Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 2471 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 2471 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato a Reggio Calabria il DATA_NASCITA
avverso il decreto del 22/04/2022 della Corte di appello di Reggio Calabria;
visti gli atti del procedimento, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le richieste del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procurat generale NOME COGNOME, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME, attraverso il proprio difensore, impugna il decreto della Corte di appello di Reggio Calabria del 22 aprile 2022, depositato il 28 marzo 2023, che ha confermato la confisca di beni nella sua disponibilità, disposta dal Tribuna della stessa città con decreto del 14 ottobre 2020, a norma dell’art. 24, d.lgs 159 del 2011.
Il ricorso è sorretto da tre motivi.
2.1. Il primo consiste nella nullità derivata del decreto impugnato, per effe di quella del decreto del Tribunale, non avendo il proposto ricevuto la notifica deg
avvisi di fissazione delle udienze di rinvio preliminari tenutesi dinanzi a quel giudice.
La risposta della Corte d’appello alla relativa eccezione sarebbe stata apodittica ed apparente.
2.2. Il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 24, comma 2, e 27, comma 6, d.lgs. n. 159 del 2011, in quanto il deposito della motivazione del decreto impugnato sarebbe avvenuto oltre il termine di un anno e sei mesi dal deposito del ricorso in appello, avvenuto il 9 dicembre 2020.
2.3. La terza doglianza riguarda la violazione degli artt. 4, 20 e 24, d.lgs. n. 159, cit., contestandosi, con essa, l’esistenza dei presupposti della confisca e, in particolare, la sproporzione tra il valore dei beni che ne sono oggetto ed i redditi effettivamente percepiti dal proposto e dal suo nucleo familiare nel periodo interessato dai relativi accrescimenti economici.
In particolare, le attività illegali del COGNOME sarebbero limitate al biennio 20102011, mentre i cespiti attinti dalla misura sarebbero entrati nel suo patrimonio dal 2011 in poi. Inoltre, la Corte d’appello, relativamente al calcolo presuntivo delle spese di consumo, al fine di stabilire la sperequazione di valore tra redditi e disponibilità economiche, non avrebbe risposto alle obiezioni difensive in punto di parametro di riferimento utilizzato (genericamente sud Italia, anziché Calabria) e di componenti del nucleo familiare (uno dei quali detenuto nel periodo considerato).
Ha depositato requisitoria scritta la Procura generale, concludendo per l’annullamento senza rinvio del decreto, per sopravvenuta inefficacia della confisca, a norma dell’art. 27, comma 6, cit..
CONSIDERATO IN DIRITTO
Nessuno dei motivi di ricorso può essere ammesso.
Il primo è del tutto generico, risolvendosi sostanzialmente nell’enunciazione del vizio, al pari del motivo d’appello.
Il provvedimento impugnato, infatti, rileva che la difesa non ha nemmeno indicato quali sarebbero state le udienze delle quali il proposto non avrebbe ricevuto rituale avviso ed il ricorso non colma tale lacuna, così da permettere a questa Corte di compiere una verifica mirata all’interno del fascicolo processuale (consentita nelle ipotesi in cui il vizio dedotto abbia natura procedimentale) e non puramente esplorativa, invece preclusa al giudice di legittimità, poiché si tradurrebbe in un accertamento in fatto.
Il secondo motivo è manifestamente infondato. L’art. 27, connma fd.lgs. n. 159 del 2011, effettivamente stabilisce che, in [caso di appello, il decreto di confisca perde efficacia se la pronuncia della Corte distrettuale non intervenga entro un anno e sei mesi dal deposito del ricorso. E come deduce la difesa – la giurisprudenza di legittimità nettamente prevalente, che questo Collegio peraltro condivide, ritiene che il limite ad quem del predetto termine non sia costituito dall’udienza di trattazione, bensì dal deposito del decreto con la motivazione, giacché, svolgendosi il procedimento in camera di consiglio, il provvedimento giurisdizionale acquista giuridica esistenza solo con il deposito, che ne segna il momento perfezionativo (per tutte: Sez. 6, n. 21523 del 18/06/2020, Palla, Rv. 279312).
Soltanto che lo stesso art. 27, comma 6, richiama espressamente l’art. 24, comma 2, stesso d.lgs., il quale, a sua volta, stabilisce che, nel computo di detto termine, debba tenersi conto delle cause dì sospensione dei termini di durata della custodia cautelare, previsti dal codice di rito. E quest’ultimo, all’art. 304, comma 1, lett. a), prevede che detti termini rimangano sospesi durante il tempo in cui il dibattimento è sospeso o rinviato per impedimento dell’imputato o del suo difensore o su richiesta degli stessi, salvo che ciò avvenga per esigenze difensive.
Ebbene, la difesa ricorrente tace che, nel grado d’appello del presente procedimento, si sono avuti quattro rinvii consecutivi su richiesta della stessa (udienze 4 giugno 2021, 8 ottobre 2021, 17 dicembre 2021 e 4 febbraio 2022), con l’effetto che il termine previsto dal citato art. 27, comma 6, è rimasto sospeso per 322 giorni complessivi e sarebbe perciò spirato il 27 aprile 2023: ma, a questa data, il decreto era stato depositato già da circa un mese.
Generico, e comunque manifestamente infondato, infine, è il terzo motivo, in tema di calcolo della sproporzione reddituale, perché il decreto impugnato non trascura di considerare i redditi leciti allegati dalla difesa, ma ne motiva specificamente l’insufficienza (pagg. 7 – 9).
La censura difensiva, dunque, attinge essenzialmente la valutazione del materiale probatorio o, al più, la persuasività delle argomentazioni del giudice d’appello, l’una e l’altra, però, non censurabili in questa sede, in cui la cognizione della Corte di cassazione è limitata alle violazioni di legge (art. 10, comma 3, d.lgs. n. 159, cit.).
L’inammissibilità del ricorso comporta obbligatoriamente – ai sensi dell’art. 616, cod. proc. pen. – la condanna del proponente alle spese del procedimento ed al pagamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, non
ravvisandosi una sua assenza di colpa nella determinazione della causa d’inammissibilità (vds. Corte Cost., sent. n. 186 del 13 giugno 2000). Dett somma, considerando la manifesta inconsistenza delle doglianze, va fissata in tremila euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, 1’8 novembre 2023.