Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 27808 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 27808 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 22/05/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
COGNOME NOME nato a Barcellona Pozzo Di Gotto il 19/04/1956
COGNOME nato a Barcellona Pozzo Di Gotto il 18/06/1977
avverso il decreto emesso il 22 novembre 2024 dalla Corte d’appello di Messina
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi.
RILEVATO IN FATTO
NOME COGNOME e NOME COGNOME propongono separati ricorsi per cassazione avverso il decreto della Corte di appello di Messina che, in parziale riforma del decreto del Tribunale di Messina, previa riduzione del periodo di pericolosità qualificata di NOME COGNOME (quale indiziato di appartenenza all’associazione mafiosa della famiglia “barcellonese”) dal dicembre 1996 fino al 2011 (data di inizio della sua detenzione), ha revocato la confisca degli immobili indicati in dispositivo, in quanto acquistati fuori dal periodo di pericolosità, confermato nel resto il decreto di confisca degli altri beni mobili e immobili.
NOME COGNOME ha dedotto con un unico motivo di ricorso il vizio di violazione di legge in merito alla confisca dell’immobile sito in Barcellona, INDIRIZZO, acquistato nel 1995, fuori dal periodo di pericolosità. Si rileva, a riguardo, il carattere apodittico della motivazione che ha ritenuto che l’immobile sia stato acquistato con risorse illecite in considerazione del fatto che il nucleo familiare aveva ristrutturato altro immobile nel periodo dal 1990 al 1997, dimenticando, così, che, a fronte del prezzo di acquisto di 96.000 di lire, i lavori di ristrutturazione dell’altro immobile furono completati nell’arco di sette anni aumentando, così, la capacità di spesa del proposto.
Si afferma, inoltre, l’inconducenza delle argomentazioni relative alla confisca di conti correnti e buoni postali. Si aggiunge, ancora che non si comprende la ragione per cui, pur ritenendo la Corte territoriale che le entrate del proposto fino al 1996 fossero cospicue, di queste non se ne sia tenuto conto ai fini della valutazione della sperequazione economica per gli anni successivi.
Sostiene, infine, il ricorrente che il decreto impugnato, omettendo di considerare la giurisprudenza di legittimità sui presupposti della confisca per equivalente, ha esteso il provvedimento ablativo anche ai redditi conseguiti in epoca successiva al periodo di pericolosità sociale (ad esempio i buoni fruttiferi e i conti postali). In particolare, la Corte ha presunto che il ricorrente avesse la disponibilità dei beni formalmente intestati al figlio senza considerare che costui non convive più con il padre dal 2011.
NOME COGNOME ha proposto quattro motivi di ricorso, di seguito riassunti nei termini strettamente necessari per la motivazione.
3.1. Mancanza di motivazione sulla eccezione sollevata dalla difesa in ordine alla prescrizione del diritto dello Stato a confiscare beni acquistati oltre trent’anni fa; violazione degli artt. 18 e 24 d. Igs. n. 159 del 2011 in quanto la confisca è stata disposta senza limiti temporali e in assenza di una specifica previsione analoga a quella prevista dall’art. 240 cod. pen. Nel corpo del motivo si eccepisce la illegittimità costituzionale degli artt. 18 e 24 d. Igs. n. 159 del 2011 per violazione degli artt. 3, 24, 42 e 111 Cost.
In particolare, si deduce la prescrittibilità del diritto dello Stato a procedere al confisca di prevenzione, desumibile dalla assenza nel d. Igs. n. 159 del 2011 di disposizioni analoghe a quelle previste per le misure di sicurezza dagli artt. 205, 210 e 240 cod. pen., nonché dalla previsione contenuta all’art. 18 d. Igs. n. 159 del 2011, che consente di iniziare il procedimento di prevenzione entro cinque anni dal decesso del proposto, legittimando, così, l’acquisto di un bene per via ereditaria, benché si ritenga di provenienza illecita.
3.2. Mancanza di motivazione sull’eccezione difensiva relativa alla illegittimità della misura per effetto della valenza preclusiva del provvedimento emesso in sede cautelare con il quale è stato disposto il sequestro preventivo dei beni nei confronti di taluni indagati ritenuti «i maggiorenti della consorteria mafiosa barcellonese», provvedimento che non ha, tuttavia, attinto i beni di NOME COGNOME.
3.2. Mancanza e apparenza della motivazione relativa alla sproporzione tra l’acquisto dell’immobile di INDIRIZZO. INDIRIZZO e n. 15 e il reddito degli interessati. rileva, al riguardo, che la cifra di acquisto dell’immobile, pari a lire 96.000, come sostanzialmente confermato dal teste COGNOME, era proporzionata alle capacità di acquisto del proposto, considerando sia i redditi derivanti dalla sua attività commerciale che dalla vendita di immobili e dall’affitto del magazzino di INDIRIZZO
3.4. Mancanza di motivazione in odine al ritenuto frutto di capitalizzazione mafiosa delle somme impiegate dal ricorrente per trasformare la sala giochi del padre in attività di ristorazione. La Corte territoriale, infatti, ha ritenuto l’attività della sala giochi svolta dal ricorrente in prosecuzione di quella paterna costituisca il reimpiego dei proventi dell’attività illecita e del radicamento mafioso del proposto, ma ha omesso di valutare le obiezioni difensive in merito ai modesti costi sostenuti per la trasformazione dell’attività, non risultando svolta alcuna opera interna e risultando, di contro, un valore degli arredi pari ad appena 20.000 euro.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo del ricorso proposto da NOME COGNOME è parzialmente fondato, limitatamente alle censure relative alla confisca dell’immobile sito in Barcellona, INDIRIZZO, mentre è inammissibile con riferimento alle censure relative agli altri beni oggetto di confisca, formulate in termini eccessivamente vaghi e senza enucleare alcun profilo di violazione di legge in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale.
Quanto all’immobile sopra indicato, acquistato congiuntamente dal proposto e dal terzo ricorrente, rileva il Collegio che, a fronte di una precisa perimetrazione del periodo di pericolosità qualificata, la Corte, con motivazione meramente apparente, si è limitata a valorizzare le sole circostanze che l’acquisto del bene è avvenuto a ridosso dell’inizio di detto periodo e che i due acquirenti non avevano dichiarato redditi nell’anno 1995. Siffatta operazione logica, oltre che frutto di un evidente salto argomentativo, non appare consentita alla luce del principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite “COGNOME” secondo il quale,
premesso che la pericolosità sociale, oltre che presupposto ineludibile della confisca di prevenzione, costituisce la “misura temporale” del suo ambito applicativo, con riferimento alla c.d. pericolosità qualificata, spetta al giudice compito di accertare se questa investa, come ordinariamente accade, l’intero percorso esistenziale del proposto, o se sia individuabile un momento iniziale ed un termine finale della pericolosità sociale, al fine di stabilire se siano suscettibi di ablazione tutti i beni riconducibili al proposto ovvero soltanto quelli ricadenti ne periodo temporale individuato (Sez. U, n. 4880 del 26/06/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262605). Il Supremo Consesso, infatti, ha affermato detto principio risolvendo il contrasto ermeneutico proprio in ordine alla confiscabilità dei beni acquistati prima dell’inizio della pericolosità, contrasto risolto in termini posit solo nell’ipotesi in cui la forma di manifestazione della pericolosità abbia investito l’intera esistenza del proposto. Si è, infatti, affermato che «ove la fattispecie concreta consenta al giudice della prevenzione di determinare comunque – in forza di insindacabile apprezzamento di merito (in quanto congruamente giustificato) e sulla base di ogni utile indagine – il momento iniziale ed il termine finale della pericolosità sociale, saranno suscettibili di apprensione coattiva “soltanto” i beni ricadenti nell’anzidetto perimetro temporale»
Va, tuttavia, aggiunto che la successiva giurisprudenza di questa Corte, pur ribadendo detto principio, ha, invece, ammesso la confisca dei beni acquistati nel periodo successivo al termine finale della pericolosità sociale a condizione che tali acquisti siano, comunque, correlati al periodo di pericolosità, richiedendo al giudice di individuare gli indici fattuali dimostrativi della derivazione delle acquisizio patrimoniali dalla provvista formatasi nel periodo di compimento della attività illecita (Sez. 6, n. 36421 del 06/09/2021, COGNOME, Rv. 281990).
Venendo al ricorso proposto da NOME COGNOME il primo motivo è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
Come già affermato da questa Corte, è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 18, 29, 34-ter d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, per contrasto con gli artt. 3, 24, comma secondo, 27, comma secondo, 111, commi primo e secondo, Cost. e 6, § 1, CEDU, nella parte in cui non è previsto, rispetto al momento della cessazione della pericolosità del proposto, un termine di decadenza dell’azione propositiva o di prescrizione della misura di prevenzione, posto che costituisce presupposto ineludibile di applicazione della misura di prevenzione patrimoniale la sussistenza della pericolosità al momento dell’acquisto del bene, che a quest’ultimo si trasferisce in via permanente e tendenzialmente indissolubile, poiché frutto dell’illecita
acquisizione da parte del soggetto pericoloso (Sez. 2, n. 11351 del 25/02/2022, COGNOME, Rv. 282960).
Tale tema, peraltro, è stato già affrontato anche dalle Sezioni Unite “COGNOME” in cui, in motivazione, si è affermato che la condizione di pericolosità del bene, in quanto frutto di illecita acquisizione avvenuta nel periodo di pericolosità, reca in sé una connotazione negativa, che ne impone la coattiva apprensione, anche oltre la vita del soggetto pericoloso e resta impressa alla res, indipendentemente da qualsiasi vicenda giuridica della sua titolarità (successione universale o particolare), sino alla perenzione della stessa cosa oppure all’opponibilità giuridica del suo trasferimento (in caso di acquisto in buona fede) ovvero, infine, alla sua definitiva acquisizione al patrimonio dello Stato per effetto di confisca, questa sì capace di stravolgerne, definitivamente, la natura ed il regime giuridico, equiparando la res ai beni demaniali.
Regole queste notoriamente ispirate al principio della certezza e stabilità dei rapporti giuridici, rispetto alle quali si pone in sintonia la prescrizione del confiscabilità del bene, appartenuto a soggetto pericoloso, in capo agli eredi soltanto nel termine di cinque anni dalla morte del de cuius (art. 18 d.lgs. n. 159 del 2011). A tale riguardo, le Sezioni Unite hanno, peraltro, chiarito che, nell’ipotesi in cui l’azione di prevenzione patrimoniale sia esercitata ovvero prosegua dopo la morte del soggetto socialmente pericoloso, la confisca può avere ad oggetto non solo i beni pervenuti a titolo di successione ereditaria, ma anche i beni che, al momento del decesso, erano comunque nella disponibilità del “de cuius”, essendo stati fittiziamente intestati o trasferiti a terzi. (Sez. U, n. 12621 del 22/12/2016, dep. 2017, De Angelis, Rv. 270082).
Il secondo motivo è inammissibile in quanto manifestamente infondato, dovendosi escludere l’incidenza nel giudizio di prevenzione GLYPH delle mancata presentazione di richieste cautelari nei confronti del ricorrente.
Il terzo motivo è fondato per le stesse ragioni già esposte al punto 1.
Il quarto motivo è fondato.
Mentre, infatti, il Tribunale sembra considerare il ricorrente quale intestatario fittizio della sala giochi, che avrebbe gestito sotto il controllo paterno la Corte territoriale con motivazione non proprio comprensibile, da un lato, sembra confermare l’impostazione del primo Giudice, dall’altro lato, tuttavia, considera la sala giochi quale frutto di “capitalizzazione mafiosa”, senza, tuttavia, ulteriormente specificare il senso di tale affermazione né gli elementi fattuali da cui è desunta.
Ebbene, rileva il Collegio che, considerato che il bene parrebbe acquistato dal proposto in periodo antecedente l’inizio del periodo di pericolosità e che
l’attività ivi svolta sembrerebbe essere stata molto redditizia per il proposto, non
è dato comprendere se la confisca abbia avuto come presupposto la natura
“mafiosa” dell’impresa svolta ovvero la circostanza che la stessa, soprattutto a seguito della trasformazione dell’attività ivi svolta, costituisca il frutto
reimpiego di capitali illecitamente acquistati nel periodo di pericolosità; ciò
soprattutto in considerazione del fatto che l’impresa, oltre ad essere iniziata prima dell’inizio del periodo di pericolosità qualificata, è proseguita anche oltre la fine d
detto periodo.
6.Alla luce di quanto sopra esposto, va disposto l’annullamento del decreto impugnato con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Messina in diversa
composizione. Il Giudice del rinvio, sulla base dei principi sopra affermato, dovrà, dunque, rivalutare: a) la confiscabilità dell’immobile di INDIRIZZO, individuandone i
presupposti; b) se ed in quale misura sia confiscabile la ditta individuale inizialmente destinata a sala giochi e poi trasformata in attività di ristorazione, chiarendo, in particolare, se la stessa debba considerarsi come “impresa mafiosa”, eventualmente confiscabile integralmente, ovvero quale attività nella quale sono stati reimpiegati i proventi illeciti correlati alle manifestazioni di pericolos sociale del proposto.
P.Q.M.
Annulla il decreto impugnato con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della
Corte di appello di Messina in diversa composizione. Così deciso il 22 maggio 2025
Il
Il Pre dente