Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 7272 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 7272 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 28/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato in MAROCCO (MAROCCO) il 18/06/1985
avverso il decreto del 18/07/2024 della CORTE APPELLO di MILANO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
Ritenuto in fatto
Con decreto in data 30 aprile 2024, la Corte d’appello di Milano ha confermato il provvedimento con cui il Tribunale di Milano aveva disposto la confisca di prevenzione del saldo attivo di due libretti postali, sui quali erano confluite le somme di denaro di euro 630 ed euro 81.820 sequestrati a Bouali Mouloud, in quanto provenienti da illeciti costituenti manifestazione di “pericolosità sociale storica”.
Avverso tale decreto, NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, articolando tre motivi di censura.
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2.1. Con il primo motivo deduce violazione di legge in relazione agli artt. 1, 4, 10 e 20 d.lgs. n. 159 del 2011 con riguardo alla ritenuta sussistenza della pericolosità sociale del proposto.
La Corte d’appello avrebbe omesso di verificare l’epoca in cui il COGNOME aveva acquistato il denaro sequestrato e la sussistenza della pericolosità sociale del medesimo a quel momento. Le modalità di conservazione del denaro, rinvenuto nell’auto sulla quale viaggiava il proposto, attesterebbero che si trattava di bene di acquisizione recente, e non risalente al momento di in cui si sarebbe potuto ravvisare una manifestazione di pericolosità, e cioè all’anno 2015, allorché il ricorrente era stato condannato per il reato di spaccio di stupefacenti. Non rileverebbe, al fine di ritenere sussistente la pericolosità sociale al momento del sequestro, la circostanza che egli, in conseguenza rinvenimento della somma di denaro oggetto della misura di prevenzione, avvenuto il 18.7.2022, e del possesso di stupefacente, era stato indagato per il delitto di ricettazione (del denaro) e per il delitto di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990. Ciò in quanto il medesimo episodio non potrebbe essere considerato contemporaneamente quale sintomo e quale risultato di pericolosità sociale, atteso che, ai fini del sequestro di prevenzione, ex art. 20 d.lgs. n. 159 del 2011, la pericolosità del proposto deve preesistere al sequestro stesso.
2.2. Con il secondo motivo si deduce vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 1, lett. c) e10, d.lgs. n. 159 del 2011 con riguardo alla ritenuta sussistenza della pericolosità sociale. Il ricorrente rileva che, mentre il Tribunale, nel disporre la confisca di prevenzione, aveva ritenuto sussistere la pericolosità di cui all’art. 1, lett. b), d.lgs. n. 159 del 2011, la Corte distrettuale ha, invece, fatto riferimento alla lett. c) della citata disposizione, ritenendo il Bouali dedito a comportamenti che ledono la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica. In realtà egli era stato condannato una sola volta, nel 2016, per reati in tema di stupefacenti, mentre il successivo procedimento aperto a suo carico per fatti analoghi commessi nel 2015 era stato archiviato. Pur potendo il giudice della prevenzione valutare autonomamente i fatti oggetto del procedimento conclusosi con l’archiviazione, nella specie la Corte territoriale avrebbe omesso di operarne una rilettura, limitandosi a valorizzare la mera esistenza di quel procedimento. Inoltre, i fatti oggetto del medesimo sarebbero risalenti nel tempo, mentre il sequestro era avvenuto nel 2022.
Con riguardo alle condanne per le contravvenzioni in materia di immigrazione clandestina, il ricorrente sostiene che erroneamente il decreto impugnato avrebbe affermato trattarsi di reati che mettono in pericolo la sicurezza pubblica, dovendo il bene giuridico individuarsi nella regolamentazione dei flussi migratori. Inoltre,
tali reati non potrebbero definirsi lucrogenetici, dovendo rinvenirsi l’origine dei medesimi in ragioni di tipo umanitario o sociale.
In ogni caso difetterebbe l’attualità della pericolosità del COGNOME al momento della acquisizione del denaro sequestrato, atteso che i reati di cui all’art. 10-bis, TU immigrazione (ingresso e soggiorno illegale) erano stati commessi il primo nel 2016, e il successivo nel 2017. Il procedimento concernente quest’ultimo reato, inoltre, veniva definito con sentenza di non doversi procedere per particolare tenuità del fatto, in quanto nel frattempo il proposto aveva regolarizzato la propria posizione in Italia. In ogni caso, non sarebbe ravvisabile alcuna connessione tra tali reati e l’acquisizione antigiuridica del denaro oggetto di confisca, i quali sarebbero anche temporalmente distanti.
2.3. Con il terzo motivo si deduce il vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 10 e 24, d.lgs. n. 159 del 2011 e l’erronea applicazione del regime dell’onere della prova con riguardo alla legittima provenienza del bene oggetto di confisca. La Corte territoriale avrebbe fondato la valutazione di sproporzione della somma di denaro trovata in possesso del ricorrente sul carattere asseritamente non veritiero della documentazione dal medesimo depositata, volta a dimostrare che essa conseguiva alla vendita di un terreno in Marocco, che tale somma era stata successivamente versata su un conto corrente, che poi era stato prelevato un importo corrispondente a circa 80 mila euro e, infine che tale somma era stata convertita in euro. Il provvedimento impugnato sarebbe illegittimamente pervenuto a tale conclusione sull’assunto che il COGNOME non aveva dimostrato la legittima provenienza delle risorse necessarie per l’acquisto del terreno venduto, in tal modo sovvertendo il regime dell’onere probatorio, atteso che graverebbe sull’accusa l’onere di l’autenticità della documentazione prodotta dal proposto. Il ricorrente infine censura le argomentazioni svolte dal provvedimento impugnato in ordine alla illegalità dell’importazione di denaro in Italia, soggetta a sanzione economica, dalla quale non potrebbe desumersi la non veridicità della versione dei fatti dal medesimo documentata.
Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte, chiedendo il rigetto del ricorso.
Considerato in diritto
I motivi di ricorso, in quanto connessi, possono essere esaminati congiuntamente. Essi sono fondati nei termini di seguito precisati.
Conviene preliminarmente richiamare l’insegnamento di questa Corte, secondo il quale la pericolosità sociale costituisce presupposto ineludibile della confisca di prevenzione e al contempo è “misura temporale” del suo ambito applicativo; ne consegue che, con riferimento alla c.d. pericolosità generica, sono suscettibili di ablazione soltanto i beni acquistati nell’arco di tempo in cui si è manifestata la pericolosità sociale (Sez. U, n. 4880 del 26/06/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262605 – 01). Ciò, tuttavia, non esclude la possibilità di estendere la misura anche oltre tali confini temporali, ove ricorrano una pluralità di indici fattuali dimostrativi di un “accantonamento” di risorse finanziarie venuto in essere in costanza di pericolosità e della diretta derivazione causale di eventuali acquisizioni patrimoniali estranee a tale provvista (cfr. Sez. 1, n. 12329 del 14/2/2020, Rv. 278700).
2.2. Con riguardo alla definizione dei soggetti destinatari delle misure di prevenzione di cui al d.lgs. n. 159 del 2011, e specificamente alla categoria tipica delineata dall’art. 1, comma 1, lett. c), che rileva nel caso in esame, si è precisato
che innanzitutto vengono in rilievo reati la cui offensività sia proiettata verso beni giuridici non meramente individuali (quali, ad esempio, i reati contro il patrimonio), ma connessi alla preservazione delle condizioni materiali necessarie alla convivenza sociale, quali, per restare sempre ancorati al caso di specie, l’ordine e la sicurezza della collettività (V. Sez. 6, n. 29229 del 01/07/2024, Rv. 286845 – 01; Sez. 6, n. 32903 del 22/06/2021, Rv. 281842 – 01. Sez. 1, n. 23372 del 15/05/2015, COGNOME, Rv. 263615 ha affermato il principio con riguardo al bene giuridico tutelato dal reato di detenzione abusiva di armi) o la salute pubblica (ossia il bene giuridico protetto dai reati in tema di stupefacenti: Sez. 4, n. 40903 del 28/06/2016, COGNOME, Rv. 268229; Sez. 3, n. 11782 del 02/10/1998, COGNOME, Rv. 212414).
Inoltre, la lettera c), nel fare riferimento a soggetti «dediti» alla commissione di reati, evoca l’assiduità e la costanza con cui tale attività viene svolta, sicché per integrare la base fattuale richiesta dalla fase “constatativa” del giudizio di pericolosità, i fatti criminosi lesivi o, comunque, pericolosi per la sicurezza e la tranquillità pubblica devono essere stati commessi in un significativo intervallo temporale della vita del proposto e con cadenze tali da assumere, complessivamente valutati, valenza espressiva di un carattere non occasionale o sporadico dell’attività criminosa.
Pertanto, può dirsi socialmente pericoloso ai sensi del d.lgs. n. 159 del 2011, art. 1, comma 1, lett. c), il soggetto nei cui confronti il giudizio di prevenzione sia giunto ad accertare la realizzazione di fatti criminosi lesivi o, comunque, pericolosi per la sicurezza e la tranquillità pubblica (e non di beni giuridici meramente individuali). In sostanza, può ritenersi socialmente pericoloso il soggetto che risulti dedito in maniera non occasionale alla commissione di fatti criminosi lesivi o, comunque, pericolosi per la sicurezza e la tranquillità pubblica e non di beni giuridici meramente individuali, commessi in un significativo intervallo temporale della vita del proposto e con carattere non occasionale o sporadico (Sez. 1, n. 349 del 15/06/2017, dep. 2018, Bosco, Rv. 271996 – 01; Sez. 5, n. 15492 del 19/01/2018, COGNOME, Rv. 272682 – 01, nella quale la Corte ha annullato con rinvio il decreto emesso ai sensi dell’art.1, comma 1, lett. c) sulla base di una valutazione complessiva dei precedenti commessi dal proposto, senza distinguere i plurimi reati contro il patrimonio da quelli attinenti alla sicurezza e tranquillità pubblica; conf. Sez. 6, n. 32903 del 22/06/2021, COGNOME, Rv. 281842 – 01).
Nel caso in esame, i giudici del merito hanno valorizzato la commissione di due reati di ingresso e soggiorno illegali (art. 10-bis, d.lgs. n. 286 del 1998) commessi uno nel 2016 e l’altro nel 2017, trattandosi di reati contro la sicurezza e tranquillità pubblica (nonché asseritamente «lucrogenici», in quanto «il loro
antecedente causale» è la «acquisizione antigiuridica di denaro»). Hanno poi valorizzato lo stesso procedimento per il reato di cui all’art. 73, comma 4, d.lgs. n. 309 del 1990 e di ricettazione, nell’ambito del quale era stata disposto il sequestro e confisca del denaro. Infine, hanno dato rilievo al procedimento in tema di stupefacenti, concernente fatti tra il 2015 e il 2020, il quale era stato archiviato.
3.1. Con riguardo alla valutabilità di elementi acquisiti nell’ambito di un procedimento penale archiviato, si è affermato che, in tema di misure di prevenzione, soltanto una sentenza irrevocabile di assoluzione comporta un limite al giudice della prevenzione di rivalutare autonomamente i fatti in essa accertati, in quanto la negazione penale di un fatto impedisce di assumerlo come elemento indiziante ai fini del giudizio di pericolosità (Sez. 2, Sentenza n. 11846 del 19/01/2018, Rv. 272496 – 01). Si è pertanto ritenuto che il giudice può valutare autonomamente anche i fatti oggetto di un procedimento archiviato (Sez. 6, n. 49750 del 04/07/2019, COGNOME, Rv. 27743802), fermo restando che, in tal caso egli è chiamato ad un’attenta disamina del provvedimento di archiviazione, al fine di verificare se da esso emergano accertamenti ostativi alla trasmigrazione dei dati in sede di prevenzione (Sez. 5, Sentenza n. 182 del 30/11/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280145 – 02).
3.2. Nella specie, la Corte distrettuale, dopo aver dato atto dell’archiviazione del procedimento a carico del ricorrente per il reato in tema di stupefacenti, ne ha giustificato la rilevanza ai fini del giudizio di pericolosità sociale in considerazione del fatto che la richiesta di archiviazione era «chiara nel non escludere che le conversazioni per le quali il proposto era stato denunciato a piede libero attenessero ad accordi aventi ad oggetto sostanze stupefacenti e il loro commercio», e che lo standard probatorio richiesto per il giudizio di prevenzione è diverso e «più lieve» non incidendo sulla libertà personale. Tuttavia, in modo manifestamente illogico, i giudici di merito hanno ritenuto irrilevante la circostanza che il provvedimento di archiviazione fosse giustificato dalla insufficienza delle conversazioni telefoniche intercettate, potenzialmente riferibili al commercio di tali sostanze, «a dare conferma del coinvolgimento dello stesso» in tale attività criminosa, e dunque dalla loro inidoneità a sostenere l’accusa in giudizio.
Ne deriva, in definitiva, la carenza di indicazioni in ordine al carattere non occasionale e sporadico dell’attività criminosa, carenza che rende l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento impugnato privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692).
Per quanto attiene, poi, al presupposto giustificativo della confisca di prevenzione, ossia la ragionevole presunzione che il bene sia stato acquistato con i proventi di attività illecita, la Corte territoriale ha escluso che la documentazione
prodotta dal proposto, e volta comprovare la provenienza della somma confiscata dalla vendita di un terreno di sua proprietà in Tunisia, fosse sufficiente ad attestare l’origine lecita della somma. Ciò sul duplice rilievo che il proposto avrebbe dovuto comunque dimostrare la liceità della provvista con cui aveva acquistato il terreno poi rivenduto, avendo già l’accusa dimostrato la sproporzione tra il reddito percepito, pari a zero, e l’importo della somma rinvenuta, pari a oltre 80.000 euro e che l’importazione di tale cifra in Italia era illecita, in quanto, superando la soglia di 2.000 euro, era avvenuta in violazione degli artt. 3 e 9, d.lgs. n. 195 del 2008. Ha inoltre evidenziato l’irragionevolezza delle modalità di conservazione del denaro in auto, luogo insicuro, pur avendo egli accesso ai servizi di deposito bancario.
Sotto il primo profilo, osserva il Collegio che il provvedimento impugnato ha disatteso l’insegnamento delle Sezioni unite COGNOME, che, con riguardo al presupposto giustificativo della confisca di prevenzione, hanno affermato che spetta «alla parte pubblica l’onere della prova in ordine alla sproporzione tra beni patrimoniali e capacità reddituale nonché all’illecita provenienza, da dimostrare anche in base a presunzioni», e che «al proposto è riconosciuta la facoltà di offrire prova contraria e liberatoria, atta a neutralizzare quelle presunzioni, in guisa da dimostrare la legittima provenienza degli stessi beni», precisando, altresì che «l’onus probandi a carico del soggetto inciso non è certamente calibrato sui canoni di uno statuto probatorio rigoroso e formale, modulato su quello vigente in materia petitoria, sì da assurgere, in determinati casi, al rango di probatio diabolica. Per il suo assolvimento è, infatti, sufficiente la mera allegazione di fatti, situazioni od eventi che, ragionevolmente e plausibilmente, siano atti ad indicare la lecita provenienza dei beni oggetto di richiesta di misura patrimoniale e siano, ovviamente, riscontrabili» (Sez. U, n. 4880 del 26/06/2014, dep. 2015, Rv. 262605).
Non rileva invece la giurisprudenza evocata dai giudici del merito (Sez. 5, n. 24930 del 26/05/2022, Rv. 283508 – 01), la quale attiene alla diversa ipotesi in cui la lecita provenienza del bene caduto sotto il vincolo ablatorio sia fondata sulla mera allegazione di una plusvalenza derivante dalla operazione commerciale di acquisto e rivendita di altro bene di proprietà del destinatario della misura, nel qual caso si è affermato che ai fini dell’assolvimento dell’onere difensivo è necessaria la giustificazione della provenienza delle risorse utilizzate per l’acquisizione del bene stesso.
Neppure determinante risulta la natura illecita dell’importazione non dichiarata di denaro contante per importo superiore a 10.000, trattandosi di illecito amministrativo concernente le modalità di ingresso del denaro nel nostro Paese, ma non la provenienza di tale somma da fonte illecita. E men che meno rileva la
normativa concernente le limitazioni all’utilizzo del contante che inciderebbe sulla spendibilità della somma confiscata.
Quanto poi alle modalità di conservazione del denaro, esse non risultano di per sé idonee ad attestarne l’origine illecita.
Alla luce delle superiori considerazioni, il decreto impugnato va annullato con rinvio alla Corte d’appello di Milano per un nuovo esame.
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Annulla il provvedimento impugnato con rinvio per nuovo esame alla Corte di appello di Milano.
Il Consigliere estensore
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Così deciso il 28 novembre 2024