Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 20149 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 20149 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 11/04/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a TARANTO( ITALIA) il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a TARANTO il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a TARANTO il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a TARANTO il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a TARANTO il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a TARANTO il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a TARANTO il DATA_NASCITA
avverso il decreto del 13/10/2023 della CORTE APPELLO di LECCE udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
Letta la requisitoria scritta del Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione NOME COGNOME, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con decreto in data 13/10/2023, la Corte di appello di Lecce – revocata limitatamente ad alcuni beni la confisca disposta in primo grado – ha, nel resto, confermato il decreto del 29/12/2021 con il quale il Tribunale di Taranto aveva disposto la confisca di una serie di beni (immobili, veicoli, quote societarie e relativi compendi aziendali, rapporti di conto corrente) intestati a NOME COGNOME, ritenuto portatore di pericolosità qualificata, e ai terzi NOME, NOME COGNOME, NOME NOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Avverso l’indicato decreto della Corte di appello di Lecce hanno proposto ricorso per cassazione (d’ora in poi, primo ricorso), con un unico atto e attraverso il difensore AVV_NOTAIO, NOME COGNOME, nonché NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, articolando i motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Denunciano i ricorrenti la mancata perimetrazione temporale del giudizio di pericolosità qualificata, in quanto la condanna di NOME COGNOME per il delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen. riguarda un periodo fino al 1996, mentre il periodo di manifestazione della pericolosità qualificata è stato protratto fino al 2011 in assenza di ulteriori indici fattuali, in contrasto con le indicazion rinvenibili nella giurisprudenza di legittimità e in quella costituzionale, tanto più che la Corte di appello ha omesso di valutare in concreto l’effettiva valenza economica delle condotte lucrogenetiche, sottoponendo a confisca beni acquisiti fino al 2011, ossia dagli otto ai quindici anni dopo la consumazione delle condotte lucrogenetiche, laddove la decisione impugnata appare incentrata in via esclusiva sull’incongruenza economica tra redditi percepiti e valore dei beni senza alcuna concreta valutazione delle condotte, delle circostanze temporali e del rilevante iato temporale tra i due momenti (locupletazione e investimenti).
Il giudizio di prevenzione reale impone l’esatta individuazione della provvista illecita da cui far derivare il complesso delle acquisizioni patrimoniali riferibili proposto, mentre il decreto impugnato non tiene conto che il proposto consegnava i proventi illeciti ad altra persona, che poi provvedeva alla distribuzione tra gli affiliati
2.2. La difesa aveva prodotto a fini probatori il decreto della stessa Corte di appello relativo al fratello del proposto NOME COGNOME, che, versando in una posizione del tutto analoga, ha visto revocare la misura di prevenzione nei suoi confronti, decreto che non è stato esaminato dal provvedimento impugnato.
2.3. In ordine al giudizio di sperequazione economica, il decreto impugnato riprende la relazione peritale, omettendo l’esame del decreto nei confronti di NOME COGNOME e ricomprendendo erroneamente nel novero dei beni illecitamente acquisiti quelli risalenti agli anni successivi quando la condotta lucrogenetica era cessata da anni, laddove l’evasione non può costituire indice di pericolosità sociale, valendo solo a impedire che possa giustificare la sproporzione tra redditi dichiarati e il patrimonio.
2.4. Quanto al ricorso dei terzi interessati, del tutto infondato è il rilievo del decreto impugnato secondo cui gli acquisti effettuati nel periodo 1995 – 2011 rientrerebbero nel periodo di manifestazione della pericolosità qualificata, tanto più che NOME risultava titolare di redditi regolari certificati, così come NOME e NOME COGNOME.
Avverso il medesimo decreto della Corte di appello di Lecce hanno proposto ricorso per cassazione (d’ora in poi, secondo ricorso), con un unico atto e attraverso il difensore AVV_NOTAIO, NOME COGNOME, nonché NOME COGNOME e NOME COGNOME, articolando cinque motivi, di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
3.1. Il primo motivo denuncia violazione dell’art. 10, d. Igs. n. 159 del 2011, per motivazione apparente in ordine alla persistente pericolosità qualificata di NOME COGNOME e alla ritenuta correlazione temporale tra il periodo di manifestazione della pericolosità qualificata e l’accumulazione patrimoniale, nonché con riguardo alla ritenuta derivazione dei beni confiscati dall’attività illecita di cui alla sentenza del Tribunale di Taranto del 28/06/2002. Il decreto impugnato ha accertato una durata del periodo di pericolosità qualificata che va dal 1989 al dicembre 1996, operando un ingiustificato automatismo della pregressa esperienza delittuosa in assenza di elementi concreti e specifici dai quali desumere la persistenza della pericolosità stessa del proposto, tanto più che già all’epoca del processo NOME COGNOME manifestò la volontà di interrompere ogni pregresso collegamento con la criminalità organizzata, rendendo una piena confessione. Con ordinanza del 03/05/2012, sottoposto all’esame della Corte di appello, il Tribunale di Taranto, in funzione di giudice dell’esecuzione, dichiarò inammissibile la richiesta di sequestro preventivo del P.M. e rigettò la richiesta di confisca di beni ricollegabili al fratello del propost NOME COGNOME: da tale provvedimento si evince l’origine lecita del reddito di NOME COGNOME derivante dall’attività svolta presso RAGIONE_SOCIALE, con l’interruzione di ogni collegamento con la criminalità organizzata, il che esclude qualsiasi contaminazione del patrimonio di detta società dei due fratelli, appunto, con la criminalità organizzata. Dall’apparente motivazione relativa all’ordinanza
del 03/05/2012 deriva la lesione del principio di preclusione e del più ampio principio del ne bis in idem, posto che detta ordinanza non fu impugnata.
Inoltre, la Corte di appello di Lecce, con provvedimento 3/2022 (confermato dalla Corte di cassazione), ha accolto l’impugnazione di NOME COGNOME, revocando la misura di prevenzione nei suoi confronti, con valutazioni che sconfessano il decreto impugnato.
Il proposto da gennaio 1997 ad agosto 2000 è stato sottoposto a un periodo di ininterrotta carcerazione, mentre non è mai stato sottoposto alla misura personale della sorveglianza speciale, non ricorrendo alcuna attualizzazione dell’indice di pericolosità rappresentato dalla pregressa appartenenza a un’associazione mafiosa.
3.3. Il terzo motivo denuncia, quanto all’evasione fiscale, che la sentenza n. 24 del 2019 della Corte costituzionale ha escluso che il mero status di evasore fiscale sia sufficiente a giustificare la confisca, se non integri una fattispecie delittuosa.
3.4. Il quarto motivo denuncia violazione del diritto di difesa, non essendo stato consentito al difensore di fare chiarezza sull’origine del patrimonio del
proposto, non consentendo l’esame del proprio consulente dopo l’esame dei periti.
3.5. Il quinto motivo denuncia motivazione apparente in ordine alla posizione dei terzi NOME e NOME COGNOME, titolari di rediti propri certificati e attinte dalla confisca sono perché strette congiunte del proposto.
Il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione NOME COGNOME ha concluso per il rigetto dei ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi devono essere accolti. 2. Come chiarito dalle Sezioni unite di questa Corte, «la pericolosità sociale, oltre ad essere presupposto ineludibile della confisca di prevenzione, è anche “misura temporale” del suo ambito applicativo e, quindi, della sua efficacia acquisitiva. COGNOME Sennonché, COGNOME mentre COGNOME nell’ipotesi COGNOME di COGNOME pericolosità COGNOME “generica” l’individuazione cronologica rappresenta operazione tutt’altro che disagevole, in caso di pericolosità qualificata la relativa determinazione appare più complessa e problematica. Ed infatti, fermo restando il principio che la pericolosità (rectius l’ambito cronologico della sua esplicazione) è “misura” dell’ablazione, la proiezione temporale di tale qualità non sempre è circoscrivibile in un determinato arco temporale. Tuttavia, nell’ipotesi in cui la pericolosità investa, come accade ordinariamente, l’intero percorso esistenziale del proposto e ricorrano i requisiti di legge, è pienamente legittima l’apprensione di tutte le componenti patrimoniali ed utilità, di presumibile illecita provenienza, delle quali non risulti, in alcun modo, giustificato il legittimo possesso. Resta ovviamente salva – come per la pericolosità generica – la facoltà dell’interessato di fornire prova contraria e liberatoria, attraverso la dimostrazione della legittimità degli acquisti in virtù di impiego di lecite fonti reddituali. Con l’imprescindibil corollario che una prova siffatta, specie per gli acquisti risalenti nel tempo, non deve rispondere, neppure in questo caso, ai rigorosi canoni probatori del giudizio petitorio, con il rischio di assurgere al rango di probatio diabolica, potendo – per quanto si è detto – anche affidarsi a mere allegazioni, ossia a riscontrabili prospettazioni di fatti e situazioni che rendano, ragionevolmente, ipotizzabile la legittima provenienza dei beni in contestazione. Invece, ove la fattispecie concreta consenta al giudice della prevenzione di determinare comunque – in forza di insindacabile apprezzamento di merito (in quanto congruamente giustificato) e sulla base di ogni utile indagine – il momento iniziale ed il termine Corte di Cassazione – copia non ufficiale
finale della pericolosità sociale, saranno suscettibili di apprensione coattiva “soltanto” i beni ricadenti nell’anzidetto perimetro temporale» (Sez. U, n. 4880 del 26/06/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262604 – 5; conf. Sez. 6, n. 31634 del 17/05/2017, COGNOME, Rv. 270710); di qui, dunque, il principio di diritto in forza del quale la pericolosità sociale, oltre ad essere presupposto ineludibile della confisca di prevenzione, è anche “misura temporale” del suo ambito applicativo, sicché, con riferimento alla c.d. pericolosità generica, sono suscettibili di ablazione soltanto i beni acquistati nell’arco di tempo in cui si è manifestata la pericolosità sociale, mentre, con riferimento alla c.d. pericolosità qualificata, il giudice dovrà accertare se questa investa, come ordinariamente accade, l’intero percorso esistenziale del proposto, o se sia individuabile un momento iniziale ed un termine finale della pericolosità sociale, al fine di stabilire se siano suscettibil di ablazione tutti i beni riconducibili al proposto ovvero soltanto quelli ricadenti nel periodo temporale individuato (Sez. U, n. 4880/15, COGNOME, cit.).
La necessaria, puntuale collocazione dell’acquisto del bene nell’arco temporale in cui si è manifestata la pericolosità sociale del proposto e, dunque, nel “perimetro temporale” tracciato dal relativo accertamento richiede, tuttavia, una precisazione, suggerita dalla stessa sentenza COGNOME delle Sezioni unite, lì dove, proprio introducendo il tema della perimetrazione cronologica, ossia della correlazione temporale tra acquisto del bene e manifestazione della pericolosità sociale, identifica il «presupposto giustificativo della confisca di prevenzione» nella «ragionevole presunzione che il bene sia stato acquistato con i proventi di attività illecita (restando, così, affetto da illiceità per così dire genetica o, come s è detto in dottrina, da “patologia ontologica”) ed è, dunque, pienamente coerente con la ribadita natura preventiva della misura in esame». Decisivo ai fini dell’integrazione del presupposto della confisca di prevenzione è il riferimento all’acquisto con “proventi di attività illecita”: è dunque rispetto a detti proventi che deve essere accertata la riconducibilità nel “perimetro temporale” dell’accertata pericolosità del proposto.
In altri termini, a venire in rilievo è la correlazione temporale tra pericolosità del proposto e accumulazione delle risorse economiche impiegate per l’acquisito, non necessariamente la data di quest’ultimo. Rileva dunque la Corte che, qualora, come nel caso di specie, i beni oggetto di (domanda di) confisca ricadano in parte nel periodo coincidente con quello di manifestazione della pericolosità e in parte siano successivi ad esso, il giudizio sui presupposti del provvedimento ablativo non possa essere svolto in termini unitari, dovendo necessariamente essere articolato, distinguendo tra gli uni e gli altri.
In questa prospettiva, infatti, la giurisprudenza di legittimità ha escluso che «in tanto possa sussistere un collegamento tra beni di illecita provenienza e
condotta criminosa in quanto il relativo acquisto sia stato effettuato perdurante la condizione di associato a delinquere», posto che «ciò determinerebbe di fatto una sorta di “condono” per tutte le condotte di acquisizione che, pur effettuate attraverso la provvista creata mediante la condotta illecita, si siano poi estrinsecate, come momento perfezionativo, in una fase temporale successiva alla perdita di quella condizione soggettiva di pericolosità»: di qui il principio di diritto secondo cui, in tema di confisca di prevenzione disposta nei confronti di soggetto indiziato di appartenere ad una associazione mafiosa, anche nel caso in cui la fattispecie concreta consenta di determinare il momento iniziale e finale della pericolosità qualificata, è legittimo disporre la misura ablativa su beni acquisiti in periodo successivo a quello di cessazione della condotta permanente, ove ricorra una pluralità di indici fattuali altamente dimostrativi della diretta derivazione causale delle acquisizioni patrimoniali dalla provvista formatasi nel periodo di compimento dell’attività delittuosa (Sez. 2, n. 14165 del 13/03/2018, Alma, Rv. 272377).
Principio di diritto, questo, che, nel riferimento all’epoca di acquisizione della provvista, ripropone, in buona sostanza, il rilievo della sentenza COGNOME in ordine alla riconducibilità dei «proventi di attività illecita» nell’arco di tempo in cui si manifestata la pericolosità sociale. Rilievo, che, a sua volta, si salda al dato normativo che all’art. 24 d. Igs. 6 settembre 2011, n. 159 (così come all’art. 20, in tema di sequestro) delinea l’oggetto del provvedimento ablativo nei beni risultanti “frutto” di attività illecite ovvero “reimpiego” di essi: nozio quest’ultima, che chiama in causa un rapporto di derivazione dall’attività illecita, per così dire, “mediata”, rapporto, del resto già messo da Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260247, lì dove ha sottolineato che la disciplina della confisca di prevenzione mira a sottrarre al proposto i beni che siano frutto di attività illecita ovvero ne costituiscano il reimpiego. Naturalmente, alla “fuoriuscita” dell’acquisto del bene dal “perimetro cronologico” segnato dall’accertata pericolosità sociale deve corrispondere un accertamento della riconducibilità dell’acquisto stesso al “reimpiego” dei proventi di attività illecit da svolgere secondo i canoni dimostrativi tipici delle misure di prevenzione, ma in termini particolarmente rigorosi, sicché, al riguardo, merita senz’altro adesione l’indicazione di Sez. 2, n. 14165 del 2018, Alma cit. nella prospettiva di un accertamento fondato su una pluralità di indici fattuali altamente dimostrativi della diretta derivazione causale delle acquisizioni patrimoniali dalla provvista formatasi nel periodo di compimento dell’attività delittuosa.
Le conclusioni fin qui raggiunte possono essere sintetizzate nel senso che, «in tema di confisca di prevenzione disposta nei confronti di soggetto indiziato di appartenere ad una associazione mafiosa, nel caso in cui la fattispecie concreta
consenta di determinare il momento iniziale e finale della pericolosità qualificata, sono suscettibili di confisca – salva restando la possibilità per il proposto di dimostrare l’acquisto dei beni con risorse preesistenti all’inizio dell’attività illeci – i beni acquistati in detto periodo temporale, nonché i beni acquistati in periodo successivo a quello di cessazione della pericolosità sociale, purché l’acquisto risulti effettuato attraverso il reimpiego dei frutti dell’attività illecita, da accer sulla base di una pluralità di indici fattuali altamente dimostrativi della diretta derivazione causale delle acquisizioni patrimoniali dalla provvista formatasi nel periodo di compimento dell’attività illecita» (Sez. 5, n. 49479 del 13/11/2019, COGNOME, Rv. 277909 – 01; conf. Sez. 5, n. 1543 del 23/11/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280667 – 02).
Nei termini indicati, la confisca di prevenzione ex art. 24, d. Igs. n. 159 del 2011 resta saldamente ancorata al presupposto della “correlazione temporale” delineato da Sez. U. COGNOME e non smarrisce i propri tratti distintivi rispetto alla confisca per equivalente di cui all’art. 25, d. Igs. n. 159 cit.: quest’ultima, invero ha ad oggetto «soltanto i beni acquistati lecitamente e non anche quelli che costituiscono reimpiego del bene di provenienza illecita, i quali, pertanto, devono anch’essi essere ritenuti illeciti, come tali suscettibili di confisca diretta» (Sez. 1 n. 43243 del 27/03/2018, Rv. 274400), sicché la confisca per equivalente rimane svincolata dall’accertamento della derivazione dall’attività illecita del proposto sopra indicato.
In questa prospettiva, del resto, la giurisprudenza di legittimità ha ribadito che, in tema di confisca di prevenzione disposta nei confronti di soggetto indiziato di appartenere ad una associazione mafiosa, è legittimo disporre la misura ablativa su beni acquisiti in periodo successivo a quello di cessazione della pericolosità qualificata a condizione che ricorra una pluralità di indici fattuali altamente dimostrativi della diretta derivazione causale delle acquisizioni patrimoniali dalla provvista formatasi nel periodo di manifestazione della pericolosità sociale, dovendo la valenza degli elementi indiziari della provenienza illecita del patrimonio impiegato per l’acquisto essere tanto maggiore quanto più è ampio il lasso di tempo decorso dalla fine del periodo in cui si è manifestata la pericolosità sociale del soggetto (Sez. 6, n. 5778 del 16/05/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278328 – 01; conf. Sez. 6, n. 36421 del 06/09/2021, COGNOME, Rv. 281990 – 01).
Il decreto impugnato ha dato atto, per un verso, che la condotta di partecipazione all’associazione mafiosa per la quale il proposto ha riportato condanna si è protratta dal 1989 fino al dicembre del 1996 e, per altro verso, che la “ragionevole correlazione temporale” tra la fase di illecito arricchimento e
quella relativa agli acquisti include gli ulteriori beni acquisiti nell’arco temporale 2004 – 2011, esorbitanti dalle legittime risorse del proposto. La Corte distrettuale rileva che contestualmente alla partecipazione al sodalizio mafioso, il proposto, nel 1995, ha avviato l’attività imprenditoriale attraverso la costituzione della RAGIONE_SOCIALE (poi, sRAGIONE_SOCIALE) e acquistando, nello stesso anno, un locale deposito ristrutturato e adibito a sede dell’impresa. Sottolineato il ruolo di vertice rivestito da NOME COGNOME nell’associazione e la sua attività di “collettore” delle somme versate dalle vittime delle estorsioni, la Corte distrettuale rileva, sulla scorta della perizia tecnico-contabile espletata, che il meccanismo di accumulo patrimoniale è risultato del tutto sproporzionato anche rispetto all’attività del proposto di socio e amministratore di RAGIONE_SOCIALE, sicché la provenienza delle risorse economiche impiegate nei vari acquisti e nell’avviamento delle attività imprenditoriali non risulta giustificata neppure sulla base degli utili conseguiti con la menzionata attività imprenditoriale ed è pertanto riconducibile a un arricchimento necessariamente conseguito in ragione dell’attività svolta in precedenza dal proposto come soggetto organico e di rilievo del sodalizio (particolarmente attivo “nel ramo delle estorsioni”), la cui esistenza è stata accertata con sentenza irrevocabile.
Rileva la Corte distrettuale che, oltre alle acquisizioni patrimoniali collocate nel 1995-1996, numerosi altri acquisti o investimenti in attività economiche sono stati realizzati nel periodo dal 2004 al 2011, senza che il proposto abbia fornito la dimostrazione che tali impieghi fossero ascrivibili a proventi leciti esistenti prima del suo coinvolgimento nell’ambito dell’associazione di tipo mafioso, né ha fornito concreti elementi idonei a ricondurre le risorse economiche impiegate a fonti diverse rispetto all’accumulazione realizzata mediante la partecipazione all’organizzazione mafiosa; pertanto, rispetto ai numerosi incrementi patrimoniali compiuti anche ad una significativa distanza temporale dalla cessazione della manifestazione della pericolosità sociale qualificata, risulta dimostrata l’impossibilità di giustificare gli acquisti non solo con i redditi dichiarati, ma anche con la sua complessiva capacità reddituale.
Ciò premesso, i ricorsi devono essere accolti. Nei termini sinteticamente indicati, il decreto impugnato non ha fatto buon governo dei princìpi di diritto richiamati al § 2, princìpi espressamente richiamati, peraltro, nell’atto di appello (quinto motivo). L’apparato argomentativo del decreto impugnato si risolve, in buona sostanza, nell’articolazione del giudizio di sproporzione, che deve caratterizzare sempre il provvedimento applicativo della misura di prevenzione reale, ma in nessun modo dà conto, risultando al riguardo apparente, della necessità di distinguere tra beni acquistati durante e beni acquistati
successivamente al periodo di manifestazione della pericolosità e, con riguardo ai secondi, di quella pluralità di indici fattuali altamente dimostrativi della diretta derivazione causale delle acquisizioni patrimoniali dalla provvista formatasi nel periodo di manifestazione della pericolosità sociale necessaria in presenza di un rilevante iato temporale tra cessazione del periodo di pericolosità ed epoca dell’acquisto al fine di preservare la riconoscibilità del presupposto della “correlazione temporale”. Necessità, quella dell’indicazione dei menzionati indici fattuali, tanto più stringente in presenza di alcune peculiarità della fattispecie in esame: l’intervallo temporale particolarmente significativo tra cessazione della manifestazione della pericolosità (1996) ed epoca degli acquisti (fino al 2011); 1″esecuzione, nel corso di tale intervallo, di una pena detentiva, che, se protratta per almeno due anni, impone una nuova verifica della pericolosità sociale (art. 14, comma 2-ter, d. lgs. n. 159 del 2011); la certa disponibilità di redditi leciti (pur in misura ritenuta inferiore agli impieghi nel periodo considerato: pag. 17 del decreto impugnato).
Pertanto, assorbite le ulteriori doglianze, il decreto impugnato deve essere annullato con rinvio alla Corte di appello di Lecce; come chiarito Sez. U, n. 111 del 30/11/2017, dep. 2018, Gattuso, «la natura di decreto non permette il rinvio a diversa sezione, a mente del disposto di cui all’art. 623, comma 1, lett. a), cod. proc. pen.; per contro, la natura decisoria dell’atto impone che il collegio chiamato alla nuova valutazione sia composto diversamente, stante l’incompatibilità dei componenti che hanno partecipato alla decisione oggetto di impugnazione» (conf. Sez. 5, n. 19426 del 20/04/2021, Mastrolia, Rv. 281253).
P.Q.M.
Annulla il provvedimento impugnato con rinvio per nuovo giudizio alla Corte d’appello di Lecce in diversa persona fisica.
Così deciso 11 11/04/2024.