prevenzione nel 2020 sia al momento dell’arresto nel 2021: dati che, per la distanza e la non programmabilità degli eventi, appaiono estremamente significativi e confermano, con motivazione che non risulta affatto apparente, anche con riferimento alla genericità delle spiegazioni fornite, la premessa.
D’altra parte, la sproporzione tra i beni posseduti e le attività economiche del familiare o del terzo intestatario fittizio del bene non può essere da costoro giustificata adducendo proventi da evasione fiscale, giacché, altrimenti, sarebbero illogicamente rese inoperative le rispettive presunzioni di interposizione fondate, per quanto attiene ai familiari e al coniuge, sulla massima di comune esperienza della comunanza di interessi patrimoniali e di redditi nell’ambito dell’unità familiare entro cui si colloca la persona socialmente pericolosa, e, per quanto attiene al
terzo, sull’accertamento di cui all’art. 26, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (Sez. 1, n. 12629 del 16/01/2019, Macrì, Rv. 274988 – 01).
Rispetto a tale cornice di riferimento, del tutto generico è il vizio di mancanza di motivazione dedotto con il terzo motivo, a proposito delle prove alle quali la ricorrente intenderebbe affidare la dimostrazione dell’esistenza di redditi idonei a giustificare l’acquisto in proprio. Ma anche il secondo, il quarto e il quinto motivo si risolvono in asserzioni o in elenchi di documenti dei quali non è riprodotto il contesto e il contenuto, così come non emerge, già sul piano delle deduzioni, la collocazione cronologica degli atti e la loro specifica natura, con la conseguenza che non è apprezzabile la rilevanza della dedotta assenza di esame da parte della Corte territoriale rispetto alla conclusione per la quale, a fronte della ricordata presunzione di interposizione, non è stata raggiunta la prova contraria. In realtà, a tutto voler concedere, emerge dalle doglianze una pretesa alla rivalutazione del contenuto delle risultanze istruttorie o la denuncia di una non condivisione dei presupposti normativi che hanno giustificato la valutazione dei giudici di merito e che hanno condotto alla decisione assunta.
Per i motivi fin qui esposti, il Collegio dichiara inammissibili i ricorsi. Alla pronuncia di inammissibilità consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, in ragione delle questioni dedotte, appare equo determinare in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende
Così deciso in Roma il 29/02/2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente