Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 6279 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 6279 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Catania il DATA_NASCITA NOME, nata a Catania il DATA_NASCITA
avverso il decreto del 19/8/2023 emesso dalla Corte di appello di Catania visti gli atti, visto il decreto impugnato e il ricorso; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha chiesto il rigetto del ricorso; letta la memoria depositata dall’AVV_NOTAIO COGNOME, nell’interesse di COGNOME NOME, il quale deposita copia del verbale dell’udienza
dibattimentale del 5/10/2023 e chiede l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Catania, riformando parzialmente il decreto emesso in primo grado, annullava per carenza di attualità la misura di prevenzione personale applicata a NOME COGNOME, confermando la misura di
prevenzione della confisca di plurimi beni mobili e immobili, escludendo solo quelli intestati a NOME COGNOME.
Avverso il predetto decreto, i ricorrenti hanno formulato sei motivi di impugnazione.
2.1. Con il primo motivo, deducono violazione di legge in relazione alla ritenuta sussistenza della pericolosità sociale di COGNOME, senza che siano stati rispettati gli stringenti parametri di valutazione imposti a seguito dell’elaborazione giurisprudenziale secondo cui la pericolosità ex art. 1, lett. b), d Igs. 6 settembre 2011, n. 159, presuppone l’accertamento dell’abitualità nel tempo della commissione di delitti e della loro idoneità a produrre profitti che devono aver costituito il principale, anche se non esclusivo, mezzo di sostentamento del proposto. Nel caso di specie, non potrebbero rilevare ai fini che qui interessano i fatti commessi il 23.1.2002 e quelli contestati nel procedimento denominato “Cassiopea”, in quanto si tratterebbe di tentativi di furto e, quindi, sicuramente non produttivi di alcun profitto.
2.2. Con il secondo, terzo e quarto motivo, i ricorrenti contestano la rilevanza attribuita a fatti rispetto ai quali difetta l’accertamento penale di responsabilità, fronte del quale difetterebbe anche un compiuto accertamento svolto in via autonomo dal giudice della prevenzione.
In particolare, in relazione al furto eseguito presso il bancomat del Banco di Roma in data 19.3.2000, la difesa sottolinea che la condanna di COGNOME era stata annullata con rinvio dalla Cassazione e, nel giudizio di appello che ne è seguito, è stata dichiarata la prescrizione. A fronte dell’assenza di un giudicato penale, il giudice della prevenzione non avrebbe adeguatamente compiuto un’autonoma valutazione, limitandosi ad affermare che il fatto sarebbe stato compiuto da COGNOME sulla base di una motivazione apparente.
Per quanto concernete la rapina eseguita in data 27 giugno 2006, allorquando veniva asportato il contenuto di un vagone ferroviario trasportante tabacchi, si sottolinea che COGNOME non era mai stato coinvolto nelle indagini e che la sua responsabilità era stata desunta dal giudice della prevenzione sulla base delle dichiarazioni del collaborante COGNOME, il quale riferiva de relato, mentre altro collaborante – NOME COGNOME – che aveva puntualmente ricostruito la fase preparatoria della rapina, non aveva mai menzionato COGNOME quale uno dei compartecipi.
Infine, con riguardo a tre ipotesi di usura, tutte commesse nel 2015, la difesa evidenziava come le contestazioni riguardavano prestiti di minima entità (complessivamente circa €3.000), sicuramente inidonei a dimostrare l’abituale
ricorso al delitto per procurarsi i mezzi di sostentamento. Peraltro, la difesa ha depositato copia del verbale dell’udienza dibattimentale tenutasi nel procedimento relativo alle predette contestazioni, dal quale risulta che il pubblico ministero ha chiesto l’assoluzione di COGNOME perché il fatto non sussiste.
2.3. Con il quinto motivo, i ricorrenti deducono l’omessa motivazione in merito alla perimetrazione temporale della pericolosità generica, in particolare non dando in alcun modo conto del periodo di permanenza all’estero di COGNOME (da ottobre 2002 a marzo 2003), nonché del periodo di detenzione subito da luglio 2003 a marzo 2004.
Più in AVV_NOTAIO, si sostiene che gli unici delitti astrattamente idonei a supportare la pericolosità generica sarebbero quelli commessi nel 2000 e nel 2015, il che dimostrerebbe di per sé come, per un lungo lasso temporale, non vi siano elementi a sostegno della ritenuta pericolosità.
2.4. Con il sesto motivo, infine, si deduce l’omessa motivazione in ordine alla ricostruzione degli apporti patrimoniali leciti che avrebbero costituito la provvista per gli acquisti immobiliari effettuati da NOME COGNOME.
La difesa evidenzia come, a fronte di una dettaglia consulenza di parte, la perizia d’ufficio sarebbe del tutto deficitaria e non avrebbe in concreto esaminato le questioni poste all’attenzione della Corte.
Inoltre, la difesa si era fatta carico di depositare la documentazione dei movimenti di denaro effettuati in favore della COGNOME (coniuge del COGNOME), in gran parte mediante metodi di versamento traccia bili, senza che la Corte li avesse tenuto in alcuna considerazione.
Per quanto concerne, in particolare, la confisca dell’immobile dito in Catania, INDIRIZZO, la difesa censura che i giudici di merito, pur dando atto che l’acquisto era stato effettuato in parte mediante l’accessione di un mutuo ipotecario (dell’importo di €95.000 rispetto al prezzo complessivo di €190.000), non avevano ridotto l’importo della confisca al solo valore del bene ritenuto non giustificato.
In ordine al saldo attivo sul conto personale della NOME (n.422/1688157), invece, si censurava l’omessa valutazione della ricostruzione contabile dalla quale risultava che il saldo attivo era giustificato dall’utile di esercizio dell’attività s dalla ricorrente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato.
I primi cinque motivi di ricorso sono inammissibili in quanto, pur formalmente proposti per violazione di legge, nella sostanza introducono una censura alla motivazione del decreto imputato.
Invero, la Corte di appello ha ampiamente motivato, rispondendo anche alle censure proposte dall’appellante, in ordine alle ragioni per cui deve ritenersi sussistente la pericolosità generica contestata, individuando le condotte delittuose commesse e dimostrative dell’abituale ricorso al reato per procurarsi i mezzi di sussistenza.
L’omessa motivazione non è neppure configurabile in relazione alla ritenuta partecipazione del ricorrente agli specifici episodi criminosi oggetto del secondo, terzo e quarto motivo di ricorso.
Anche in tal caso, infatti, ferma restando l’insindacabilità della motivazione, è innegabile che la Corte di appello ha ampiamente ricostruito i fatti, fornendo esaustiva spiegazione delle ragioni per cui il ricorrente, pur non essendo stato condannato in sede penale, dovesse ritenersi a pieno titolo responsabile per le condotte produttive di profitti illeciti.
In particolare, il ricorrente è stato ritenuto quale soggetto stabilmente dedito alla commissione di furti, in particolare mediante forzatura delle casse bancomat di plurimi istituti di credito. Di tale attività vi è adeguato riscontro nelle condanne anche per ipotesi tentate e in sentenze di prescrizione riguardanti condotte commesse con abitualità a far data dal 2000.
2.1. Il ricorrente, con la memoria difensiva, ha depositato copia del verbale di udienza dibattimentale dal quale risulta la richiesta di assoluzione formulata dal pubblico ministero nel giudizio avente ad oggetto tre ipotesi dì usura commesse nel 2015.
Invero, l’esito di tale giudizio non è dirimente ai fini che qui interessano, posto che la misura personale è stata annullata per difetto dell’attualità della pericolosità, mentre, per quanto concerne la confisca, i fatti in corso di accertamento si collocano in epoca successiva rispetto all’acquisto sospetto dei beni, sicchè, ove pure si escludesse la loro commissione, non si determinerebbe alcun effetto positivo per il ricorrente.
2.2. Parimenti inammissibile è anche il quinto motivo di ricorso concernente la perinnetrazione del periodo di pericolosità sociale. Per le ragioni in parte già enunciate, infatti, l’accertamento della pericolosità rileva esclusivamente al fine si individuare se l’acquisto dei beni confiscati ricada o meno nel periodo sospetto.
La Corte di appello ha compiutamente illustrato le ragioni per cui la pericolosità si è manifestata tra la fine degli anni ’90, proseguendo in maniera ininterrotta fino al 2015.
La maggior parte degli acquisti immobiliari si colloca in epoca considerevolmente precedente il 2015, il che comporta che, pur escludendo la rilevanza degli ultimi episodi delittuosi ancora in corso di accertamento, non verrebbe ugualmente meno la correlazione temporale tra la produzione di redditi illeciti e i conseguenti acquisti.
Il sesto motivo di ricorso è volto a censurare la ricostruzione patrimoniale sottesa all’adozione della confisca, sostenendosi che la motivazione resa dalla Corte di appello sarebbe meramente apparente, anche in considerazione delle lacune risultanti dalla perizia disposta in corso di giudizio.
Ritiene la Corte che la censura si sostanzi in una deduzione del vizio di motivazione, non potendosi ravvisare gli estremi della motivazione omessa o apparente.
La Corte di appello ha puntualmente ricostruito la situazione patrimoniale della famiglia dei ricorrenti, dando atto dell’insanabile sproporzione tra i redditi lecitamente maturati e gli acquisti di beni che si sono succeduti nel corso del tempo.
Parimenti sono stati esaminati i contributi in denaro forniti dai familiari dei ricorrenti, dandosi atto delle ragioni per cui tali donazioni o prestiti sarebbero in parte privi di adeguata prova, in parte concernerebbero somme di dubbia provenienza. A differenza di quanto dedotto dai ricorrenti, la Corte di appello ha fornito un’esauriente motivazione con riguardo a ciascuna donazione, indicando espressamente le ragioni dalle quali desumere l’incertezza circa l’effettiva dazione o sulla provenienza lecita della provvista.
Ciò che richiedono i ricorrenti è una rivalutazione nel merito ed in punto di fatto di tali conclusioni il che, tuttavia, non è consentito in sede di legittimità.
Analoghe considerazioni valgono anche in ordine alla ricostruzione contabile dei movimenti sui conti correnti, avendo la Corte di appello motivato circa l’insanabile sperequazione riscontrata tra redditi leciti e spese sostenute.
3.1. Infine, deve rilevarsi la manifesta infondatezza della specifica doglianza concernente la provenienza lecita della somma di €95.000 (conseguente a concessione di mutuo ipotecario) finalizzata all’acquisto di un immobile sito in Catania, INDIRIZZO.
Sostiene la difesa che il Tribunale avrebbe dato atto della provenienza certa e lecita di tale importo, sicchè si sarebbe dovuto ridurre l’importo della confisca dell’immobile pro quota.
Si tratta di una conclusione che non tiene conto della complessiva motivazione resa sul punto dal Tribunale, lì dove ha ritenuto che, a fronte della concessione del
5 GLYPH
2”
mutuo, la sperequazione patrimoniale rispetto alle entrate lecite era tale da non consentire di ritenere che la restituzione delle rate potesse avvenire attingendo a proventi leciti.
Pur in mancanza di una specifica motivazione sul punto, deve ritenersi che la Corte di appello abbia implicitamente argomentato anche su tale aspetto, nella misura in cui è stata ritenuta la complessiva incompatibilità tra il “rapido ed ingiustificato” arricchimento dei ricorrenti e le scarse sopravvenienze positive di lecita provenienza.
In buona sostanza, deve ritenersi che la Corte di appello abbia fatto corretta applicazione del principio secondo cui l’acquisto di un immobile mediante l’accensione di un mutuo non costituisce dimostrazione della legittima provenienza della provvista, dovendosi fornire la prova della disponibilità di risorse lecite e sufficienti a sostenere il pagamento delle rate mensili, nel caso di specie mancanti in quanto il nucleo familiare del proposto non disponeva di redditi adeguati (Sez.6, n. 21347 del 10/4/2018, Salanitro, Rv. 273388).
Per quanto concerne, infine, la posizione di NOME, si rileva che quest’ultima, in qualità di terza intestataria, avrebbe potuto impugnare il decreto esclusivamente deducendo l’effettiva ed esclusiva titolarità dei beni, non potendo sindacare i presupposti legittimanti la misura di prevenzione disposta nei confronti del prevenuto.
Alla luce di tali considerazioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 18 gennaio 2024
Il Consigliere estensore idente